Omicidio di Remanzacco, la Corte Europea punta il dito contro l’Italia
L’Italia non è capace di proteggere i suoi cittadini. E così, la Corte Europea dei diritti umani punta il dito contro il nostro Paese per non aver saputo tutelare una madre e un figlio da tempo vittime di un padre e marito violento. Per essere stata superficiale e per non aver impedito una tragedia.
Il fattaccio, purtroppo, resterà indelebile nella storia della nera regionale, ed è accaduto a Remanzacco la notte del 26 novembre del 2013. Protagonisti del dramma, Andrei Talpis 49enne operaio di origini moldave (ora all’ergastolo), il figlio Ion, di 19 anni e la moglie Elisaveta, anche lei di nazionalità moldava. Quella triste notte di quattro anni fa, il capo famiglia uccise con un coltello il figlio, tentando poi di assassinare anche la consorte.
Ma ciò che aumenta il disgusto, è il fatto che la donna, dimostrando grande coraggio, già da tempo aveva denunciato il marito per ripetute violenze domestiche. Ma invano, tutto restò immutato come se niente fosse. E l’orco continuò indisturbato con la sua malvagità.
Si ha un bel parlare di condanne al femminicidio, parricidio e violenze di genere; si ha un bel parlare di coraggio e denunce, quando poi sono proprio le forze dell’ordine a minimizzare il problema privando, come ha detto la Corte di Strasburgo, la denuncia del suo reale effetto. Scatenando reazioni punitive ancor più pericolose all’interno delle mura domestiche. Così come nel caso di Remanzacco.
Ricordiamo che la prima denuncia risale al 2102, ma le forze dell’ordine si limitarono a constatare i segni di percosse sulla povera Elisaveta e l’ubriachezza dell’uomo, lasciando passare tutto in sordina, come se l’esser ciucchi fosse un’attenuante.
Poi ci fu un’aggressione con coltello, anche questa finita a tarallucci e vino, perché venne verbalizzato soltanto il «porto d’armi abusivo». Terza denuncia, sempre per maltrattamenti, il settembre del 2012, ma nulla di fatto. E arriviamo al caldo d’agosto del 2013 che, come si sa, può dare alla testa, scaldando più dei Mojito ingollati gli animi passionali. Botte da orbi, dunque, quella notte in casa Talpis, e nuove denunce che, però, si persero nella notte stellata. E venne novembre, il mese fatidico. In autunno la misoginia raggiunse il suo acme. L’uomo tentò di uccidere la moglie, il figlio tentò di difendere la madre facendo scudo con il suo corpo. Un gesto d’amore che gli fu fatale.
Ecco che i giudici francesi no hanno avuto dubbi nel lanciar un’accusa che diventerà sentenza definitiva fra tre mesi: «non agendo prontamente in seguito a una denuncia di violenza domestica fatta dalla donna, le autorità italiane hanno privato la denuncia di qualsiasi effetto creando una situazione di impunità che ha contribuito al ripetersi di atti di violenza, che in fine hanno condotto al tentato omicidio della ricorrente e alla morte di suo figlio».
Quali, dunque, gli articoli della Convenzione Europea dei Diritti Umani che l’Italia ha violato? L’articolo 2, diritto alla vita; l’articolo 3, divieto di trattamenti inumani e degradanti; articolo 14, divieto di discriminazione. Trenta mila euro per danni morali e 10 mila per spese legali. Questa l’ammenda che di senso, a onor del vero, ne ha ben poco. Quattro soldi per rimediare a una tragedia vera. Quattro soldi per ricordare, e speriamo che si ricordi, che la nostra cultura conserva e trascina dietro sacche di ignoranza pericolose, che portano a minimizzare laddove la superficialità è un pericolo e a ingigantire laddove sarebbe il caso di fare un rispettoso silenzio. Insomma, una cultura che ha ancora tanto bisogno di progredire. (Approfondimenti, nell’edizione digitale)