Sinistra e sinistrati: quello che avreste voluto sapere, ma che non avete mai osato… vedere

Sono passati 11 mesi dal 4 marzo 2018 che ha visto la debacle del centro sinistra di ogni ordine e grado. Se infatti nel partito democratico il castigo degli elettori è stato massivo non è che da altre parti della sinistra ci sia stato da festeggiare, anzi. Ora a quasi un anno dalla sconfitta il PD con la lentezza di un bradipo arriva al congresso e senza di fatto aver fatto autocritica sulle politiche che l’hanno portato a dimezzare il consenso. Troppo facile attribuire tutto all’antipatia di Renzi o alla incapacità dell’elettorato di capire le “fini” politiche dei governi Letta, Renzi e Gentiloni. Ovviamente le ragioni sono più profonde anche se una incapacità a comunicare sullo sfondo c’è, e non è ancora risolta  non solo nel PD. Ma se Atene piange non è che a Sparta ci sia da festeggiare. Gli esperimenti alchemici di Leu con la fusione elettorale “Mdp – Sinistra italiana” sono naufragati elettoralmente ma anche dal punto di vista organizzativo per l’incapacità manifesta di uscire dagli schemi che hanno visto prima proclamare la propria diversità e il primato dei programmi, per poi fare scempio di ogni principio materializzatosi con i giorni surreali della formazione delle liste dove personalismi e ricerca della cadrega hanno fatto violenza sulle centinaia di persone che in quel progetto avevano, forse ingenuamente, creduto probabilmente con l’ottimismo della disperazione. C’è poi Potere al Popolo che è con le sue ingenuità storico ideologiche e la sua rigidità è perfino riuscito a scindersi da se stesso e poi anche  da Rifondazione comunista e che nella confusione di programmi e litigiosi dogmi di principio non sembra ancora oggi alternativa credibile. In realtà l’errore capitale della sinistra è credere che si possa ancora fare politica con macro-argomenti, ideologici sociali ed economici. La battaglia politica per conquistare il voto di un elettorato stanco e disilluso, per avere successo, va invece combattuta sul piano dei micro-comportamenti, ossia anche sulle azioni ordinarie che la gente realmente compie ogni giorno, sulle decisioni che prende quotidianamente, sulle opinioni che sviluppa su questioni anche minime e perfino effimere. È su questi comportamenti che poi la gente costruisce la propria identità: e tale processo di costruzione d’identità è la cultura. Questo l’hanno capito i comunicatori della destra che sfruttano queste debolezze popolari per far passare posizioni sbagliate ma usando le parole giuste. Parla come mangi, si diceva un tempo. Ed allora, per prendere ad esempio il tema migranti parole come “pacchia”,” colazione pranzo e cena” “ciabattanti” e tutto l’armamentario salviniano hanno facile penetrazione e da parole apparentemente innocue diventano portatrici di virus letali come la xenofobia e il razzismo. In questa prospettiva occorre riappropriarsi della semplicità, della capacità di dare risposte precise alle richieste della gente, alle sue paure, quelle giustificate ma anche quelle indotte e non liquidando tutto con richiami alla verità e serietà come tanti maestri o maestrine perennemente in cattedra. Occorre definire la cultura come il punto d’incontro e di sovrapposizione fra l’individuale e il sociale, fra il privato e le necessità collettive. La cultura deve tornare ad essere il dispositivo che l’intelligenza umana ha sviluppato per mediare fra la sfera psichica, essenzialmente egocentrica e autoreferenziale, e la sfera pubblica, fondata sulla comunicazione e sul bisogno di relazioni. Non è un caso che per conquistare o mantenere il potere, i conservatori devono indebolire la cultura, devono cioè impedire che la gente prenda coscienza delle contraddizioni esistenti fra le proprie scelte quotidiane e l’ideologia promossa dalla classe dominante. Limitarsi a spiegare che non è giusto non è sufficiente, occorre dare risposte precise a domande precise, tenendo sempre presente che il liberismo è l’ideologia più pervasiva della storia e che è diventata quasi teologia con il dio denaro motore di ogni desiderio. Chi ha fede nel suo dio denaro, è il mercato assieme al consumismo ne sono parte di una trinità, non ammette alternative. Meglio cominciare a capirlo meglio, questo potere, a smascherare le sue strategie, a rifiutare le sue seduzioni. Forse siamo già tardi perché mentre in molti si distraevano l’americanizzazione berlusconiana prima e renziana poi sono diventate quasi irreversibili, mentre l’alternativa ha preso le vesti della fantasia al potere grillina, un misto post-ideologico dalle mille contraddizioni che rischia di auto-annientarsi lasciando la strada aperta ad una involuzione autoritaria che diventerà sempre più funzionale al peggiore liberismo in salsa sovranista. Così alla fine tutto tornerà al passato e avremo un fascismo ma 2.0.
Fabio Folisi