Allarme dei sindaci sull’occupazione di superficie agricola da pare di grandi impianti fotovoltaici

Il sindaco di Pradamano ha lanciato un grido d’allarme, condiviso da molti sindaci, e non da oggi, sull’occupazione di superficie agricola da pare di grandi impianti fotovoltaici. La questione posta merita considerazione perché ogni cosa, soprattutto, se nuova, deve avere la sua misura e trovare equilibrio e buon senso; certo, quando si tratta di interessi economici legittimi (quelli dei proponenti di impianti) è difficile ricondurli ad un quadro di programmazione o, meglio, di pianificazione che ne assorba gli eccessi e che distribuisca gli impianti nel territorio evitando uno “sprawling” inaccettabile; ma quello che sta succedendo a Pradamano e, più in generale, attorno al vaso di miele della grande Stazione elettrica di Udine Sud, è un’attrattiva troppo grande per le api energetiche che vengono attratte da essa per i propri impianti.
Decine di impianti distribuiti tra Pradamano, Pavia di Udine, Bicinicco, Santa Maria la Longa, Trivignano Udinese, Udine sono segno di un problema che va affrontato urgentemente se vogliamo preservare il rapporto massimo di occupazione delle aree agricole fissato nella misura del 3% dalla legge e oggi già abbondantemente superato (6,6% della SAU di tutti i 6 comuni).
E così succede che la misura e il buon senso saltino contro ogni disposizione di legge (3% di SAU massima, criteri di “distribuzione” sul territorio che impediscano concentrazioni eccessive di impianti) e rendano possibile che in un solo comune (Pradamano) si superi il 20% di superficie agricola occupata da impianti!
Si tratta, si badi bene, di occupazione di superficie agricola alla quale va sommato il consumo di suolo vero e proprio, quello a base di asfalto e cemento; ma questo più quella, se smisurati, soprattutto il secondo, alterano profondamente il territorio, in particolare quello agrario, dove ancora risaltano contenuti paesaggistici e naturalistici oltre che paesaggistici ed agronomici di grande valore.
Come noto, Legambiente ha una posizione chiara e pubblica su questo argomento: favorire e accelerare le rinnovabili, anche nei campi, ma non senza ottemperare ad alcuni criteri allocativi, qualitativi e partecipativi che ancora stentano ad affermarsi.
Certamente esempi buoni ce n’è; imprese agricole che installano pannelli nei propri campi con criterio e buona misura (di superfici) vanno sostenute, incoraggiando anche le Università a sostenere le sperimentazioni agronomiche nel mosaico microclimatico che i pannelli generano e che offrono opportunità da monitorare rispetto agli eccessi che la crisi climatica genera.
Ciò che la Regione deve fare, ora, in particolare, che ha una nuova legge sulla aree idonee, è legiferare sulle modalità di corretto ed efficacie svolgimento della informazione e partecipazione e governare questi processi insediativi, privilegiando coperture e superfici possono convivere con coraggio e determinazione; coraggio, perché qualche volta è anche necessario dire di no (si sa che i progetti sono sempre autodimostrativi della loro sostenibilità e utilità); determinazione, perché solo facendo rispettare con rigore le norme che (finalmente) ci sono si potrà conseguire quell’equilibrio che è necessario a tutti per dare modo alla transizione energetica di inverarsi e ai territori rurali di mantenere alcune delle loro caratteristiche formali residue che, in Friuli, sono spesso, ancora, di grande valore e che possono convivere, dove è normativamente possibile, con i nuovi paesaggi del sole.
Diciamo dunque no agli eccessi di impianti come sta succedendo a Pradamano, comune che sappiamo non essere aprioristicamente contro le rinnovabili. Questo eccesso può avere anche un impatto negativo sulla percezione della popolazione sulle rinnovabili, favorendo così contrarietà alle stesse e contribuendo a favorire lo statu quo fossile: avanti con il gas, il nucleare di quarta generazione che ancora non esiste. Un percorso garantito verso l’inferno climatico.
Tuttavia, questi progetti di trasformazioni territoriali non possono essere disgiunti anche da una riflessione più ampia sul modello agricolo a cui tendere. I campi, sempre più spesso, sono destinati alla produzione di mangimi per allevamenti intensivi, un sistema che genera elevate pressioni sull’acqua, suolo e clima, con un impatto sulla salute umana e un ridotto ritorno economico per l’agricoltore.

Emilio Gottardo Referente per Energia e Clima di Legambiente FVG