L’autonomia dispersa

La morte presunta è un procedimento amministrativo che si consolida nel corso di lunghi anni e che quando viene concluso vede ormai affievolita la memoria dello “scomparso” anche nei protagonisti più interessati. Spesso rimane soltanto una eredità svalutata.
“Credo” che ciò sia quanto stia capitando anche alla “autonomia speciale” del F-VG. In questo caso la dizione F-VG è più opportuna di FVG poiché forse quest’ultima, da una ventina d’anni ha cominciato a perdere anche le ultime tracce dei sentieri della specialità.
Commentare in questa campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento la posizione istituzionale della nostra Regione, magari rievocando un possibile nuovo ciclo di potestà primarie e concorrenti da attribuirle, può essere come affrontare in qualche RSA una patologia senile che nessuno ha possibilità di curare. Questo non solo per la sempre più ridotta rappresentanza territoriale, che comunque si avvarrà di nomi mediaticamente illustri (Ciriani, Menia, Serracchiani, Rosato, Patuanelli) pur magari eletti altrove, ma perché l’asse della politica su cui si rinnova il Parlamento non è il funzionamento delle infrastrutture dello Stato e una risposta articolata ai bisogni delle popolazioni ma la conquista del governo. Tutto quello che richiede fatica rielaborativa e capacità ideativa rischia di essere rigettato dall’infastidito cittadino votante e gli “spin doctors” dei leader in lizza fanno di tutto per evitare di imbattersene.
Nel dibattito elettorale la parola autonomia (regionale) è in questi giorni rientrata dalla finestra di Pontida dopo che il “credo negli italiani” di Salvini (16 pagine inviate per posta) di fatto non ne parla. Per ora basta mettere in mostra Zaia e Fedriga come i santi nelle immaginette, ma nessuno ha capito come potrà conciliarsi il sovranismo presidenzialista di Fratelli d’Italia con la concezione di autogoverno espressa dai veneti nel referendum del 22 ottobre 2017. Senza dimenticare che, in genere, a sinistra la stessa idea di autonomia differenziata entrata nella Costituzione nel 2001 proprio su iniziativa della stessa è ormai considerata una bestemmia.
Forse stiamo parlando di cose differenti. La specialità regionale del F-VG del 1963 è roba diversa dall’art. 116, terzo comma, dell’attuale Costituzione e magari le condizioni al contorno dell’Italia sono ancora tali da giustificare regimi amministrativi non omogenei. La guerra di Caracciolo passa per Trieste e qualcosa possiamo sperare. Ma probabilmente il momento politico attuale in cui riemergono parole d’ordine come “interesse nazionale” e “difesa della patria” non pare favorevole a superare tutte le false convinzioni sulle cause delle diverse velocità dello sviluppo economico e sociale dei territori che storicamente hanno costruito lo stato italiano. La stessa contrapposizione nord-sud, e l’evidente crisi crescente del mezzogiorno, non può essere attribuita al carente intervento finanziario pubblico ma ad un complesso di concause di cui l’elemento essenziale è proprio la mancanza di una visione specifica delle caratteristiche che in quei territori devono avere le prospettive di ricostruzione sociale ed economica. Per risolvere le cose (ad es. la sanità) non basta mandare un generale ad organizzare gli hub dove vaccinare i cittadini. Se oggi continuiamo falsamente ad oscillare tra centralizzazione ed autogoverno, per poi comunque scegliere la via del comando unico perché più facile da capire e meno carica di responsabilità, varrebbe la pena di ragionarci meglio sopra. Una società “resiliente” e “sostenibile” deve saper coordinare le migliaia di impianti di produzione energetica diffusa che le tecnologie delle rinnovabili (e un utilizzo serio del digitale) permettono piuttosto che affidarsi ad una centrale nucleare di “VI generazione” che può magari risolvere molto ma che deve organizzare a sua immagine e somiglianza tutti i problemi di sicurezza civile e militare che la coinvolgono.
Il tema dell’autonomia territoriale nella pratica normativa e amministrativa è oggi quanto mai attuale proprio anche in relazione alla crisi della dimensione statale nell’affrontare i temi centrali della vita delle comunità in un mondo di relazioni (giuridiche, economiche, fisiche, etc.) che non possono essere sintetizzate nella stessa dimensione statale. La emergenza climatica, le pandemie sanitarie, i cicli finanziari ed economici, le mille forme di biodiversità, stanno lì a dimostrarci che la dimensione dell’agire ha contemporaneamente caratteristiche globali e territoriali. Quasi mai interpretabili alla luce di difesa di interessi statali-nazionali. L’autonomia come responsabilità di autogoverno è una delle poche armi efficaci qualora sappia connettersi ai flussi di dimensione variabile e spesso globale che oggi si presentano. Se la politica rifiuta di entrarci nel merito non solo fa un danno irreparabile ad una permanenza (dove c’è) della democrazia ma costituisce le premesse anche per un rifiuto del futuro. Giorgio Cavallo