Nelle giornata Internazionale della Tratta degli Schiavi e della sua Abolizione si scopre che nulla di fatto è stato davvero abolito

Bene ha fatto la Consigliera Regionale Serena Pellegrino di Alleanza Verdi e Sinistra a ricordare che oggi 23 agosto si celebra la Giornata Internazionale per la Commemorazione della Tratta degli Schiavi e della sua Abolizione. Giornata promossa dall’UNESCO per commemorare il commercio transatlantico degli schiavi, ma che ora vede, pur con le dovute differenze storiche, il rifiorire della schiavitù nella teoricamente civilissima Italia del terzo millennio. Scrive Pellegrino, quella sulla schiavitù: “È una legge che è entrata in vigore nel marzo del 1950 e recepita dall’Italia con la Legge 1173 del 23 novembre 1966. Sono passati quasi sessant’anni – incalza la Vice Presidente del Gruppo Misto – eppure ancora oggi il lavoro nero e il caporalato producono un giro di affari di 1,1 miliardi nel solo Friuli Venezia Giulia che, come si può evincere dai dati elaborati dall’Ufficio Studi della Cgia di Mestre, stima in 46mila i lavoratori irregolari. Non possiamo, come politica e come istituzione, voltare la testa e far finta che questa piaga non esista. Manodopera pagata dai 3 ai 4 euro all’ora, piegati nei campi o chiusi nelle cucine per 10-12 ore al giorno, controllati, minacciati con pause rarissime e un solo pasto serale, senza una garanzia sanitaria in caso di infortunio. Così come dissi – prosegue la Vice Presidente della IV Commissione – in una interrogazione che presentai in Consiglio regionale, dove a rispondere non c’erano né l’assessore con delega all’immigrazione né l’assessore con delega al lavoro, è necessario finanziare percorsi formativi, con operatori ed educatori ben pagati, così da creare una classe di lavoratori, anche stranieri, consapevole dei propri diritti e degli strumenti di tutela, con lavoratori qualificati e integrati nelle dinamiche sociali virtuose. Solo così – conclude Pellegrino – sicuramente si ridurrà la piaga del caporalato, insieme alle altre distorsioni del mercato del lavoro.” E proprio mentre nelle redazioni arrivava la nota della Consigliera di Avs ecco che notizie di allucinante caporalato in pianura Padana venivano diffuse dalla Lombardia dove mille braccianti nei campi lavoravano per 17 ore al giorno. A scoperchiare l’ennesima situazione la Guardia di Finanza di Lodi che ha scoperto un imprenditore agricolo che, secondo le indagini, avrebbe fatto lavorare i propri “dipendenti” nei campi anche 17-18 al giorno con paghe misere. Non solo: la maggior parte dei lavoratori poi aveva a disposizione giacigli di fortuna sovraffollati e sporchi per i qualii, fra l’altro pagavano una sorta di pigione. Inutile dire che sulle entrate derivanti da tale lavoro, non sarebbero state pagate tasse. La guardia di finanza ha denominato l’operazione Agros e a conclusione delle indagini, l’imprenditore lodigiano in questione è stato denunciato per caporalato e adesso, come deciso dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lodi su richiesta della Procura, non potrà esercitare la propria attività per un anno oltre a dover rispondere, si spera, davanti alla giustizia di reati gravissimi. Secondo le indagini, coordinate dalla Procura, l’imprenditore avrebbe fatto sistematico ricorso all’utilizzo di manodopera irregolare per la coltivazione e la raccolta di ortaggi. Ai lavoratori, pressoché tutti di origine extracomunitaria, venivano imposte ore di lavoro ben superiori alle 169 mensili previste dal contratto nazionale, dalle indagini è infatti emerso che nei mesi della raccolta, i dipendenti lavorassero, senza la possibilità di fruire di permessi o riposi, mediamente per un numero di ore mensili pari al doppio di quelle previste da contratto, con punte fino a 512 ore al mese. A conti fatti, si tratta appunto di 17-18 ore al giorno, domeniche comprese. Oltre agli aspetti disumani di tale trattamento va aggiunto che tale eccedenza di ore di lavoro, non dichiarata ai competenti uffici finanziari e previdenziali, ha riguardato, dal 2017 al 2023, un numero di mille e 54 posizioni lavorative irregolari, con un’evasione contributiva e fiscale quantificata in circa 3 milioni di euro. Secondo quanto emerso dalle indagini, l’imprenditore faceva leva sullo stato di necessità dei lavoratori, a molti dei quali venivano, come già accennato, fornite soluzioni alloggiative precarie, degradanti e sovraffollate, facendo anche pagare una quota relativa alla concessione del posto letto e delle utenze attraverso la decurtazione del salario. Tutto uesto succedeva nelle campagne del Lodigiano, a una ventina di chilometri da Milano dove al posto dei pomodori, si coltivano di più ortaggi, cavoli e patat, ma anche mais per il foraggio e riso. In sostanza cambiano le coltivazioni, ma per il resto il sistema di sfruttamento riscontrato nell’azienda agricola della pianura Padana è lo stesso; medesima è la manodopera di sfruttati (immigrati) che lavorano in tutti i terreni di tutte le regioni d’Italia Fvg compresa.