Sanità FVG in una scala da zero a cento (e un ringraziamento)
Assegno cordialmente zero alle politiche sanitarie della Regione FVG mentre ammiro profondamente – pertanto valutandolo 100 – il lavoro che il personale sanitario svolge, nonostante mille ostacoli. Ed è perciò che in questo periodo festivo non auguro la Buona Pasqua né a Fedriga né a Riccardi, ma la auguro alle persone che lavorano all’Ospedale Santa Maria della Misericordia di Udine, in particolare della sezione Otorinolaringoiatrica (Dipartimento Testa-collo), che mi ha accolta in questa fase della mia vita, assieme ad altri reparti del medesimo Ospedale. Grazie quindi.
In questo parlare di me interpreto – per una volta diversamente – il galileiano metodo scientifico delle “sensate esperienze e certe dimostrazioni”, fidandomi delle certe esperienze (ciò che ti arriva alla percezione diritto come una freccia, inequivocabile) senza trascurare le sensate dimostrazioni (il ragionamento che inquadra ciò che vivi come paziente nella cornice dei fatti e dei numeri disastrosi della nostra sanità). Per i fatti, che il Coordinamento sia udinese sia del FVG per la salute pubblica porta alla nostra attenzione quotidianamente per invitarci ad essere protagoniste del cambiamento, basterebbe citare il sottodimensionamento, problema di cui soffrono anche sezioni vitali come i Pronto Soccorso evidentemente allo sfascio, l’Anestesia Rianimazione, la Radiologia e la Radioterapia, il reparto ora citato di Otorino, che peraltro offre un servizio encomiabile di presenza medica in sede 24 ore su 24 e 7 giorni su 7. Ciò che arriva in modo inequivocabile è la generosità nonostante le condizioni (direbbero con umiltà che sono pagati o pagate per questo), per cui anche a mezzanotte vedi il medico a fianco del tuo letto per discutere del tuo ultimo problema. Vedi l’ascolto, vedi l’attenzione, l’atto dell’abbassarsi a dividere il proprio mantello per coprirsi assieme: sono quelle frecce di percezione che arrivano dirette e immediate, inequivocabili appunto. Vedi la grazia, il piccolo vaso di fiori pasquale in ogni stanza degenti. Il sottodimensionamento è noto e confermato, nel settore medico come in quello infermieristico: quanto in basso dovrà arrivare perché tutto l’equilibrio di un reparto, basato soprattutto sulla grande disponibilità, crolli? Non può essere il personale il Cristo Salvatore che risolve tutto, la sanità non si può salvare col criterio del salvarsi da soli, perché la sanità è rete, è servizio, è Ospedale, territorio, MMG, investimenti, ricerca, prevenzione, accoglienza delle persone fragili, fine vita, cronicità…
La Sanità è tempo offerto ad ogni singola persona, è sapere scientifico e pratico intriso di umanità che possa esplicarsi al meglio, e non sono le politiche dei tagli, dell’ampliamento del privato convenzionato, del far uso di professionalità dubbie – ciò che si continua a definire impropriamente razionalizzazione – a risolvere problemi che chi legifera e amministra a livello regionale è incapace di affrontare, complice il contributo delle pessime scelte del Governo meloniano, la cui chiamata alle armi è ormai chiaro a tutte che trancerà ogni forma del welfare, sanità in primis. Eppure, basterebbe visione, quella visione che il dibattito in Costituente – e chi fa politica se lo dovrebbe studiare – e la successiva formulazione dell’art.32 della Costituzione del ‘48 nata dalla Lotta partigiana, hanno messo nero su bianco (“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività […]” sono parole di piombo incise a dire un compito e un obbligo che lo Stato si assume rispetto alla fondamentalità di un diritto).
I numeri e le considerazioni di AGENAS e soprattutto di GIMBE sono impietosi, i LEA sono garantiti solo parzialmente, la mobilità sanitaria in uscita anche dal FVG – chi va a curarsi altrove – è inaccettabile, la percentuale di chi rinuncia alle cure (tempi, trasporto, mancanza di denaro o di aiuto) non piccola. La diversità fra Regioni si approfondisce, creando uno strappo sociale nel tessuto nazionale, e peggiorerà col realizzarsi dell’Autonomia differenziata di Calderoli.
Come è potuto accadere che il Servizio Sanitario Nazionale progettato da Tina Anselmi abbia potuto essere stravolto? È la stessa domanda che ci si pone sulla ferocia e sulle guerre del passato come del presente. È dentro l’immagine di mondo che viene propagata da governi e da portatori di interesse che si trova la risposta. Dentro l’immagine mercatistica del mondo, che prevede l’affido al privato dei nostri diritti. Molto velocemente – la guerra è una soluzione veloce e sbrigativa, anche quando dura tanto, perché veloce è dare la morte – si sta costruendo in questi tempi un senso comune bellico con relativo linguaggio, pervasivo: nella sanità il percorso è stato più lento ed è consistito nel lasciare spazio alle parole Azienda e Sistema che hanno sostituito (con tutte le loro evocazioni) la parola originale, Servizio, che bisogna tornare ad impugnare e pretendere. Non si incaponiscano anche certi sindacati ad utilizzare Sistema, giustificandolo con l’aspetto di rete e di condivisione: la parola originale è Servizio, indica che lo Stato cioè la collettività intera, si prende carico di tutte e tutti, senza escludere alcuna persona, indica universalità, gratuità. Ai machos bellici Servizio non piace, parola forse troppo femminile, generosa, basata sulla capacità di vera cura? Le donne sanno bene che anche in ambito tecnico e scientifico, apparentemente neutrale, si fanno questi giochetti. Un esempio per tutti, visto che di bomba atomica si sta tornando a parlare, della potenza delle “metafore di vita e di morte”: l’energia in questione, e l’arma, si originano nel nucleo quindi nucleare è la parola corretta, non atomica; eppure, si decise dagli inizi di diffondere l’aggettivo atomica perché nucleare, evocando la vita, la biologia, il femminile, avrebbe potuto essere meno convincente. Attenzione quindi, non scivoliamo.
Si sta costruendo un senso comune nel quale non si è portatori di diritti, ognun si salva da sé. E nemmeno potrà protestare visto il Decreto “sicurezza”. Le nostre vite vanno difese, ogni realtà ospedaliera, per quanto piccola, va mantenuta e posta nella condizione di lavorare con personale che possa esplicare tutte le proprie capacità e potenzialità: l’atmosfera che ho respirato e tentato di descrivere all’inizio va salvaguardata a tutti i costi, sviluppata, promossa. Non siamo macchine, magari mostriamo il nostro lato più forte e facciamo ragionamenti freddi ma, noi pazienti, abbiamo spesso paura, cerchiamo competenza ma anche rassicurazione.
Dianella Pez