Lettera aperta del Gruppo Immigrazione Salute Fvg della Società Italiana di Medicina delle Migrazione sulla accoglienza dei richiedenti protezione internazionale

Come avviene ormai da molti anni, si riaffaccia sui mass-media, non solo locali, la questione dell’accoglienza dei migranti che arrivano dalla “rotta balcanica” e delle sue diverse declinazioni nelle varie aree della nostra regione. Il Gruppo Immigrazione Salute FVG (GrIS Fvg) è ripetutamente intervenuto, in questi anni, per promuovere e sostenere, accanto alla necessità di una primissima accoglienza che possa soddisfare i bisogni umanitari di base, l’accoglienza diffusa, come miglior strumento di integrazione delle persone accolte e di tutela della salute di tutte le comunità regionali. Purtroppo dal 2018, a seguito dei decreti ministeriali, la quota assegnata agli enti gestori dell’accoglienza è stata drasticamente ridotta e permette di rispondere ai soli bisogni di vitto e alloggio, trascurando tutti i fondamentali servizi necessari ad una vera integrazione, così come erano precedentemente previsti anche per i centri di accoglienza straordinari. In tutti i documenti e le proposte del GrIS Fvg, accolte anche nei protocolli elaborati e diffusi dalla nostra regione per l’accoglienza sanitaria dei migranti, si riconosce la necessità di un approccio realistico e tempestivo della primissima accoglienza in strutture (HUB) rispettose della dignità delle persone, che anche se “spartane” siano in grado di rispondere ai bisogni primari (un tetto, un letto, una doccia, il vitto, una valutazione delle eventuali emergenze sanitarie e l’avvio delle pratiche amministrative/giuridiche), con una permanenza mai superiore alle due settimane; così avrebbe dovuto essere anche la “excaserma “Cavarzerani, come aveva preso forma fra il 2014 e il 2015. E in effetti così è stato nei primi anni: l’accoglienza in caserma nasceva “a porte girevoli”, in modo tale che ci fosse sempre posto per gli ultimi arrivati, ma che tutti si fermassero pochi giorni; si entra, si viene rifocillati, una doccia, un letto, una prima valutazione dello stato di salute e quando arriva il documento si esce verso una accoglienza, più strutturata e più diffusa, all’interno di un Centro di Accoglienza Straordinaria (C.A.S.) o di un centro del Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (S.P.R.A.R. ora SAI) . Negli anni successivi, purtroppo, la durata della permanenza si è venuta allungando a molti mesi, non solo per i cambiamenti nelle dinamiche dei flussi in arrivo in Friuli e per i numeri crescenti di richiedenti asilo, ma anche per scelta “politica” di ridurre e smantellare, anche in sede locale, l’accesso all’accoglienza diffusa sul territorio e in piccoli gruppi,,
concentrando i migranti verso grandi centri di accoglienza, Oggi anche la “Cavarzerani” è considerata un C.A.S., che nel tempo ha visto accolti un numero variabile di persone; nei momenti peggiori si è arrivati ad accogliere anche 1.500 richiedenti protezione internazionale, con tutte le conseguenze e le difficoltà che ne derivano. La situazione è poi esplosa durante la pandemia, con momenti di tensione e situazioni di degrado, affrontate grazie all’impegno del Servizio Sanitario Pubblico, degli enti gestori, alle azioni di advocacy del GrIS Fvg e alla disponibilità delle Istituzioni e delle reti di associazioni del volontariato.
I numeri delle presenze censite nella “Cavarzerani” sono ormai da tempo stabili sulle 540 persone, con una rotazione (ancora troppo limitata) rispetto ai posti nei C.A.S. più piccoli, non appena questi si liberano.
Pur non promuovendo la concentrazione in centri di così grandi dimensioni (come purtroppo succede, con i suoi grandi numeri in un piccolo comune, anche per il C.A.R.A. di Gradisca d’Isonzo, collocato, malauguratamente, accanto a un C.P.R. “ex-CIE”,) , bisogna però sottolineare come la risposta data dalle istituzioni nell’ambito del territorio di competenza della Prefettura di Udine rappresenti una risposta più che dignitosa per persone aventi diritto all’accoglienza, che altrimenti bivaccherebbero in strada o nei parchi cittadini, data la mancanza di posti ordinari o straordinari aggiuntivi; situazione purtroppo  confermata dalle drammatiche condizioni di sopravvivenza nel cosiddetto accampamento spontaneo del “silos” a Trieste. Informazioni raccolte dal GrIS Fvg, direttamente da operatori di Sanità Pubblica e da
volontari, confermano che l’ente che gestisce la “ex-caserma Cavarzerani” si adopera per dare la migliore accoglienza possibile, fornendo anche servizi che non rientrerebbero nel capitolato, come d’altronde succede negli altri C.A.S. sparsi nelle province friulane. Oltre al vitto e all’alloggio (seppur ancora in condizioni di sovraffollamento) l’ente gestore fornisce l’assistenza sanitaria e infermieristica, l’assistenza psicologica e legale, i corsi di italiano, il servizio di mediazione culturale. C’è una stretta collaborazione con il personale dell’Azienda Sanitaria A.S.U.F.C.: sia del Distretto, relativamente alle pratiche di iscrizione
al SSR e al servizio di medicina generale previsto all’interno della struttura, sia del Dipartimento di Prevenzione, per il controllo delle malattie infettive e le vaccinazioni e di quello di Salute Mentale, per la presa in carico dei casi più vulnerabili. Tutto questo in un’ottica di tutela della salute individuale e collettiva dei richiedenti asilo ma anche di tutti i cittadini. L’auspicio è quello di un ritorno e un ampliamento del modello dell’accoglienza diffusa, che in tutta Italia ha dimostrato la sua validità, rispetto ai bisogni e all’interesse del singolo così come della comunità ospitante, senza però abdicare al dovere etico, prima
ancora che legislativo, di accogliere dignitosamente le persone in fuga da guerre, violenze e catastrofi naturali.