13 maggio 1978 – 43 anni dalla “legge Basaglia”. 8 novembre 1991 – 30 anni dalla legge sulla cooperazione sociale

Due anniversari si sovrappongono idealmente quest’anno. Il 13 maggio è la data in cui fu approvata la legge 180 di riforma della Salute Mentale, con l’abolizione dei manicomi. La cosiddetta “legge Basaglia” (anche se a proporla fu in realtà il senatore democristiano Bruno Orsini), nacque dall’esperienza delle équipes degli Ospedali psichiatrici provinciali di Gorizia, negli anni ‘60, e di Trieste e del Centro di Salute Mentale della neocostituita provincia di Pordenone, negli anni ‘70. Esperienza che ha dimostrato la sua validità nella riproposizione, alla fine dello scorso secolo, della deistituzionalizzazione dell’ex OPP di Sant’Osvaldo ad Udine.

Si tratta di un’eccellenza italiana e della nostra regione, punto di riferimento per le politiche di settore a livello mondiale. Con quelle esperienze cliniche e quella legge, si pose termine alla vergogna dei manicomi, vere discariche umane, nelle quali venivano confinate a vita non solo persone con problemi psicologici, ma anche minori con handicap, alcooldipendenti e tossicodipendenti, disabili adulti, contadini pellagrosi e, spesso, persone di cui ci si voleva semplicemente liberare, per “offese alla morale” oppure “pericolo per l’ordine pubblico”.

Con la riforma del 1978 si sono finalmente impostate in modo moderno le politiche della Salute Mentale in Italia, offrendo un esempio insuperato all’Organizzazione Mondiale della Sanità, attraverso progetti di inserimento sociale e possibilità di cura, fino alla guarigione, alle persone nei loro momenti di difficoltà (quelli che toccano tutte e tutti, prima o poi).

La legge 381 del 1991 è un correlato della 180. E’ infatti a Trieste che è nata la prima cooperativa di utenti (in realtà, allora, ancora “internati” nell’OPP), per inquadrarne regolarmente le attività di lavoro, fino allora svoltesi, alquanto intensamente, senza salario, assicurazione e contributi. Praticamente, i manicomi funzionavano grazie al lavoro schiavistico di gran parte delle persone che vi erano ristrette.

Da quel momento, le cooperative sociali – che, solo nella nostra regione, danno lavoro a più di 13.000 persone, in assoluta maggioranza donne, quasi un migliaio delle quali soggetti svantaggiati e disabili segnalati dai servizi sociosanitari pubblici – si sono estese alla fornitura del complesso dei servizi di welfare: dall’inserimento lavorativo originario in attività di lavoro manuale, alle professioni del lavoro sociale e sanitario ed ai lavori intellettuali.

Il percorso svolto in questo più di mezzo secolo, prima e dopo la legge, è stata una grande acquisizione di civiltà. Anche se ancor oggi l’applicazione della legge non è garantita in tutta Italia, ed alcune regioni operano tuttora al di fuori di essa (es.: la Lombardia che cura ancora la SM negli ospedali, ed il Veneto, che ha ripristinato illegalmente il ricovero a vita ed ammette perfino la contenzione fisica!). Così come periodicamente si debbono lamentare interventi violenti e poco professionali della forza pubblica: purtroppo è successo anche qui da noi.

Servizi pubblici e cooperative sociali, pur scontando le tendenze burocratiche alla chiusura e medicalizzaione dei servizi che affliggono tutta la sanità italiana, hanno saputo offrire proposte di residenzialità protetta, di supporto alle famiglie, di psicoterapia, di offerte di gestione del tempo libero e di inserimento occupazionale, che hanno garantito alternative reali a migliaia di persone, dimostrando che è possibile gestire e curare una malattia, come quella mentale, per la quale i farmaci sono prevalentemente palliativi, mentre la soluzione “vera” sono la gestione della socialità e l’aiuto alle persone ad uscire dai loro momenti bui.

Elemento di successo, in Friuli Venezia Giulia, è stata la gestione integrata dei diversi elementi della pubblica amministrazione e della cooperazione sociale (che rappresenta metà degli operatori del settore, recentemente riqualificati in gran parte come educatori professionali grazie alla “legge Iori”), in relazione con le associazioni di familiari, degli utenti e del volontariato. Fattore di sperimentazione – che oggi viene proposto con un apposito progetto di legge nazionale – è il budget di salute, strumento che riconosce la centralità della persona con sofferenza psichica in un percorso di co-costruzione del proprio percorso di cura, realizzato attraverso    progetti individualizzati declinati sui  tre assi casa, socialità e lavoro, da rimodulare con flessibilità, in rapporto all’evoluzione della situazione delle persone interessate. L’esperienza regionale sui Budget di salute, riconosciuta a livello nazionale come una delle più avanzate, identifica inoltre nella co-gestione un elemento centrale  valorizzando e riconoscendo la partnership tra pubblico e privato sociale.

Dalla centralità dell’istituzione a quella persona: il percorso positivo della legge 180 e della legge 381, che quest’anno celebriamo insieme.

Gian Luigi Bettoli

Legacoopsociali Friuli Venezia Giulia