Tornano i voucher che tanto piacciono agli imprenditori, ma è di fatto legalizzazione della precarietà e dello sfruttamento
Fra i provvedimenti presi dal governo Meloni ci sono i buoni lavoro, i cosiddetti voucher per il lavoro occasionale e stagionale. Per molti, soprattutto le associazioni imprenditoriali, è una buona notizia, per altri un ritorno al passato foriero di possibili, quando non probabili, nuovi meccanismi legalizzati di sfruttamento e riduzione delle tutele per i lavoratori. Come sempre ci sono luci e ombre, ma di fatto il rischio che si torni all’uso smodato del sistema, come già avvenuto in passato è effettivamente alto se non certo perché, diciamolo senza reticenze di una gran parte degli imprenditori italiani non ci si può fidare. Secondo i governo si tratta di una misura per regolarizzare la condizione di molti italiani, che si dovrà però “accompagnare a controlli molto rigidi per evitare storture”, ha detto il premier Giorgia Meloni presentando i contenuti della Legge di Bilancio 2023. Con i nuovi “buoni lavoro” viene raddoppiato il tetto di reddito ammissibile rispetto a quanto previsto dalle norme introdotte con il Dl dignità che aveva fissato a 5mila euro, per le “prestazioni occasionali” rigidamente circoscritte, il reddito massimo per i lavoratori, indipendentemente dal numero dei committenti e imponendolo anche ai quei datori di lavoro che avessero attinto da questo canale per evitare derive nell’uso di uno strumento dedicato a regolarizzare il lavoro saltuario. In realtà Meloni sa benissimo che difficilmente le strutture deputate al controllo saranno in grado di vigilare seriamente. Permangono così intonsi i motivi per cui i voucher per il lavoro occasionale erano stati aboliti nel 2017. Ovviamente cambiata l’aria, cambiano le priorità e per un governo di destra favorire spasmodicamente i “padroni” è imperativo categorico anche se si sono presi i voti dal “popolo”. Csì da un lato si smantella il “reddito di cittadinanza” e dall’altro si legalizzano meccanismi di sfruttamento del lavoro. Un capolavoro sul quale, chi dal “popolo”, li ha votati dovrebbe riflettere. Del resto da tempo la destra chiedeva la reintroduzione dei voucher. Era stata la legge Biaggi del 2003, ai tempi del governo Berlusconi II, a creare i voucher. L’idea di fondo era quella di regolamentare alcune forme di lavoro che non potevano essere ricondotte né alle prestazioni subordinate né a quelle autonome. Si tratto complessivamente di un marchingegno che era il classico rattoppo che si rivelava peggio del buco e che anche oggi, pur con alcuni “correttivi”, ha le medesime caratteristiche. In realtà si abbattono alcune opacità del mercato del lavoro facendo emergere parte del nero, ma senza però valorizzarlo, anzi di fatto legalizza lo sfruttamento. In ultima analisi impoverisce globalmente la società mentre fa finta di arricchirla. Il sistema si contraddice, perché vorrebbe imporre d’autorità, a un mercato che non è in grado di farlo da sé, alcune regole per evitare il ritorno puro e semplice alla giungla del nero e quindi alle tensioni sociali, e invece arriva a prendere penosamente atto della giungla esistente e la legalizza. Offre la famosa flessibilità al mercato del lavoro, come fosse la panacea dei mali, ma agisce sui sintomi e non sulle cause, dato che gli sconvolgimenti dovuti alla globalizzazione dei mercati non sono affrontabili con le liberalizzazioni, ma con misure internazionali. Questo in via generale, ma ancora più grave è che anzichè promettere a giovani (e meno giovani) l’uscita dal precariato, si creano meccanismi di legalizzazione di quella che si potrebbe definire una schiavizzante sottoccupazione al posto di una nerissima disoccupazione. E rispetto agli inizi del secolo in corso, si sono creati nuovi “lavori” come i “raider” che della precarizzazione selvaggia hanno fatto il vangelo. Nonostante fossero stati fissati anche limiti di compenso, prima a 7mila e poi a 5mila euro, lo strumento dei voucher già nella sua prima versione, era stato ampiamente criticato perché in molti casi veniva utilizzato senza rispettarne i requisiti, in sostituzione di contratti regolari e con più tutele per i lavoratori. Basti pensare che dal 2008 al 2017 vennero venduti milioni di buoni lavoro con utilizzi record: in 104 mesi, secondo i calcoli dell’Inps, furono venduti complessivamente appunto 433 milioni di buoni lavoro. Buoni lavoro, esentasse e che non prevedevano nessun tetto di utilizzo a carico del datore di lavoro, duramente criticato da Cgil, Cisl e Uil per i quali gli assegni erano in molti casi una forma di precariato estremo e povero. Il Jobs Act del governo Renzi era intervenuto, non smantellando il sistema, ma creando due diversi tipi di voucher. Uno era utilizzabile per i lavori occasionali nelle famiglie, l’altro in contesti aziendali. Era una maniera furbetta, nello stile del suo ideatore, per cambiare tutto per non cambiare nulla. Poi nel 2017, con Paolo Gentiloni alla guida di Palazzo Chigi, i voucher erano stati aboliti e sostituiti dai Libretti Famiglia e dai contratti di prestazioni occasionali, gestiti dall’Inps. L’esecutivo di Giorgia Meloni nella sua opera di restaurazione, ha adesso deciso di riportarli in vita. Si dice contenta della novità Confesercenti. “Con la Legge di Bilancio il governo reintroduce i buoni lavoro, i cosiddetti voucher, per alcuni settori particolari come l’agricoltura, l’horeca (l’industria albergheria, ndr) e i lavori domestici. Questa è sicuramente una buona notizia per le piccole e medie imprese che avranno così a disposizione uno strumento semplice per gestire il lavoro occasionale”, ha detto Confesercenti in una nota. Anzi non contenti l’associazione chiede che i voucher “siano estesi a tutto il comparto del turismo, non solo alle strutture ricettive e alla ristorazione”. Bene, continua Confesercenti, la decisione del governo “di porre un tetto, così da evitare eventuali abusi e, al contempo, mantenere quella flessibilità necessaria per intercettare e gestire i picchi di lavoro inattesi che caratterizzano settori come, appunto, il turismo” non cogliendo, o forse cogliendolo benissimo, che in questa maniera si riportano almeno alcuni compensi al ribasso. E non è un caso che anche Coldiretti parla di “una buona notizia per il settore agricolo”. Lo sottolinea il direttore generale di Coldiretti Fvg Cesare Magalini. «I buoni lavoro – dichiara Magalini rilanciando le parole del presidente nazionale Ettore Prandini – sono importanti nelle campagne dove occorre lavorare con la semplificazione burocratica per salvare i raccolti e garantire nuove opportunità di reddito in un momento particolarmente difficile per il Paese». Coldiretti Fvg sottolinea inoltre come il governo abbia di fatto accolto le sollecitazione dell’Organizzazione sul tema della manodopera agricola e conferma la disponibilità al confronto con istituzioni e sindacati per individuare le modalità più adeguate nella prospettiva della semplificazione per le imprese e delle necessarie tutele per i lavoratori agricoli.