Emergenza pluralismo nell’informazione. Censure dietro l’angolo, non fatto nuovo, ma ormai la misura è colma

Non meraviglia la censura nei confronti di Angelo Floramo, neppure gli uomini di cultura di riconosciuto valore  sono al riparo dinanzi a certi interessi. Purtroppo non basta neppure la Costituzione a difendere  completamente la libertà di stampa e di opinione, cerchiamo di capire di più perché accade.  “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”. Questo è quanto dispone l’art.21 della Costituzione, peccato però che i Padri Costituenti, nonostante la loro lungimiranza, non potessero considerare le insidie del “mercato” del terzo millennio. Insomma la libertà d’espressione è garantita solo in teoria, ma in realtà appare evidente che la dichiarazione costituzionale non è sufficiente, se è vero come è vero, che nella classifica internazionale sulla libertà di stampa stilata da Reporter Senza Frontiere, l’Italia è al 41° posto. Ovviamente i motivi di tale posizionamento insoddisfacente per un paese democratico, sono molti e ben sintetizzati da Reporter Senza Frontiere: «La libertà di stampa in Italia – si legge nella scheda Paese del World press Freedom index 2023 – continua ad essere minacciata dalla criminalità organizzata, in particolare nel Meridione, oltre che da vari gruppi estremisti violenti. Attacchi che sono notevolmente aumentati durante la pandemia e continuano a ostacolare il lavoro dei professionisti dell’informazione, soprattutto durante le manifestazioni». Pur in un panorama mediatico nazionale che garantisce il pluralismo, in un quadro normativo che, nel 2022, ancora risente di «una certa paralisi legislativa» su temi come la diffamazione, a condizionare il lavoro dei giornalisti, oltre alle intimidazioni e alle minacce, è soprattutto la «crescente precarietà che mina pericolosamente il giornalismo, il suo dinamismo e la sua autonomia».
Ed ecco chiarito l’arcano: è soprattutto la “precarietà che mina pericolosamente il giornalismo, il suo dinamismo e la sua autonomia”. Ma da cosa è generata la precarietà e aggiungiamo noi la paura di perdere il posto di lavoro per chi precario formalmente non lo è, se non dal fatto che giornali e tv e ogni altro media digitale o meno, dipendono dal “mercato” e soprattutto dal fatto che non esistono più editori puri ma che la stragrande maggioranza di questi sono detentori di ben altri interessi. Interessi che vanno tutelati dal loro punto di vista ben oltre la correttezza del mezzo d’informazione. Ovviamente è argomento delicato, da maneggiare con cura, perché, servizio pubblico Rai a parte (sul quale andrebbero fatte altre considerazioni sulla barbarica invasione della politica), l’impresa editoriale è iniziativa privata e quindi “naturalmente”  soggetta ai desiderata del “paron” di turno. Ma non può sfuggire che per sua natura e funzionane la stampa e i giornalisti che animano le redazioni, o dovrebbero farlo, sono altro rispetto a dei semplici esecutori di manovre manuali più o meno complesse, anche se in tanti ne sognano la sostituzione con la mitica “intelligenza artificiale”. Ad aggravare il quadro nel lavoro dei giornalisti con la “schiena dritta”, le campagne di intimidazione, le querele preventive e quelle temerarie, dove primeggiano taluni studi legali “specializzati”, operazioni spesso orchestrate contro coloro che indagano su malaffare e possibili corruzioni. Un mestiere sempre più difficile quello del giornalista, in gioco non solo la deontologia professionale, ma anche quell’onestà intellettuale nel giudicare fatti e idee, per non parlare dell’etica che dovrebbe far discernere fra il bene e il male. Inutile quindi gridare allo scandalo per il fatto che una nuova proprietà faccia pesare il proprio ruolo in assenza di regole precise sulla concentrazione editoriale. Spetterebbe alla politica garantire il riequilibrio  attraverso strumenti di sostegno che valgono, meritoriamente, per i circhi ma che nei confronti dei giornali sono invece pieni di paletti e lacciuoli  spesso insormontabili per le piccole realtà. L’altra critica, forse la più cocente, dovrebbe essere indirizzata nei confronti di chi spesso è più “realista del re”, ai tanti signor sì di cui è costellata la società italiana, mondo del giornalismo compreso. Ma diciamo apertamente, i “signor sì” sono spesso premiati. Superato lo scoglio, per alcuni per fortuna insormontabile, di potersi guardare allo specchio senza riconoscersi nell’opportunista leccaculo di turno, alla fine restano sempre in sella e trovano perfino finanziatori contro la loro stessa natura ideologica o presunta tale per fondare nuovi giornali. A chi non si piega non restano neppure le briciole in un sistema nel quale tanti gridano allo scandalo, anche i queste ore,  nel vedere violentata la democrazia e il pluralismo, ma poi ad aiutare concretamente le realtà indipendenti aprendo il portafoglio ……. restano solo pochi, sempre meno. La conseguenza che sempre meno sarà l’offerta dell’informazione davvero libera.

Fabio Folisi

Cala la censura su Angelo Floramo per la sua espressa contrarietà all’acciaieria?