Hospice, le precisazioni di Gian Luigi Gigli

Gentile Direttore,
leggo con ritardo l’articolo sulle traversie dell’Hospice cittadino, apparso a sua firma su FriuliSera del 19 aprile scorso. Desidero anzitutto congratularmi con la sua testata per aver riacceso i riflettori su un argomento di civiltà, come sono le cure palliative, rispetto al quale mi sento particolarmente attento, come cittadino e ancor più come medico di lungo corso che ha potuto servire il Paese anche in Parlamento.
Al tempo stesso non posso esimermi da alcune precisazioni e integrazioni, che credo possano essere di qualche interesse per i lettori del suo giornale. Lo farò, è ovvio, limitamente al periodo nel quale ho avuto qualche ruolo nella vicenda. La Fondazione Morpurgo-Hofmann, della quale ero consigliere dal 1998, aveva nel suo statuto il fine di occuparsi degli anziani. Normale quindi l’interesse per l’Hospice, visto che le malattie oncologiche, pur non essendo esclusiva degli anziani, colpiscono soprattutto le fasi di età più avanzate.
Dal 2000 al 2002 sono stato membro del Consiglio Superiore di Sanità, mentre era Ministro della Salute Rosy Bindi, una persona spigolosa, ma di grandi ideali e orizzonti. Convinto della importanza clinica delle cure palliative correttamente intese, anche come prevenzione della deriva eutanasica, mi rivolsi al Ministro Bindi affinché il Ministero sostenesse la richiesta di finanziamento per l’Hospice a Udine. La richiesta era stata presentata da Orfeo Busatto, allora Presidente della Fondazione Morpurgo Hofmann, con il consenso della Regione, in un momento nel quale le istituzioni sanitarie pubbliche non mostravano ancora interesse per il tema. Riuscii ad ottenere quattro miliardi di lire, non poco per l’epoca. A questa cifra si contava di poter aggiungere il valore del terreno (ex Clinica Santi di Via Montegrappa) e parte del patrimonio della Fondazione. Per quanto non trascurabili a quei tempi, si trattava tuttavia di somme insufficienti, non tanto per edificare, quanto piuttosto per gestire sostenibilmente la struttura. L’idea di affiancare all’Hospice una Residenza Sanitaria Assistenziale (RSA) nacque da qui e non da smanie di grandezza, come lei pare adombrare nel suo articolo. È evidente, infatti, che alcuni oneri fissi che possono gravare pesantemente su una struttura piccola, vengono a diluirsi in una logica di economia di scala.
Fatta questa scelta, nacque spontanea la ricerca di un partner, in grado di affiancare risorse e, soprattutto, l’esperienza sanitaria e la capacità gestionale che la Fondazione Morpurgo-Hofmann non possedeva. In questa ricerca mi impegnai, in qualità di Presidente della Fondazione dal 2001. Allo scopo fu sondata la disponibilità di diversi enti, tra cui Anni Verdi, all’epoca gestore di una serie di residenze per disabili nel Lazio e interessata ad estendere la sua rete ina altre regioni. Fu esplorata anche la disponibilità della diocesi di Udine con il compianto Arcivescovo Brollo. Tutto si rivelò non praticabile, perché nessuno era disposto a rischiare, senza che fosse stato prima chiarito il tema del convenzionamento con la sanità regionale. L’unico interesse, manifestatosi senza che noi lo cercassimo, fu alla fine quello di una struttura assistenziale udinese che, fiutandone la scarsa trasparenza, avemmo l’istinto di rifiutare, fortunatamente, visto poco dopo avrebbe avuto problemi con la giustizia. Fu a questo punto che la Regione incominciò ad interessarsi attivamente del progetto, autorizzando nel 2006 l’Azienda Medio Friuli (dal 2005 diretta da Paolo Basaglia) ad entrare nel progetto e ad accendere il mutuo per completare il finanziamento dell’opera. Il coinvolgimento dell’Azienda Territoriale per l’Edilizia Residenziale (ente pubblico), si colloca in questo contesto. Il progetto nell’area ex Clinica Santi veniva confermato solennemente da parte dell’Assessore alla salute Vladimiro Kosic ancora nel settembre 2008, alla presenza del presidente della nuova Fondazione Hospice-RSA Morpurgo-Hofmann Azienda sanitaria “Medio Friuli”, Gianpiero Fasola, del direttore dell’Ass 4, Paolo Basaglia, e di Beppino Colle che nel 2007 mi aveva sostituito alla presidenza della vecchia Fondazione Morpurgo-Hofmann. Perché tutto si fermò dunque? Più che per l’avvicendamento in alcuni posti di responsabilità, il progetto si arenò di fronte all’ostacolo insormontabile posto dal Comune di Udine (sindaco Furio Honsell dall’aprile 2008) per la presunta insufficienza dei parcheggi previsti, ritenuta dannosa per la circolazione attorno a via Monte Grappa. Alla richiesta che l’Hospice potesse nascere, il Comune rispose nel 2010 con la proposta di spostare l’opera nell’ex Caserma Piave. Una scelta che equivaleva ad affossare ogni speranza, non foss’altro per le opere di urbanizzazione e di bonifica ambientale che avrebbe richiesto. Peraltro, a chi all’epoca sollevò problemi ambientali, si rispose minimizzando che si trattava solo residui ferrosi, sui quali non sarebbe stato necessario effettuare costose verifiche.
Mi fermo qui, nella ricostruzione, perché, dopo che la mia presidenza era già cessata nel 2007, nel 2011 uscii anche dal Consiglio della Fondazione Faccio solo rilevare che nell’ex Clinica Santi, grazie a una modifica di piano regolatore che cambiava la destinazione d’uso dell’area, è nato nel frattempo un grande supermercato, attività che certamente non richiede una disponibilità di parcheggi minore di quella necessaria per l’Hospice-RSA.
La città ha avuto un inutile punto commerciale in più (se ne potrebbero citare altri, sorti come funghi all’epoca di quella amministrazione comunale); Udine è però ancora priva di un Hospice quale dovrebbe essere: esterno all’ospedale, inserito nella comunità. Ringrazio per l’attenzione e saluto cordialmente.

