Libano rosso e Libano giallo
Ricordi degli anni ottanta quando dal Paese dei cedri arrivava in Italia dell’ottimo “fumo” di qualita’ appunto, rosso o giallo. Che ci fosse un contingente militare italiano in missione di pace da quelle parti, forse era solo una coincidenza, ma quell’hashis girava alla grande e con somma soddisfazione dei suoi estimatori. Ora, in Libano, il rosso sembra rappresentare l’infinita scia di sangue che si continua a versare da quelle parti mentre le complicate dinamiche di quanto li’ accade sembrano ispirarsi ad un giallo degno di Le Carre’.
Erano quelli anche i tempi successivi della strage di Sabra e Chatila e dell’attentato all’allora presidente del Libano Gemayel che assieme ad un’altra ventina di persone perse la vita a causa di uno dei vari botti che periodicamente insanguinano le strade di Beirut. Ne sa qualcosa anche un altro presidente del governo libanese, Hariri che in un altro clamoroso attentato ci ha lasciato le penne nel 2005. Nel frattempo molte cose sono cambiate in Libano, ma nella sostanza non ci sono eccessivi segnali che la vita dei suoi abitanti e la situazione politica abbiano subito radicali trasformazioni. La Siria, da sempre pesente, anche fisicamente, nelle dinamiche della vita libanese, si e’ ritirata in seguito alle accuse di essere dietro all’attentato contro Hariri. Israele interferisce da sempre nello svolgimento delle stesse, viola costantemente gli spazi aerei di quell Paese e ne occupa illegalmente qualche porzione.
Il sistema di governo locale e’ un groviglio dal quale e’ difficile uscire, prevedendo l’assegnazione delle posizioni di potere secondo meccanismi predisposti; un sistema pazzesco di distribuzione di seggi e di ruoli che rappresenta una specie di cancro in perenne metastasi. Hezbollah, importante tessera nella politica locale e pur rimanendone indipendente, e’ il nocciolo duro dell’esercito libanese condizionando pesantemente la politica e l’economia di Beirut, ma e’ la vera contrapposizione e spina nel fianco allo strapotere militare israeliano, grazie agli aiuti iraniani. In questomodo, da una parte evita che Israele si inoltri eccessivamente nel territorio libanese per paura di subire eccessive perdite, ma allo stesso tempo rappresenta una minaccia continua che Israele vorrebbe cercare di estirpare. Dunque una spade di Damocle sulla testa dei cittadini del Libano.
A proposito di botti, quanto successo un paio di giorni fa, dimostra lo stato in cui si trova quel Paese, sull’orlo del baratro economico ed e’ specchio fedele della divisione insanabile in cui la societa’ libanese pare non riuscire a sollevarsi. In realta’, come in altri Paesi nordafricani o mediorientali, esiste una fascia, soprattutto i giovani, della popolazione che di questi maccanismi ne ha le scatole piene. Se il Paese dei cedri e’ alla canna del gas, e’ anche perche’ i vari governanti che si susseguno tra un’elezione e l’altra, si distinguono principalmente per il loro “eccelso” livello di corruzione. Purtroppo le preteste dei giovani e le continue manifestazioni di chi vorrebbe un cambiamento reale, si scontrano con la dura realta’ della situazione politica e spesso con la violenza della repressione.
La spartizione del potere attraverso i meccanismi di cui sopra (ad ogni fazione e’ garantito un posto di rilievo nel governo e se una ricopre il ruolo di presidente, quello di primo ministro deve andare all’altra e via dicendo) rende di fatto la possibilita’ di governare praticamente irrisolvibile. Tra un’alleanza e l’altra, la varie parti sono sempre in lotta nonostante qualche timido, e destinato a rimanere sulla carta, tentativo di riappacificazione; in un contesto del genere, gli equilibri rimangono perennemente in bilico.
Ne e’ testimonianza la sparatoria dell’altro giorno, quando Hezbollah aveva organizzato una dimostrazione per cercare di delegittimare (probabilmente di intimidire) il giudice che sta indagando sulla “strage del porto”, quando un annatto fa qualche migliaio di tonnellate di nitrato di ammonio erano esplose causando la morte di piu’ di 200 persone e la distruzione di un intero quartiere. Sta di fatto che il giudice ha chiamato per interrogarli vari personaggi per lo piu’ legati ad Hezbollah ed Amal (alleate tra di loro) e sui quali cade il sospetto di essere tra i responsabili della catastrofe. Il quartiere distrutto era principalmente abitato dai cristiani, in qualche modo alleati dei sunniti (Hezbollah e’ al contrario un’organizzazione sciita) e dei drusi.
