Come fra gli stecchini dello shangai

Si ha l’impressione che cercare di analizzare (parola grossa) la situazione in cui la zona che va dal Mediterrano fino ai confini con l’Oriente, l’India, è precipitata, sia un po’ come riuscire a divincolarsi tra gli stecchini del famoso gioco; appunto lo shangai. Anche i giocatori più abili prima o poi e nei tentativi di estrarne uno senza provocare cambiamenti in alcuno degli altri, fallirà nell’impresa e dovrà passare la mano. Naturalmente lasciando il prossimo giocatore con lo stesso problema; anzi con quello di non dare maggiori possibilità a quello che lo seguirà di poter trarre vantaggio dalla sua mossa.
Qui ovviamente non stiamo parlando di semplici stecchini, ma di zone geografiche all’interno delle quali le dinamiche sono, usando un eufemismo, piuttosto complesse. L’ultima mossa, pur essendo abbondantemente annunciata, ha ulteriormente reso il groviglio più intricato; nemmeno fosse stato necessario… Come nel gioco, ogni mossa conseguente rende le posizioni dei vari attori diverse rispetto alla precedente e mette in moto meccanismi sempre più instabili.
Ciò che accade in questi giorni a Kabul e in Afghanistan, sta ripercuotendosi in tutta l’area in questione, cambiando equilibri che nel frattempo, pur nella loro instabilità, si stavano assestando. Prendiamo come esempio la Siria, terreno in cui ormai da più di un decennio si sta combattendo una guerra che negli ultimi anni sembra assopita, ma che nella realtà si mantiene accesa come le braci sotto la cenere e pronta a rinascere. Parrebbe proprio il caso di dire, visto il contesto, come L’Araba Fenice”.
Gli stessi protagonisti esterni che si muovono nel variegato panorama siriano, sono quelli che stanno ora sgomitando in Afghanistan cercando ognuno di conquistarsi il proprio spazio di interesse sia economico che strategico. In realtà solo i due colossi del subcontinente indiano, India e Pakistan non sono direttamente presenti in Siria, ma questo non fa altro che rendere la situazione ancora più incandescente.
Turchia, Russia, Iran, Qatar, Arabia Saudita, Usa (la loro ritirata non significa totale disinteresse; la guerra dei droni ha già lasciato i suoi infausti segni), giusto per citare i principali attori con interessi diretti in entrambi i conflitti, si stanno muovendo in Siria (ma anche in Iraq) cercando di spostare equilibri che si rifletteranno sia in Afghanistan che nei due Paesi arabi, ma che avranno conseguenze anche a livello generale. In Africa per esempio a cominciare dalla Libia.
Tornando alla Siria, negli ultimi tempi le due zone in cui le attività belliche hanno ripreso forza sono la regione a sud di Damasco al confine con la Giordania, Dar’a soprattutto, e Idlib a nord ovest e al confine occidentale con la Turchia.
C’è in realtà anche, sempre a destra dell’Eufrate, un’area occupata in varie fasi dai turchi principalmente a danno dei kurdi (da Afrin a Jarabulus) ed ora sotto il controllo di varie bande di fanatici sostenute da Ankara, che ai talebani hanno davvero poco da invidiare, anzi. Ma qui per ora i guai derivano principalmente dalle lotte intestine che rendono impossibile avere un punto di riferimento non dico unico, ma perlomeno un minimo presentabile.

Deve essere per questo che HTS (Hayat Tahrir al Shab, ex Al Qaeda) passa per un interlocutore affidabile avendo un sistema di controllo e gestione del territorio organizzato e governato attraverso dinamiche che potrebbero essere di riferimento per ciò che si immagina possa diventare l’Afghanistan. Un governo che segue la legge della Sharia, ma che riesce a garantire lo svolgimento delle attività amministrative e politiche, evitando eccessi fastidiosi e che consentano un’immagine di facciata che possa essere accettata da noi occidentali. Insomma, un sistema di repressione dura ma possibilmente lontano dai riflettori, un posto in cui i diritti umani possano essere calpestati senza eccessivo clamore o esecuzioni truculente. Che poi ciò possa funzionare in Afghanistan è tutto da vedere. Un conto è amministrare una piccola regione (Idlib) che si fonda su ricatti reciproci, altro invece è avere mano libera per governare un Paese da parte di chi la guerra l’ha vinta.
