Primo report di #FragilItalia: “Il colpo più pesante della crisi è già ricaduto sull’Italia più fragile”. Coesione sociale a rischio sgretolamento
Non sfugge che oltre all’emergenza sanitaria che continua a mietere vittime e potenzialmente ad andare fuori controllo parte del problema è anche di natura economica ed occupazionale. La situazione di incertezza sui tempi e sulle modalità della ripresa economica, legata al persistere dell’emergenza sanitaria, trova infatti conferma anche nelle preoccupazioni dei lavoratori dipendenti circa la possibilità di conservare il proprio posto di lavoro, la difficoltà di ritrovare una nuova occupazione in tempi ragionevoli e che mantenga invariate qualifica e retribuzione. È quanto emerge dai risultati del primo report di #FragilItalia, l’osservatorio di AreaStudi Legacoop nato dalla collaborazione con IPSOS e Centro studi di Unioncamere Emilia-Romagna, che, attraverso lo strumento dell’indagine di opinione e del ricorso ai più recenti e affidabili dati disponibili, intende monitorare l’evoluzione dei principali fenomeni sociali ed economici che segnano questa fase della storia italiana.
Il 23% del campione del sondaggio ritiene probabile di perdere il posto di lavoro e il 18% che l’azienda in cui lavora sia costretta a chiudere. Rispetto al dato medio di chi teme di perdere il lavoro, le categorie che più avvertono questo rischio sono il ceto popolare (46%), gli under 30 (31%), le donne (27%). Parallelamente, a fronte del 18% che complessivamente lega questa probabilità alla chiusura della propria azienda, il ceto popolare registra un 43% e le regioni del Sud e insulari il 23%.
In caso di perdita del posto di lavoro o di chiusura dell’azienda, l’80% (89% di chi vive nel Nord Ovest, 88% nel Nord Est e nella fascia di età 31-50 anni) cercherebbe nuovamente lavoro come dipendente (il 47% nello stesso settore, il 32% in un settore diverso), mentre il 12% sarebbe propenso ad avviare un’attività imprenditoriale (17% per il ceto popolare, 16% nel Centro Nord) e il 9% si ritirerebbe.
I principali timori nella ricerca di una nuova occupazione risultano l’età avanzata (55%), il doversi accontentare di un contratto a termine o precario (44%), dover accettare uno stipendio più basso (39%), la contrazione del mercato del lavoro (34%), dover accettare un demansionamento (23%).
Caute le aspettative circa la possibilità di ritrovare un’occupazione che consenta di mantenere invariate qualifica e retribuzione. Il 61% ritiene probabile trovare un nuovo lavoro con una qualifica e uno stipendio più bassi (il 66% nel Nord Ovest e il 65% nel Ceto Medio Basso), il 54% con livelli invariati (70% tra gli Under 30, 60% al Centro Nord). È invece del 26% la percentuale di coloro che pensano di trovare un posto con livelli di qualifica e di stipendio più alti (40% per gli under 30).
Nell’ambito della rilevazione è stato anche effettuato un focus su chi, al momento attuale, è in cerca di occupazione. Risulta che il 57% ha perso l’occupazione dallo scoppio della pandemia (per il 39% lavoratori dipendenti, per il 18% lavoratori autonomi), mentre il 39% era inoccupato già prima del Covid. Lunghi i tempi necessari a trovare un nuovo lavoro: tra gli 8 e i 9 mesi in media. In dettaglio, il 44% sta cercando lavoro da più di un anno (72% per gli over 50, 55% per la fascia di età 31-50), il 29% da 3 mesi ad 1 anno (56% nel Centro Nord, 42% per gli Under 30), il 26% da meno di 1 mese a 3 mesi (45% per gli Under 30, 40% al Nord Est). In prospettiva, il 53% ritiene probabile trovare un lavoro entro la fine del 2021, il 30% entro 6 mesi, l’11% entro 3 mesi, il 3% entro 1 mese.
Il quadro è completato da un’analisi della variazione degli occupati in Italia, in relazione alla classificazione delle aree interne e della densità abitativa, nel periodo gennaio-settembre 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019, frutto di una elaborazione effettuata su dati Istat, Infocamere e Inps. A partire dal dato medio totale di una contrazione degli occupati pari al -2,0%, l’analisi evidenzia, in relazione alle aree interne, come le aree periferiche e ultraperiferiche registrino un calo maggiore (-3,6%), mentre le aree di polo e cintura e le aree intermedie si collocano sotto al dato medio, registrando cali, rispettivamente, dell’1,9% e dell’1,7%.
Rispetto alla densità abitativa, le aree scarsamente popolate registrano una contrazione dell’occupazione del 3,0%, a fronte di un -1,9% delle aree densamente popolate e di un -1,6% di quelle a densità intermedia. Ai dati sui dipendenti già estremamente pesanti si aggiungono ovviamente le gravissime difficoltà di molte categorie professionali che non hanno spalle abbastanza larghe per poter reggere a lungo alla mancanza di attività. Una situazione pericolosissima sul piano della tenuta sociale.