Prof. Gian Luigi Gigli

 

Ringraziamo il Prof Gigli per la sua attenzione ma ci corre l’obbligo di precisare a nostra volta che la nostra era una ricostruzione giornalistica in sintesi di una vicenda lunga oltre vent’anni, detto questo il giudizio critico ed in particolare l’adombrare “manie di grandezza” si può certamente allargare all’intera vicenda compresa la velleitaria e certamente mai chiarita fino in fondo volontà del Comune di Udine (sindaco Furio Honsell)  relativamente all’area della ex caserma Piave,  anche dopo la notizia del profondo inquinamento del terreno fra l’altro  più che prevedibile vista la destinazione che per decenni aveva avuto quella struttura militare. Un inquinamento che voleva interventi di bonifica enormi e costosissimi tanto da far fallire sul nascere ogni ipotesi di utilizzo (fra l’altro non ci risulta siano stati successivamente fatti interventi da nessuno lasciando quell’area della città come un bubbone infetto). Concordiamo anche sul fatto che la questione parcheggi relativamente alla presunta inadeguatezza  dell’ex clinica Santi per problemi di viabilità e parcheggi  era argomentazione piuttosto “debole”, alla luce fra l’altro, come evidenziato, che in quell’area è sorto  un supermercato  che di certo porta traffici di auto e persone decisamente più elevati rispetto ad una struttura sanitaria di lungodegenza. Anche se bisogna aggiungere che la pianificazione di utilizzo fra aree pubbliche e private risponde a principi diversi nel senso che in mancanza di strumenti normativi un area non si può bloccare una iniziativa privata. Se poi gli strumenti vi erano e non sono stati utilizzati è altro problema e non certamente solo di natura politica. Detto questo  credo potrà concordare con noi sulla necessità che un servizio al cittadino delicato per tutte le implicazioni che comporta  come quello dell’accompagnamento dignitoso alla fine di un’esistenza, sia fatto di assoluta preminenza per uno stato moderno e che questo non può essere fatto oggetto di speculazioni. Questo vale per il passato e auspichiamo per il presente e per il futuro. Per questo abbiamo sollevato il problema.

Il Direttore

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