Associazione Terza Ricostruzione: un referendum consultivo sulle nuove “province”
Dopo che, nel 2016, le vecchie Province sono state cancellate dall’ordinamento regionale -unico caso in Italia- e dopo che la Regione ha avviato, un anno fa, un disegno di legge costituzionale per ripristinare l’ente di “area vasta” nello Statuto regionale, siamo ora in attesa della legge del Parlamento nazionale sull’intera questione. L’avvio di questa procedura, tuttavia, non è stato accompagnato da alcuna approfondita riflessione né sull’efficacia delle vecchie Province abolite né sugli scopi dei nuovi enti di “area vasta”.
L’assetto delle vecchie Province era notoriamente squilibrato (dal molto grande di quella di Ud al molto piccolo di quella di Ts), incoerente (per le rilevanti disomogeneità geografiche interne a quelle di Ud e Pn), di fatto impotente verso i veri problemi (in quella di Ud, la montagna e la Bassa friulana sono rimasti territori marginali e il Tagliamento era solo un confine tra quella di Ud e quella di Pn). Se, quell’assetto, venisse riproposto oggi, sarebbe un puro “non sense” politico.
La domanda è quindi: servono le Province per affrontare le nuove sfide del territorio, dalla contrazione demografica allo sviluppo locale, dalla transizione ecologica all’innovazione digitale? I Comuni (almeno quelli piccoli) non sono in grado di affrontare, da soli, neppure i loro problemi, figurarsi le sfide dette!
La Regione appare da tempo in empasse nell’affrontare i problemi strategici dei territori. La prospettiva dell’ente intermedio, quindi, non è da scartare a priori (come fanno alcuni partiti di minoranza) ma neppure da esaltare a prescindere (come fanno i partiti di maggioranza). Sul tema sono state espresse, recentemente, posizioni autorevoli ma anche inconciliabili. Franceschino Barazzutti, da politico carnico di lungo corso, si è concentrato (MV del 16-12-2023) sulla necessità di un autogoverno della montagna e delle sue risorse -tra cui, in particolare, l’acqua- sempre più minacciate da poteri economici esterni anche alla regione. Giovanni Bellarosa, da esperto di rango dell’amministrazione regionale, ha paventato (MV del 2-1-2024) l’eccesso decisionale che nuove Province produrrebbero sul governo locale -e sicuramente, sostiene lui, su realtà come quella di Trieste – ma riconosce, alla montagna friulana, l’esigenza di una “più adeguata e incisiva voce politica”. Pietro Fontanini, politico friulano di lungo corso, già presidente della Provincia di Udine e Sindaco di Udine, nega utilità (cfr. MV del 5-01-2024) al ritorno alle vecchie Province e ripropone il modello duale di Provincia del Friuli più Città metropolitana di Trieste. Si potrebbe aggiungere anche la visione che Ubaldo Muzzatti, nostro socio esperto della materia (ma anche attento alle problematiche del Friuli), ha proposto nel suo libro AutonoMia, edito da Il Friuli, ma anche sul MV del 20-12-2023, visione che, ispirandosi a modelli in essere in Germania, Austria e Svizzera, dovrebbe riguardare soprattutto le aree deboli della Regione e, per prime, la montagna. Non va trascurato, inoltre, che la visione basata sulle Unioni di comuni -per es. le Uti della legge regionale del 2014 poi rigettate politicamente dalla maggioranza in carica-, è stata forse imposta in modo sbagliato ma non è, di per sé, irragionevole.
Le opzioni sul tappeto sono, quindi, tante. In che direzione andare se non si vuole, per mancanza di soluzioni condivise, scivolare inesorabilmente verso la restaurazione delle vecchie Province “non sense”? Sull’intera questione le forze politiche, sia pro che contro, si giocano la credibilità politica ma tutti ci giochiamo il futuro e la credibilità della Regione Autonoma FVG. Unici senza Province e sotto la lente dell’intero Paese, vogliamo essere “laboratorio” di nuove soluzioni di governo intermedio o esempio di restaurazioni insensate?
Un ente intermedio tra Regione e Comuni può essere utile solo qualora sia funzionale a rimodulare il potere politico sul territorio per affrontare, più attrezzati, le nuove sfide sopra richiamate. Ciò significa, allora, proporre enti con nuove missioni e con competenze ben definite per rendere i territori meno fragili e vulnerabili e, in ultima analisi, per rafforzare strutturalmente l’intera Regione.
La strada corretta doveva essere quella di avviare, prima della procedura di legge costituzionale e sulla base di nuovi studi geografici e socio-economici, una consultazione popolare per far decidere i cittadini sul modello preferito di ente intermedio. Non è stato fatto! Persa tale occasione, ora, si può comunque cercare di dare un indirizzo, al legislatore nazionale e regionale, con una risposta democratica alle due domande di fondo:
a. è giusto e utile avere un terzo (oltre alla Regione e ai Comuni) livello politico-amministrativo a carattere elettivo?
b. che cosa dovrebbe fare questo terzo ente?
Lo strumento per realizzare questa consultazione è già disponibile ed è l’art. 21 della Legge regionale 5 del 2003 che prevede, appunto, il “referendum consultivo”. Sia, allora, il Consiglio regionale ad avviare la procedura di consultazione popolare formulando in maniera appropriata i quesiti e predisponendo le misure atte ad assicurare il più ricco confronto e la più completa informazione.
In via subordinata, qualora non si volesse andare verso questa consultazione popolare e si scivolasse inesorabilmente verso le vecchie Province, non rimarrebbe che, nell’interesse dell’intero sistema di governo regionale, ricorrere all’opzione di una legge regionale di iniziativa popolare (come già avvenuto in passato) sulle aree vaste della regione ai sensi dell’art. 22 della stessa Legge regionale 5 del 2003.
Per l’Associazione Terza Ricostruzione:
Giorgio Santuz, Mario Banelli, Giorgio Cavallo, Guglielmo Cevolin, Vincenzo Cressatti, Gianfranco Ellero, Sandro Fabbro, Antonio Ferraioli, Mariarosa Girardello, Antonino Morassi, Iris Morassi, Roberto Muradore, Pietro Mussato, Ubaldo Muzzatti, Diego Navarria, Barbara Puschiasis, Paolo Santuz, Chiara Scaini, Giancarlo Tonutti, Roberto Visentin