A Dar’a, come si accennava, ormai da parecchio tempo gli omicidi mirati ad eliminare soprattutto soggetti legati al regime, principalmente ufficiali dell’esercito di Assad oppure dei servizi o invece ancora di comandanti degli ex ribelli passati nel 2018 nei ranghi del SAA (Syrian Arab Army) governativo, si ripetono con cadenza praticamente quotidiana. La reazione dell’esercito di Damasco, a sua volta non bada ai dettagli e recentemente sono frequenti scontri diretti con bombardamenti e scambi di artiglieria da entrambe le parti.
In tutto ciò, chi ci rimette maggiormente sono i russi che dovrebbero riuscire a calmare gli animi e trovare una soluzione in cui Mosca si possa presentare come artefice della pacificazione e della stabilizzazione nonché’ potenza di riferimento per l’intera area. Per ora si pensa di far uscire dall’assedio in cui si trova Dar’a al Balab, principale roccaforte degli insorti, gli elementi maggiormente coinvolti negli scontri e i loro comandanti “evacuandoli” come si era fatto nel 2018 con i ribelli di Ghouta e Rural Damascus, nella sacca di Idlib.
Questo naturalmente rischia di creare fratture nei progetti di cui si parlava poc’anzi e di cui la Turchia vorrebbe farsi protettrice. I bombardamenti dell’aviazione russa e siriana che da un mese sta martellando il sud della sacca di Idlib potrebbero significare non solo altra gente che arriva dove buona parte della popolazione vive in situazioni molto precarie, ma un’eventuale e conseguente azione militare di terra provocherebbe un esodo di forse milioni di persone da Idlib verso la Turchia che è lì dietro l’angolo. Ciò ovviamente non può che provocare il risentimento di Ankara, che di altri profughi non vuole sentir parlare.
Naturalmente il Qatar in tutto ciò, seppure mantenendosi dietro le quinte, non e’ neutrale. Essendo il maggiore sponsor del governo dei talebani a Kabul, avrebbe tutto l’interesse che non si aprisse una crisi in una area o in un governo, quello appunto di Idlib, che potrebbe davvero essere il laboratorio di cio’ che potrebbe succedere in Afghanistan. HTS e Julani, il suo capo, sono protetti e sponsorizzati dall’Emirato qatarino che dunque cerca un equilibrio che garantisca i suoi alleati e il modello che dovrebbero rappresentare.
C’è poi un’altra area di crisi e in cui colpi di artiglieria, attentati e lanci di razzi non si risparmiano; la zona del NES occupata dai turchi e poi data in “amministrazione” ai suoi scagnozzi alleati (più o meno gli stessi di Afrin e Jarabulus) per lo più criminali oltre che radicali islamici. I movimenti militari nella zona potrebbe essere sintomo di un’ulteriore voglia di Ankara di espandere l’occupazione, ma probabilmente in realtà è un altro dei metodi dei turchi per minare i tentativi russi di fare da mediatori tra governo di Damasco e kurdi.
Tra le altre cose, tra Turchia e Russia c’è di mezzo anche un accordo che oltre a valere qualche miliardo, rappresenta da una parte la spina nel fianco nei confronti di Usa e la Nato e dall’altra il tentativo della Russia di attirare la Turchia verso la sua zona di influenza. Parliamo del Sistema di difesa antiaereo (S400) che la Russia ha già cominciato a fornire alla Turchia, che ha creato enormi mal di pancia in occidente, e di cui ora si dovrebbe fornire la seconda parte come prevedono gli accordi russo-turchi. A quanto pare la Turchia sta facendo orecchie da mercante e dice che non c’è alcuna fretta, che la seconda tranche verrà acquistata ma con calma. Calma che non piace affatto ai russi, come non piace loro che Erdogan abbia già e a modo suo, allungato le mani sul futuro dell’Afganistan e in collaborazione, guarda caso, con il Qatar.
Ai turchi fa certo comodo mantenere una certa equidistanza tra Russia e Nato (diciamo pure Usa), alleanza atlantica che naturalmente sarebbe pronta a riprendersi la Turchia a pieno titolo al suo interno se la questione degli S400 fosse rimessa in discussione.
Anche la Cina che per ora si tiene ufficialmente fuori dalle beghe, ovviamente avrà la sua da dire, e gli enormi investimenti fatti in Pakistan avranno il loro peso nelle relazioni strettissime che il Pakistan ha sempre mantenuto con i talebani.
Al prossimo, la successiva mossa per estrarre lo stecchino.