La dimostrazione aveva come obiettivo di raggiungere il tribunale che si trova in una zona Cristiana, ma confinante con una roccaforte sciita; area che ovviamente avrebbe dovuto essere attraversata dai manifestanti. Di recente tra i gruppi rivali era stata firmata una tregua che avrebbe dovuto garantire la pace tra le fazioni. Ma si sa che le cose e gli equilibri da quelle parti sono sempre piuttosto precari e influenzati anche da fattori, chiamamoli pure interessi, esterni.
Sta di fatto che alcuni di questi elementi esterni stanno cercando di dare una nuova forma alle alleanze della regione che potrebbero ridisegnare lo stato delle cose molto piu’, o forse solo come conseguenza, del piano per il Nuovo Medio Oriente made in USA e che ha provocato i macelli che hanno sconvolto Iraq, Siria e Yemen e che ancora non sono stati definiti (anzi) nella loro forma finale.
L’Iran ha approfittato dei conflitti in Iraq ed in Siria per espandere i suoi interessi in quei due Stati in cui la maggioranza sciita (in Iraq) e l’alleanza con l’alawita (sciita) Assad potrebbe garantire uno sbocco al Mediterraneo che evidentemente rappresenterebbe un enorme contributo alle esportazioni del gas e del petrolio persiano verso un mercato estremamente ricco ed interessante. Non dimentichiamo che l’Iran non e’ solo una potenza “energetica”, ma anche un Paese molto industrializzato anche se con un’economia strangolata da embarghi e sanzioni, e dunque potrebbe esportare non solo gas e petrolio, ma anche prodotti manifatturieri.
Dall’altra parte, quella sunnita per capirci, nessuno e’ rimasto con le mani in mano e i cosiddetti accordi di Abramo tra gli Emirati del Golfo ed Israele sono stati firmati prevedendo intensi rapporti diplomatici, economici e soprattutto militari tra le parti. Naturalmente in tutto cio’, gli USA non sono rimasti ad aspettare riuscendo in parte nell’operazione di costruzione di un’alleanza mediorientale sullo stile della Nato, che prevede anche la partecipazione di altre nazioni arabe e che dovrebbe garantire una risposta comune alle pretese di espansione dell’Iran. E magari trovare una qualche scusa per poter attaccare direttamente Teheran, come da tempo minaccia Tel Aviv.
E’ possibile che anche questa evoluzione delle cose, nonche’ il sempre maggiore risentimento contro Hezbollah, possa aver concesso ai cristiani di Beirut l’illusione di potersi muovere con una certa tranquillita’ e sparare sul corteo (all’interno del quale c’era parecchia gente armata) che stava attraversando la via che stabilisce il confine tra una zona e l’altra delle due fazioni. Che alcuni Stati confinanti con il Libano stiano dietro ai vari gruppi libanesi perennemente in lotta tra di loro, ci sono davvero pochi dubbi, tanto quanto che determinate azioni siano concordate con questi attori esterni.
Ma, come si sa, in MedioOriente niente e’ dato per scontato e il fatto stesso che l’Arabia Saudita non abbia firmato gli Accordi di Abramo e che stia cercando di riprendere rapporti diplomatici con gli acerrimi nemici iraniani, che Abu Dabi abbia una sua delegazione diplomatica in SIria e recentemente abbia promesso al governo di Damasco importanti aiuti alla ricostruzione del Paese, potrebbe mettere in discussione rapporti che fino a ieri apparivano granitici.
Anche per questo forse, qualcuno, Israele per non fare nomi, potrebbe pensare che sia meglio premere affinche’ si arrivi ad uno scontro armato con l’Iran (di cui Hezbollah e’ strettissimo alleato e l’assoluto nemico degli israeliani) al piu’ presto possibile, ignorando ma probabilmente no, quali potrebbero essere gli effetti e le ripercussioni di un atto del genere in tutta la regione. Lo stesso atteggiamento degli USA con il suo rappresentante diplomatico Blinken sempre piu’ deciso ad arrivare ad uno scontro con la Persia, rimangiandosi le promesse di una riattivazione dell’accordo sul nucleare che era nell’agenda di Biden, ma che ora viene rimesso in discussione con modifiche e pretese che difficilmente l’Iran potrebbe accettare e che con il precedente accordo nulla hanno a che vedere.
Insomma, niente di novo sul fronte orientale, salvo che nulla, come al solito, si puo’ dare per scontato. Tranne che ancora per un bel po’ i casini non mancheranno. Rosso e giallo non mancheranno; purtroppo non saranno quelli degli anni ottanta.
Docbrino