Dies Iraq
Il 3 Gennaio, ricorre il primo anniversario dell’attentato in cui un drone USA pose fine all’esistenza di Qasem Soleimani. Una giornata che non puo’ passare inosservata ne’ tantomeno senza che un segnale da parte dei suoi seguaci dia visibilita’ alla ricorrenza. Ad onor del vero, gia’ negli scorsi giorni le attivita’ delle milizie legate al generale si sono fatte sentire, seppure non ci siano state rivendicazioni ne’ rispetto al lancio di missile sulla zona verde della capitale iraqena, ne’ in merito agli “incidenti” occorsi ai convogli USA che trasportavano materiale “logistico” in supporto alla lotta contro l’Isis. Ci sarebbe da notare che ormai da qualche tempo non si sente parlare di importanti interventi Usa contro gli eredi del califfato; piuttosto parrebbe che i mezzi e i supporti logistici servano all’esercito iraqeno che si trova spesso a dover affrontare le resistenze di cio’ che rimane delle truppe di quei fanatici sanguinari, oppure ad appoggiare azioni militari Usa, ma non esattamente mirate a combattere Daesh (Isis per gli arabi).
L’aviazione Usa sembra piu’ concentrata a limitare la presenza e il relativo potere che le milizie sciite (irachene, libanesi, afgane, pachistane) e l’esercito di Damasco esercitano nel sud est della Siria e nell’ovest dell’Iraq, zone in cui la maggioranza della popolazione e’ sunnita, in qualche modo legata alle cellule rimanenti attive dell’Isis e decisamente ostili alla presenza ingombrante e dai modi spicci delle truppe sciite, ma anche rispetto a presenze esterne in genere. E’ sicuramente quella l’area in cui si gioca il futuro degli interessi che le potenze straniere immaginano di potre esercitare sull’intero scenario del Medio Oriente.
In ogni caso, per ora ed in attesa di cio’ che potrebbe accadere domani, pare che ci si limiti ad organizzare manifestazioni un po’ in tutto il paese (ma anche ovviamente in Siria) per onorare la morte di Soleimani e rivendicare la gestione del potere da parte degli sciiti che hanno accettato a malincuore la nomina caduta su Khadimi come primo ministro. Khadimi, doppio passaporto iraqeno/britannico, ed ex capo dei servizi segreti iraqeni, non e’ troppo ben visto dalla maggioranza sciita della nazione. La sua vicinanza agli Usa gli ha fatto meritare accuse di collusione nell’assassinio di Soleimani e di Abu Mahdi al Muhandis, meno citato rispetto al grande generale, ma altrettanto importante soprattutto per le sue truppe che rappresentano il gruppo armato piu’ agguerrito che opera nell’area. E quello che piu’ di frequente riesce a colpire la zona verde di Baghdad.
La regione dell’Anbar che confina con la Siria piu’ tribale e sunnita rimane strategicamente determinante sia per le mire espansionistiche dell’Iran, sia e soprattutto per quelle della “Nuova Via della Seta” sulla quale la Cina immagina di basare una parte importante dei suoi rapporti commerciali del futuro. E’ chiaro che da qui alla realizzazione di tali piani passera’ molto tempo, ma l’impero del dragone si e’ sempre distinto per la pazienza con cui insegue i suoi obiettivi. Gli accordi stretti con l’Iran e nonostante tutto con la Russia, che da quelle parti ha interessi che possono essere complementari a quelli di Iran e Cina, ci dimostrano come anche per i prossimi anni la pace in Medio Oriente ha buone possobilita’ di aspettare.
Nel frattempo, ignorate dai media occidentali, le proteste e le manifestazioni continue da mesi tengono soprattutto i giovani, che rappresentano la maggioranza della popolazione, quotidianamente e nonostante le restrizioni dovute al covid 19, nelle piazze della capitale e delle maggiori citta’ iraqene del contro-sud. Iniziative che non hanno una precisa collocazione politica o “di parte” (inteso come appartenenza a gruppi sunniti piuttosto che sciiti) e che sono costate centinaia di vittime (sempre nel disinteresse di cui sopra), dimostrano come la gente ne abbia le tasche piene di vivere in un paese che galleggia sul petrolio mentre la corruzione dilagante ed indipendente da chi governa, riesce a far sparire nelle solite tasche quantita’ immense di danaro, facendo rimanere i cittadini in miseria e privi di servizi decenti.
