In FVG comanda il Covid. Sarebbe tempo di reagire, basta scarica barile e propaganda
Ci sono momenti, nella storia, in cui qualcuno deve avere il coraggio di dire basta. Se non lo fa la politica d’opposizione o quantomeno lo fa in maniera timida ed inefficace, allora è il caso scenda in campo la società civile. In questi giorni, assistiamo all’ennesimo balletto di sussurri e grida mentre si palesa ancora di più l’incapacità gestionale della crisi pandemica in Fvg. La Regione Fvg nelle sue massime autorità annaspa fra lo scarica barile con il governo centrale, il ministro della salute e ancora peggio, con il personale sanitario regionale o con quello che gestisce le RSA e case di riposo. Il tutto avviene nonostante denunce pubbliche e racconti raccapriccianti. Ma le file di ambulanze davanti ai pronto soccorso, le terapie intensive al limite del collasso sono plastico j’accuse che solo chi è in malafede può ignorare. E’ in atto infatti una strana danza macabra con il tentativo di sopperire alle mancanze con azioni tardive e propagandistiche, il tutto davanti alla palese violazione di quanto sancito dalla Costituzione italiana – laddove all’art. 32 si sancisce che “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. Ogni scusa è buona per giustificare la propria incapacità di prevedere quanto era più che prevedibile, l’incapacità di programmare è la linea guida di chi è in cabina di regia. Ed allora ci viene in mente la locuzione latina “Quousque tandem abutere, Regione (alias Catilina), patientia nostra?”, tradotta letteralmente, significa “Fino a quando dunque, abuserai della nostra pazienza?”. L’invettiva come noto prosegue con le parole: “Quamdiu etiam furor iste tuus nos eludet? Quem ad finem sese effrenata iactabit audacia?”: “Quanto a lungo ancora codesta tua follia si prenderà gioco di noi? Fino a che punto si spingerà sfrenata audacia? (che noi tradurremmo in “faccia tosta” ndr)”. L’espressione latina citata appartiene ormai al linguaggio comune e viene usata, anche in forma abbreviata e sospesa (Quo usque tandem…) con l’intenzione di accusare il suo destinatario di abusare della pazienza, dell’indulgenza, o della buona educazione e fede di chi la proferisce. Ma “Quo usque tandem…” in questo caso riguarda anche le forze di opposizione o quantomeno gran parte di loro. Per uno strano principio di consuetudine infatti i partiti tendono normalmente ad essere indulgenti e “responsabili”, verrebbe da pensare causa possibili scheletri nell’armadio o favori a ….futura memoria. E’ stato cosi negli anni con i passaggi di maggioranza da Tondo a Serracchiani ad esempio, su questioni enormi, basti pensare alle vicende commissariali Terza corsia A4 su cui è stato calato un pietoso velo di silenzio anche da parte della maggior parte della stampa locale. Le scaramucce politiche che tanto invece appassionano, si limitano invece a questioni strettamente di palazzo, come in questa consiliatura, ai dispetti su abolizioni delle Province e Uti, che hanno certamente ripercussioni sulla vita dei cittadini, ma soprattutto ne hanno sugli assetti del sottobosco istituzionale, come del resto le tante nomine. Gli obiettivi politici ai quali si tende, diventano così pericolosamente comuni nelle diverse formazioni politiche. Le cause di questa sorta di amalgama post ideologica contro natura possono essere individuate, da un lato nella legittimazione del potere, dall’altro nella gestione negoziale del potere medesimo fra le diverse parti compresenti nell’agone politico. La programmazione prodotta si muove costantemente, trovando via via equilibri diversi nelle diverse situazioni territoriali e legislative in continuo aggiustamento nel tempo, fra i poli opposti, quasi come se anche in politica valesse la legge della fisica che insegna che quando i poli sono di carica diversa si attraggono. Il risultato è quello che vediamo ma che con una pandemia che ha provocato, fin qui, 3 volte i morti del terremoto del 1976, diventa stomachevole. Ci si aspetterebbe che si mettessero da parte cautele e bon ton per additare con nomi e cognomi i responsabili di scelte che hanno, se non provocato direttamente, certamente amplificato sofferenze e lutti. Attendere oltre nell’idea che additare responsabilità possa creare nocumento a chi quei lutti li ha patiti direttamente, rischia di rendere tutti correi, come del resto proseguire con semplici scaramucce procedurali, comunicatini stampa ed interrogazioni di cui si conosce già l’esito, il cestino. Forse potrà essere il paravento dietro il quale poter dire “lo avevamo detto” ma in realtà è solo patetica e inconcludente ipocrisia.
Fabio Folisi