Wanted!

Detto che per beccare i nuovi criminali di guerra non bastano gli ordini di cattura e la presunta buona volontà, la decisione del TPI apre scenari decisamente nuovi rassegnandosi a colpire non solo criminali “nemici” dell’occidente o dittatorelli africani. Certo per beccare Netanyahu e Gallant ci vorrebbe un tipo come Django, ma perlomeno questa decisione costringe Israele alla difensiva. Termine che per quel governo è una via di mezzo tra un ossimoro e un via libera ad agire come meglio vuole senza dover sentirsi in colpa.

Cercando di spiegarmi meglio, da sempre Israele ha trovato rifugio nel sostenere che le sue azioni contro i palestinesi, contro la Siria, Il Libano, l’Iraq e l’Iran (questi sono i suoi principali bersagli, ma nella lista ci starebbero bene almeno anche lo Yemen e il Sudan) seminando morte e distruzione ovunque, sono sempre state di difesa. Atti che se effettuati da qualsiasi altro soggetto verrebbero invece definiti di aggressione; da qui, l’incoerenza del termine. Se poi Israele si possa sentire in colpa per i crimini commessi, magari lo si potrebbe chiedere ai suoi rappresentanti di governo (e dell’opposizione) e ultimamente pure alla maggior parte della popolazione di quel Paese. Dunque, se di difesa si tratta, non c’è spazio per sensi di colpa.

Nel frattempo, mandato o meno, la situazione di Gaza è sempre più tragica e le parole di Gallant risalenti ad un anno fa, sono sempre più attuali. “Bloccheremo tutto, cibo, medicinali, carburante, li isoleremo tenendoli sotto assedio…”; in questi termini si esprimeva l’ormai ex ministro della difesa dimostrando di essere una persona di parola. Ciò che sta subendo l’intera popolazione di Gaza è indescrivibile; le (poche, salvo quelle di Al jazeera) immagini che ci arrivano dovrebbero parlare da sole e invece da noi in occidente, creano maggiore scandalo le decisioni prese dai Tribunali Internazionali che nemmeno hanno usato termini come genocidio (pur avendolo ipotizzato), ma al massimo accuse come “crimini di guerra” distribuendole equamente tra criminali israeliani e palestinesi di Hamas. In ogni caso sufficienti per ipotizzare l’arresto di quei macellai.

Sarà forse che qualche senso di colpa comincia ad emergere anche tra di noi che non possiamo definirci innocenti di fronte alle stragi che non solo i palestinesi, ma anche gli abitanti dei Paesi di cui sopra stanno subendo, ma almeno qualcosa si è mosso. In Libano è in corso una mattanza che come a Gaza non si cura di verificare che le vittime siano combattenti, in questo caso Hezbollah, oppure poveracci che abitando in zone densamente abitate vengono macellati senza tanti riguardi. Anzi probabilmente di proposito per cercare di scatenarli contro i combattenti e delegittimarli; normalmente fatti del genere verrebbero definiti terrorismo, ma si sa che ciò non vale per noi occidentali e democratici. Il fatto è che definire Hezbollah (come del resto Hamas) solo gruppo combattente è improprio in quanto quelle organizzazioni sono parte essenziale della politica e dei vari governi succedutisi in Libano oppure eletti in Palestina. Non solo, ma queste formazioni godono dell’appoggio soprattutto della fascia più debole ed economicamente povera della popolazione. Inoltre non si capisce (o forse sì) per quale motivo l’IDF (Israeli Defence Forces) colpisca anche soldati dell’esercito libanese ed addirittura i caschi blu che dovrebbero rappresentare una forza di interposizione tra le parti.

Il progetto di Israele appare chiaro; indebolire gli alleati (i proxies) di Teheran per poi poter sferrare un micidiale colpo proprio contro il suo nemico principale. Per l’appunto, l’Iran.

Il problema è che questa soluzione, seppure potrebbe fare comodo a molti attori dell’area a cominciare dagli Emirati del Golfo e soprattutto all’Arabia Saudita, procurerebbe più guai e problemi che vantaggi per la sicurezza e per l’economia di quegli Stati. Rimane di monito l’azione degli Huti Yemeniti di qualche anno fa quando con una serie di droni lanciati sugli impianti di raffinazione di Buqyaq, misero in seria crisi la produzione ed il commercio del petrolio dell’area. Inoltre, lo stretto di Hormuz sotto il controllo di Teheran potrebbe essere facilmente bloccato mettendo in seria crisi il commercio dell’oro nero di tutta l’area del Golfo. Basta vedere quanto gli Huti sono riusciti a mettere in crisi il traffico commerciale navale che passa (spesso passava) dal Mar Rosso. Non è certo per una sensibilità di carattere pacifista che Usa, Arabia e il resto del mondo cercano in tutti (o quasi) i modi per impedire ad Israele di intervenire pesantemente, più di quanto fino ad oggi fatto, in Iran.

Nel frattempo forse qualcosa si sta muovendo e non sempre in modo positivo. Se per quanto concerne il Libano ed Hezbollah (che ha nonostante tutto ancora una capacità di risposta missilistica piuttosto consistente) si intravede qualche possibilità di soluzione diplomatica che però ha ancora bisogno di parecchi ritocchi, per quanto invece riguarda la Palestina (ovviamente non c’è solo Gaza) ipotesi almeno mirate a fermare i quotidiani massacri e di un cessate il fuoco che permetta ai suoi abitanti ridotti alla fame e ora anche al freddo di respirare e magari riuscire a mettere sotto i denti qualcosa e potersi un minimo curare, non è in vista. La recente espulsione della delegazione di Hamas da Doha, dove il gruppo armato è sempre stato di casa, non fa ben sperare anche se potrebbe essere interpretata come una mossa tesa ad ammorbidire le posizioni delle parti in conflitto. Certo è che né governo, né a questo punto cittadini israeliani sono disponibili ad alcuna concessione; ci sarebbe la possibilità che la cosiddetta Comunità Internazionale intervenisse in modo deciso nei confronti soprattutto di Tel Aviv evitando per esempio di inviare armi e di appoggiare intelligence con i voli di ricognizione (l’80% del totale) atti a raccogliere informazioni e semplificare i macelli che poi sono opera dell’esercito e soprattutto aviazione israeliani.

Nel frattempo a Washington sta arrivando Mr. Trump, un tipaccio imprevedibile che già nel passato è riuscito a procurare non pochi danni nell’area mediorientale. Lo spostamento dell’ambasciata USA a Gerusalemme, il riconoscimento dell’assegnazione delle alture del Golan (Siria) e l’unilaterale decisione di stracciare gli accordi sul nucleare iraniano non fanno presumere cambiamenti di rotta rispetto alla già disastrosa politica che Biden e della sua vice Harris hanno tenuto finora su questa dannata ecatombe.

C’è solo da sperare che nella sua totale ignoranza, Trump riesca a capire male e chissà, a limitare il suo appoggio a governo israeliano. Ma è così, un po’ solo per ridere. Ancora una volta e come sempre, per non piangere.

Docbrino