L’obiettivo di riuscire a spaccare l’Iraq in tre regioni diverse, il nord kurdo, l’ovest sunnita e il resto del paese sciita (divisione sommaria ma che riflette un po’ cio’ che alcuni pensavano di realizzare), e’ per ora fallito. Cio’ che rimane in ogni caso e’ una divisione di fatto e che mette in crisi le relazioni tra le diverse aree dello Stato e non fa che peggiorare ulteriormente la situazione di un paese che da 30 anni e’ sotto occupazione.
Khadimi le prova tutte, compreso il rinsaldare i rapporti con la Turchia, principale sbocco commerciale non solo per il nord kurdo ricchissimo di petrolio ma con l’unica opportunita’ di esportare ed importare dall’incomodo, e nemico storico dei kurdi, vicino. I rapporti con Ankara sono necessari quanto complicati tanto che i leaders della Regione Autonoma del Kurdistan hanno dovuto svendere il PKK (partito dei lavoratori del Kurdistan turco) che nelle montagne del nord e in quelle dello Sinjar (ci ricordiamo degli Azidi?) avevano e tutt’oggi hanno le loro basi. Kurdistan iraqeno (KRG) che da sempre e’ gestito da una famiglia (al massimo da due…) che di volta in volta provvede presidenti e capi di governo e che ha in mano le principali fonti economiche della regione in cui tutto si sta privatizzando.
Come si diceva, la maggioranza della popolazione e’ di religione sciita e cio’ comporta dei legami con gli ayatollah iraniani che hanno da sempre un’influenza pesantissima nelle dinamiche iraqene (per dire citta’ come Karbala, Najaf, Nassiryah -ci ricorda qualcosa?-, Basrah, sono luoghi di estrema importanza di culto e del potere shiita), tanto da condizionare anche le scelte politiche e di governo di Baghdad. La stessa Sadr City, zona sud di Baghdad a stragrande maggioranza sciita e che i militari Usa avevano avuto la brillante idea di battezzare Marlboro City (c’era una grande fabbrica di sigarette nell’area) e’ una delle roccaforti di Muqtada al Sadr, leader dello sciismo radicale che vanta anche una delle milizie piu’ organizzate e vera spina nel fianco dei soldati Usa fin dall’inizio dell’occupazione.
Buona parte degli sciiti hanno come punta di riferimento il grande ayatollah Al Sistani, capo della parte piu’ moderata dei fedeli dell’Islam che guarda a Teheran. Tra Sistani e Al Sadr i rapporti non sono propriamente sereni ed entrambi sono in grado di influenzare pesantemente le dicisioni del governo e la sua composizione. Lo stesso coinvolgimento dell’Iran, che ha ovviamente molto peso nel guidare le scelte politiche iraqene, e’ frutto delle decisioni fluttuanti dei due leader sciiti che cercano di ritagliarsi un potere personale e di tenere possibilmente lontane le mani degli ayatollah iraniani pur necessitando allo stesso tempo il loro determinante supporto.
Intanto l’economia del paese e’ allo stremo, lo stesso KRG non e’ in grado di far fronte alle spese legate all’amministrazione della regione, spese che secondo i reciproci accordi (con Baghdad) dovrebbero essere a carico del governo centrale che pero’ a sua volta accusa il governo regionale di non rispettare i pagamenti delle tasse sulle rendite del petrolio che il Kurdistan vende principalmente (spesso in nero) alla vicina Turchia. Le stesse restrizioni legate alla larga diffusione del Covid 19 sono spesso infrante dalle manifestazioni di protesta da parte di una popolazione che non riesce a riscuotere gli stipendi dei dipendenti pubblici e che a causa della crisi delle vendite del petrolio vede ridursi le prebende derivanti dall’unica risorsa della regione.
Insomma, se la Siria non se la passa troppo bene, l’Iraq non sta molto meglio. La stessa eventuale decisione di ritirare le proprie truppe (ritiro chiesto dal governo iraqeno giusto un anno fa a causa dell’assassinio di Soleimani) potrebbe risultare un ulteriore aggravamento della situazione che, a quel punto, potrebbe davvero deflagare in conseguenze imprevedibili. La Cina per ora sta a guardare, avendo molto da guadagnare dalla rinuncia degli Usa di governare, a modo loro, una parte cosi’ rilevante del nostro pianeta.
Sempre che il biondo sul viale del tramonto non decida, come ultima mossa in grado di scombinare ancora una volta le carte, di provocare un intervento militare in Iran che, quando ancora possibile, renderebbe la situazione mediorientale un vero vespaio che non si riesce ad immaginare dove potrebbe portare.
Buon anno….