25 Aprile festa di tutti ma non per tutti. L’Italia resta una Repubblica antifascista… per legge, non per opinione
Quest’anno, decisamente di più degli altri anni, le polemiche accompagneranno le celebrazioni del 25 Aprile, il motivo è ovvio, per la prima volta dal dopoguerra la repubblica italiana nata dalla Resistenza al fascismo vede a capo del governo forze post-fasciste in posizione di primo piano. In passato vi era stata al governo una maggioranza di centrodestra, ma vedeva le forze più estremiste relegate in ruoli più defilati. Il risultato è chiaro e palpabile, è in corso un tentativo di restaurazione cultuale e di orribile negazione della storia di cui, per fare solo un nome, si è reso protagonista fra gli altri il presidente del Senato, Ignazio La Russa. L’ormai mitica seconda carica dello stato, anzia della nazione, dopo aver anticipato con improvvide, inopportune e soprattutto false dichiarazioni su via Rasella ha di fatto annunciato di non avere di fatto alcuna intenzione di rappresentare il 25 Aprile come la sua carica gli imporrebbe, ma invece di raccontare la sua personale visione della storia, con l’idea, più o meno palesata, di considerare i partigiani, o buona parte di essi, alla stregua se non peggio dei repubblichini di Salò. Questo ovviamente si sposa con la sempreverde tesi dei doppi estremismi. Ed allora cosa di meglio che volare in repubblica Ceca a rendere omaggio a Jan Palach lo studente cecoslovacco che si immolò dandosi fuoco per protesta contro l’invasione sovietica di Praga. Per La Russa e per la distorta narrazione della storia che da sempre la destra nostalgica italiana propugna, Urss equivale automaticamente a comunismo, non comprendendo che un conto sono i valori che il comunismo come ideologia propugnava e un conto è stata la realizzazione concreta e che diede vita a regimi illiberali con lo stalinismo come orribile vertice negativo. Crescita negativa avvenuta a cavallo delle due guerre e immediatamente dopo la sconfitta del nazifascismo. La sinistra con quella storia ha fatto i conti allontanandosi dal regime di Mosca e cercando una propria via originale e democratica. La destra italiana non ha invece accettato la realtà di un fascismo portatore di lutti. Sforzo che evidentemente i post-fascisti non riescono a fare smarcandosi dal nazionalismo Mussoliniano. Ed allora ecco che la parola antifascismo diventa impossibile da pronunciare. Quello che è grave è che una serie di servetti più per interessi economici che ideologia seguono la “linea” e siamo certi che saranno in tanti nella giornata del 25 aprile che si arrampicheranno sugli specchi pur di non pronunciarla quella parola antifascismo di cui è giustamente intrisa la Costituzione repubblicana. Siamo certi che domani ne vedremo delle belle. Intanto forse è il caso di ripartire da qualche punto fermo. Allora a beneficio degli smemorati e degli ignoranti patologici o di ritorno cerchiamo di mettere un punto fermo L’Italia è una Repubblica antifascista (per legge, non per opinione), se non basta la Costituzione vi sono leggi specifiche in tema di fascismo e la sua apologia. Senza entrare troppo nel particolare vale la pena citare alcuni fatti giuridici precisi: Torniamo alla Costituzione e in particolare alla XII disposizione transitoria e finale che vieta la riorganizzazione del partito fascista: “E` vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista”. (1° gennaio del 1948). Poi la legge Scelba (20 giugno 1952) che chiarisce il concetto e stabilisce all’articolo 1: “si ha riorganizzazione del disciolto partito fascista quando una associazione o un movimento persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politico o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza o svolgendo propaganda razzista, ovvero rivolge la sua attività alla esaltazione di esponenti, principi, fatti e metodi propri del predetto partito o compie manifestazioni esteriori di carattere fascista”. Poi aggiunge all’art.2: “Chiunque promuove od organizza sotto qualsiasi forma la ricostituzione del disciolto partito fascista a norma dell’articolo precedente è punito con la reclusione da tre a dieci anni”. Ma non solo nella stessa legge all’articolo 4 si parla senza giri di parole di apologia del fascismo: “Chiunque, fuori del caso preveduto dall’art. 1, pubblicamente esalta esponenti, principi, fatti o metodi del fascismo oppure le finalità antidemocratiche proprie del partito fascista è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a lire 500.000 (oggi una enormità da oltre 18 milioni di euro ndr). La pena è aumentata se il fatto e’ commesso col mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione o di propaganda”. Poi il 25 giugno del 1993 arriva anche la legge Mancino che ribadisce e rafforza: “E’ vietata ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Chi partecipa a tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi, o presta assistenza alla loro attività, è punito, per il solo fatto della partecipazione o dell’assistenza, con la reclusione da sei mesi a quattro anni. Coloro che promuovono o dirigono tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da uno a sei anni”. Alla luce di tutto questo non crediamo di dire una assurdità se affermiamo che almeno alcuni degli attuali esponenti politici di maggioranza potrebbero incorrere nelle sanzioni di legge.