Nuovo anno con il botto

Come vuole la tradizione, l’arrivo del nuovo anno si festeggia con i botti e in Medio Oriente certo non si può mancare di celebrare adeguatamente. A differenza che in altri luoghi dove è a S. Silvestro che si concentrano fuochi artificiali, qualche pistolettata (in Italia neppure i parlamentari sembra si astengano dal rito), qualche bomba carta e affini, nel Vicino Oriente ci si concede qualche deroga e si continua più o meno durante tutto l’anno. È di ieri la notizia che uno dei capi di Hamas, Saleh al Harouri, è stato “neutralizzato” durante una riunione con altri capi dell’organizzazione in un appartamento nel sud di Beirut. Oltre ad Harouri, almeno due altri alti esponenti dell’ala militare di Hamas hanno subito la stessa fine. Il fatto che altri civili siano passati a miglior vita a causa dell’attacco, ormai non fa quasi più notizia. Vanno semplicemente a sommarsi agli oltre 22.000 (che non includono quelli che ancora rimangono sepolti solo dalle macerie) vittime dei bombardamenti israeliani e dei continui scambi di artiglieria tra Hezbollah e IDF (Israel Defense Force). A quanto pare questo orrendo massacro non è ancora sufficiente a soddisfare la vedetta di Tel Aviv in risposta al macello che Hamas ha commesso lo scorso 7 Ottobre. “Andremo avanti fino alla vittoria”, così affermano i politici israeliani; il problema è che non si capisce esattamente quale sia l’obiettivo finale di tale vittoria. La sconfitta totale di Hamas è un’affermazione tanto vaga così da essere priva di significato reale. Come se quella in corso fosse una guerra tra due eserciti, come se Hamas non andasse oltre la sua espressione militare (le brigate di Al Qassam) e non fosse anche una formazione politica che è stata votata dalla stragrande maggioranza dei “Gazawi”, probabilmente solo perché alternative reali non ce ne sono e perché decenni di sopraffazione da parte di Israele non possono che radicalizzare la posizione di chi l’occupazione (diretta o indiretta) la subisce.
Come se quanto succede da tre mesi potesse portare quella gente su atteggiamenti più morbidi e non al contrario creare un ulteriore e massivo numero di persone pronte a combattere non avendo altra scelta e dopo aver subito tutte le violenze e lutti che l’esercito occupante ha provocato. Dov’è che Israele intende veramente arrivare? Ma soprattutto, esiste un chiaro obiettivo da raggiungere? Ad occhio l’unica cosa piuttosto chiara che Netanyauh & C. vorrebbero e stanno cercando di realizzare, è una nuova Nakba, una cacciata dell’intera popolazione di Gaza, ma poi anche della West Bank, e realizzare finalmente il progetto di Grande Israele tanto caro agli estremisti e coloni ebrei. Solo che tale obiettivo non trova d’accordo chi dovrebbe accogliere (parola grossa) i palestinesi sul proprio territorio, nel Sinai l’Egitto e da qualche parte la Giordania. Vista la ritrosia di questi due Paesi, gli israeliani non si perdono d’animo e secondo indiscrezioni, stanno già trattando con il Congo ed altri Paesi l’accettazione degli sfollati, volontari si sappia, palestinesi. Come è noto a tutti, il Congo è un Paese attrezzato per accogliere rifugiati, l’economia fiorente che colloca quello Stato alle ultime posizioni del pianeta nella classifica della povertà, della corruzione e della disparità tra poveri e ricchi e l’infinita guerra civile che da decenni sfinisce la popolazione, ne denotano la vocazione. Ma come spesso succede, una mancetta di qua e una mazzetta di là, potrebbero far tornare i conti.
Ma non è solo questo l’obiettivo del governo israeliano; l’omicidio di cui sopra è orientato a produrre anche altri effetti. Intanto a minare i possibili colloqui che potrebbero portare ad un nuovo e più ampio scambio di ostaggi, operazione che agli occhi degli estremisti che fanno parte del governo di Tel Aviv rappresenterebbe un segnale di debolezza e dovrebbe produrre un nuovo cessate il fuoco che ad Israele non farebbe comodo. Non va dimenticato che Harouri è stato tra i principali attori dell’accordo che aveva portato alla liberazione del soldato israeliano Shalit e, come controparte, al rilascio di migliaia di prigionieri palestinesi. Ma ciò che a questo punto appare più importante, è il potenziale, favorito dall’equilibrio instabile dell’area, allargamento del conflitto prima in Libano (Hezbollah) e poi possibilmente e probabilmente in tutta l’area (dalla Siria all’Iraq dove l’Iran ha truppe e milizie legate ai suoi interessi) e per finire al bersaglio grosso: l’Iran. Se davvero si arrivasse a questo punto, gli USA non potrebbero tirarsi indietro e dovrebbero entrare direttamente in guerra aprendo uno scenario le cui conseguenze sarebbero davvero inimaginabili.
Siamo alla follia? È possibile. Per ora le reazioni dei principali attori sono tutto sommato dettate alla prudenza; Nashrallah, il capo di Hezbollah (che oltre a rappresentare la spina dorsale dell’esercito libanese è anche un partito politico importante di quel Paese) nel suo discorso di ieri sera non è andato oltre alla solita retorica e alle minacce di far sparire dalla terra Israele nonostante il drone che ha eliminato Harouri abbia colpito la zona di Beirut in cui ha sede l’organismo politico di Hezbollah. Ma se la situazione dovesse rendersi più accesa anche nel nord di Israele e nel sud del Libano, allora le cose potrebbero davvero cambiare. Non aiuta certo quanto avvenuto ieri a Kerman, in Iran, durante la cerimonia in ricordo di Qassem Suleimani; due esplosioni che hanno provocato un centinaio di vittime. Visti i precedenti, credere che dietro alla strage ci possa essere lo zampino del Mussad o di altri servizi israeliani, non è solo pensare male. È ormai da parecchio tempo che Tel Aviv vorrebbe trascinare gli USA in una guerra contro Teheran e se l’Iran dovesse reagire pesantemente o contro l’attentato oppure in appoggio di Hezbollah, gli Stati Uniti difficilmente potrebbero non correre in supporto diretto di Israele.
Certo, siamo in anno di presidenziali USA ed ogni mossa potrebbe essere estremamente pericolosa; Biden non ha alcuna intenzione di farsi trascinare in una guerra difficile e densa di insidie che non si sa dove potrebbe portare. Non a caso Blinken è di nuovo con le valige in mano per tentare l’ennesima missione impossibile e cercare di disinnescare questa potenziale deflagrazione. Una delle due portaerei USA, con tutto il suo codazzo, che fino all’altro giorno era accorsa nel Mediterraneo in supporto di Israele e come deterrente nei confronti di un possibile allargamento del conflitto, se ne sta tornando nel Mar Rosso per difendere il traffico navale messo in pericolo dai missili degli Houti Yemeniti ed alleati di Teheran, ma anche probabilmente per dare un segnale a Netanyauh che il coinvolgimento degli USA in guerra è l’ultimo dei desideri dell’amministrazione USA.
Insomma, un enorme pasticcio che se non viene tenuto sotto stretto controllo ci porterebbe ad un infinito macello da far invidia a quanto sta succedendo a Gaza. E dunque, stavolta particolarmente, auguri di buon anno….

Docbrino