Da “scarpets” a “scarpetti”, italianizzato in ossequio alla “nazione” il nome del noto prodotto calzaturiero dell’artigianato friulano
Interrogazione del capogruppo del Patto per l’Autonomia-Civica Fvg Massimo Moretuzzo in merito al progetto “Scarpetti” del Museo carnico delle arti popolari di Tolmezzo, che vede tra i suoi partner anche la Regione. “La scelta della denominazione “Scarpetti” è assurda non solo dal punto di vista identitario – ha evidenziato Moretuzzo –. Auspichiamo un progetto serio di promozione di una calzatura che da sempre appartiene alla tradizione della nostra terra, delle sue comunità, non solo dell’area montana, un progetto che passi per il coinvolgimento dei soggetti che la producono ancor oggi”. Si tratta spiega Morettuzzo di «un marchio che, pur facendo riferimento a un prodotto artigianale tipicamente friulano riporta una nomenclatura priva di ogni riferimento chiaramente identificabile come friulano e allora quali ragioni sono alla base della scelta di questo marchio incredibilmente italianizzato?». «La scelta di questa denominazione è assurda non solo dal punto di vista identitario – ha evidenziato Moretuzzo – ma anche per il marketing, le lingue minoritarie sono infatti uno strumento formidabile di immagine. Studi accreditati, tra cui la ricerca di Franco Rosa dell’Università di Udine spiegano “l’efficacia della comunicazione di marketing in lingua friulana”. È già discutibile il fatto che si debba registrare il nome di oggetti universalmente conosciuti come “scarpets” – registriamo forse i termini “pane” o “latte”? –, perché una ditta veneta l’ha già registrato come marchio, ma che si scelga la sua italianizzazione perché lo ha fatto uno zelante notaio del 1931 in un documento dotale, è inconcepibile. A differenza del Vicepresidente della Regione, con delega alla Cultura, Anzil non nutro nessun “affetto per l’italianizzazione dei termini”, per usare le sue parole, anche perché ricordo che nel 1931 il regime fascista non aveva certo simpatia per il friulano, e per le lingue minoritarie in generale, e l’italianizzazione era imposta». «Auspichiamo un progetto serio di promozione di una calzatura che da sempre appartiene alla tradizione della nostra terra, delle sue comunità, non solo dell’area montana, un progetto che passi per il coinvolgimento dei soggetti che la producono ancor oggi eredi di un artigianato storico che ha saputo fare di necessità virtù creando calzature belle, pratiche e sostenibili grazie al riuso consapevole dei materiali», conclude Moretuzzo.