Annullata del tutto la favoletta della tassazione sugli extraprofitti delle banche. Il “balzello” darà gettito “zero”

Il giudizio sulla politiche economiche del governo Meloni, al di là degli aspetti ideologici che pur un peso dovrebbero avere, non può che essere severo. Non è una sensazione, ma una costatazione di inadeguatezza di un governo che sembra fatto, anzi probabilmente è composto, prevalentemente da apprendisti allo sbaraglio. Peccato che allo sbaraglio stanno mandando il paese, l’intero paese, anche quelli che non li hanno votati. Prendiamo come esempio la sparata propagandistica della tassa sugli extraprofitti delle banche che aveva fatto gridare al miracolo visto che una volta tanto si colpiva chi sulle disgrazie dei più aveva fatto cassa. Ebbene finito l’effetto dell’annuncio popolare, il soufflé si è sgonfiato e non perché le banche abbiano fatto più di tanto per dribblare il provvedimento, non siamo al solito fatta la legge trovato l’inganno, ma più semplicemente perchè in una sorta di pentimento silente l’inganno è stato offerto dallo stesso governo su un piatto d’argento. E’ stato infatti lo stesso esecutivo  a fornire la scappatoia agli istituti di credito. In sostanza la scappatoia è stata quella  di dare alle aziende del credito la possibilità di scegliere tra pagare la tassa, per dipiù ridotta,  e porre gli utili a riserva patrimoniale. Così alla fine della giostra le previsioni di chi non si fidava si sono avverate. Il sistema bancario è riuscito ad evitare la tassa sugli extraprofitti degli istituti di credito e senza grande fatica o studio da parte dei loro efficientissimi studi legali. Così il balzello che se secondo la premier Giorgia Meloni avrebbe dovuto far entrare nelle casse dello Stato ben tre miliardi di euro si è sciolto come neve al sole. Come ci si ricorderà il prelievo era stato approvato ed annunciato come provvedimento di giustizia sociale nell’agosto scorso, ma già a settembre in una sorta di pentimento, il governo aveva offerto la scappatoia alle aziende del credito dando appunto la possibilità di scegliere tra pagare la tassa e porre gli utili a riserva, con unico vincolo di non poterli distribuire direttamente  agli azionisti. Ed ovviamente piuttosto che dare soldi allo Stato le banche hanno preferito mettere quei denari nel proprio salvadanaio. L’operazione è già stata attuata dalle grandi banche quotate: Intesa, Unicredit, Banco Bpm, Mps, Bper, Popolare di Sondrio, Credem e Mediobanca hanno risparmiato circa 1,8 miliardi di euro di imposte. Aumentando il proprio patrimonio di 4,5 miliardi, ma in un delirio di presa per il culo degli italiani, la stessa cosa l’hanno fatta le banche a controllo pubblico come il Monte dei Paschi di Siena e il Mediocredito Centrale. In sostanza anche se la somma da mettere a riserva è pari a due volte e mezzo quella che avrebbe dovuto incassare l’erario, a perderci sono solo gli italiani, tranne quella esigua parte che è  azionista degli istituti che hanno incrementato la loro solidità e capacità di credito. Ma c’è di più, tutto questo è avvenuto anche se la tassa extraprofitti era stata “ammorbidita” attraverso il cambio della modalità di calcolo dell’imposta dallo 0,1% dell’attivo allo 0,26% ponderato per il rischio. Ma alle banche è sembrato comunque troppo e così hanno optato per il contributo “zero”. Bisogna anche costatare che anche l’opposizione, almeno sul piano della comunicazione, appare inadeguata. Su questa vicenda avrebbe dovuto gridare allo scandalo,  si sarebbero dovute fare denunce puntuali e una campagna senza sconti. Ed invece meglio farsi impaludare nella stupida polemica sui centri in Albania che si estingueranno da soli perchè sono come il “blocco navale” solo chiacchiere propagandistiche.   Oibò viene il dubbio che anche nel centrosinistra, tutto sommato, l’occhio di riguardo verso le banche sia di casa.

Fabio Folisi

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