Maravee Dress Io Abito. Mostra a Pirano con opere di Vanja Bučan / Petra Doljak / Urša Skumavc Elena Fajt / Simona Semenič / Nada Žgank
Il Festival Maravee Dress si appresta a varare — venerdì 30 aprile 2021 alla Obalne Galerije Piran (Slovenia) — l’ultima tappa dell’edizione 2020-21 del progetto ideato e diretto da Sabrina Zannier con la mostra “Io Abito”, curioso viaggio attraverso le opere di sei artiste slovene – Vanja Bučan / Petra Doljak e Urša Skumavc / Elena Fajt / Simona Semenič e Nada Žgank – e la giovanissima stilista italiana Romina Dorigo, già presente con i suoi abiti negli spettacoli festivalieri tenutisi l’estate scorsa.
Ideato e diretto da Sabrina Zannier, gestito dall’Associazione culturale Maravee con il sostegno della Regione Friuli Venezia Giulia, dei Comuni di Grado e Gemona del Friuli, delle slovene Obalne Galerije Piran e della CP&Partners, Maravee Dress affronta ancora una volta il tema dell’abito scoprendone tra le sue pieghe il valore simbolico, sociale e antropologico, per svelarne la cerniera tra interno ed esterno.
Entro un articolato percorso espositivo che attiva curiosi dialoghi e connessioni tra fotografia, moda, performance, video e installazioni, Io Abito mette in scena il concetto di habitus nel perseverante scambio di ruolo identitario tra corpo e abito. Affidando il protagonismo all’uno e all’altro, premiando la ricerca dell’essere mutante, tra passato e futuro, citazioni e innovazioni, lascia lo spettatore sospeso sul titolo stesso: è l’identità umana ad abitare l’abito, oppure è l’abito che plasma la nostra identità e si presenta attraverso il corpo?
“Io Abito” è un curioso viaggio attraverso le opere di sei artiste slovene – Vanja Bučan/ Petra Doljak e Urša Skumavc / Elena Fajt / Simona Semenič e Nada Žgank – e la giovanissima stilista italiana Romina Dorigo, già presente con i suoi abiti negli spettacoli festivalieri tenutisi la scorsa estate. Suddivisa in due sezioni – Io abito…il riciclo tra natura e cultura / Io abito…il riciclo tra corpo e botanica – sui due piani della Galleria Civica di Pirano, la mostra inscena la stretta relazione fra corpo e abito, intrecciando senza soluzione di continuità i linguaggi dell’arte visiva con la creazione appartenente allo stilismo di moda. Entro un percorso corale che proietta la relazione fra corpo e abito nel duplice orizzonte dell’ambiente naturale e dell’appartenenza sociale, per tracciare il passo futuribile di un’identità votata a nuovi equilibri comunitari e ambientali.
IO ABITO …IL RICICLO FRA NATURA E CULTURA
Un forte impatto cromatico, teso fra gioia energizzante e sottile vena ironica, mette in scena il costruttivo rimbalzo identitario tra corpo e abito.
Al centro della sala, l’installazione di Petra Doljak e Urša Skumavc, composta da cuscini ottenuti attraverso il riciclo di materiali, accoglie la seduta o la distesa del corpo dei visitatori suggerendo la presenza di un corpo sociale che abita un “abito ambientale”. Un abito coloratissimo, che dialoga con i corpi immortalati nei tre cicli fotografici di Vanja Bučan: in Looking for Sadiq il corpo appare occultato dall’abito, che diviene polmone della natura assorbendola nelle immagini stampate sui tessuti; nella terza immagine di questa serie il corpo si fa gesto dentro l’abito offerto da una grande pianta, per poi ripresentarsi nella sua integrità nelle fotografie del ciclo intitolato Bestiary, dove il corpo umano si piega a un vero e proprio tra-vestimento simulando morfologie e atteggiamenti animali attraverso l’utilizzo di tessuti, oggetti, scenografie e frammenti di natura. Già qui implicato in atteggiamenti performativi dentro la struttura dell’abito, nella serie Mauerhasen il corpo umano si prende una sorta di rivincita riaffermandosi attraverso liberatorie gestualità performative entro scenari naturali, o nascondendo la testa contro un muro, certo facendo leva sull’identità dell’abito, ma alludendo alla frizione fra libertà e confinamento.
Nella tensione fra natura e cultura, identità e società, si affermano le opere di Simona Semenič e Nada Žgank, dove il trasformismo teso fra liberazione identitaria e messa in scena dell’appartenenza sociale e nazionale rimbalza dal concetto di gestazione per nuove nascite a quello di tensione critico-ironica innanzi allo status quo.
Fra tradizione e innovazione si affermano anche gli abiti di Romina Dorigo, che attraverso il riuso di vecchi vestiti e tessuti ricuce la relazione fra passato e presente futuribile. Per corpi nuovi, ma mnemonici: candidi, fluidi e destinati ad espandersi nell’ambiente.
IO ABITO…IL RICICLO TRA CORPO E BOTANICA
Qui il concetto di riciclo propone una vera e propria commistione tra uomo e natura, intesa come ambiente, ma anche come natura umana.
Elena Fajt affida al corpo il compito di costruire l’abito utilizzando se stesso, per dar vita – con la serie fotografica Hair à porter – a cappotti realizzati utilizzando capelli umani come fossero fili, trama di un tessuto in divenire. O, ancora, per inscenare una suggestiva metamorfosi identitaria, con le immagini fotografiche e il video intitolati Metamorfoze bor, in cui la coincidenza fra corpo e abito amplifica il concetto di habitus: inteso come ciò che s’indossa interiormente e che tracciando un’attitudine produce portamento, ma anche come habitat, riferito a ciò che abita. In un curioso rapporto di dare/avere, per cui più l’abito si crea ricoprendo il corpo di ricci capelli, più la testa si sveste!
Mentre Elena Fajt propone una natura umana che si auto-genera nell’abito, Romina Dorigo propone abiti che rigenerano il corpo portandosi addosso la botanica: raccolta e sottoposta a processo di essicazione, abita tuniche e giacche conferendo all’uomo la sua permanente portabilità attraverso un abito che si fa corpo naturale.