6 maggio 1976 trema la terra. 6 Maggio 2022 l’Orcolat diventato virus e cannone
Sono passati 46 anni da quel 6 maggio 1976 quando nei cinquantanove secondi più lunghi della storia recente del Friuli, quasi tutto venne giù. Poi le repliche inaspettate e devastanti a settembre, che oltre alle pietre e al cemento fecero vacillare la fiducia di chi si era rimboccato le maniche. Eppure da quella tragedia che costò la vita a quasi 1000 persone, non solo il Friuli si risollevò nella ricostruzione, ma beneficiò di uno sviluppo impensabile di cui trasse beneficio l’intera regione. Molti l’hanno rimosso dalla memoria, tutto questo fu possibile grazie alla solidarietà nazionale. Quella storia di sofferenza e rinascita , oggi, nei tempi di pandemia con quasi 5000 morti da Covid e i venti di guerra che soffiano da est, sembra lontana. In realtà il rischio di una nuova devastazione, non infrastrutturale, ma economica e sociale, è la nuova sfida con cui misurarsi. Paradossalmente è più difficile oggi che nel 1976, anche se il Fvg è più forte e ricco dal punto di vista economico, appare più debole nella propria classe dirigente e non solo politica. 30 anni di liberismo e di mito del mercato come regolatore di ogni sviluppo, hanno minato alle fondamenta alcuni principi di solidarietà che furono alla base della ricostruzione del Friuli post terremoto. E’ facile ipotizzare che se nel 1976 vi fosse stato l’attale assetto politico, incapace di vedere oltre il proprio naso di convenienza politica anziché di servizio ai cittadini, la ricostruzione e lo sviluppo dell’intera regione, non sarebbero andati come per fortuna sono andati. Forse per questo la commemorazione degli eventi di allora dovrebbe assumere un significato diverso, niente più stucchevoli medaglie e autocelebrazioni di quanto siamo stati bravi a ricostruire e a non rubare, cosa come sappiamo per nulla scontata nel nostro paese quando sono in gioco grandi lavori ma che dovrebbe essere normale e non merito speciale. Sostituire tutto con una seria e non autocelebrativa analisi da utilizzare magari come modello virtuoso per l’utilizzo, ad esempio, dei fondi del Pnrr. L’idea di un modello Friuli 76, efficace grazie anche all’abnegazione di sindaci, funzionari locali e regionali e perfino di una politica che seppe unirsi pur mantenendo le proprie prerogative ideologiche (che allora contavano), è stata non un fattore divisivo ma qualificante, ancora alla quale i cittadini si sono efficacemente aggrappati trovando le risposte. Oggi non si riesce neppure a far funzionare un centro di prenotazioni delle prestazioni sanitarie. Non possiamo non constatare che quel modello Friuli ha esaurito da tempo la sua spinta propulsiva. Resta solo la memoria della tenacia della gente comune, di quella che aveva perso tutto o quasi, ma che seppe sfruttare in maniera virtuosa la solidarietà nazionale. Solidarietà nazionale il cui ricordo, fra l’altro si è però spesso sbiadito nelle pieghe di una narrazione unicamente autoreferenziale e nelle logiche dei sovranismi. Ormai da tempo la nuova classe dirigente che con quella dell’epoca del sisma nulla aveva ha a che fare, ha cercato di vivere di rendita inciampando maldestramente sulle proprie inutilità e costruendo un modello di territorio appiattito su modelli di business e di sfruttamento delle risorse irrispettoso di un territorio di rara bellezza e integrità. Potremmo parlare, come del resto abbiamo fatto spesso, dello sfruttamento delle acque, della corsa alla cementificazione e al consumo di suolo, alle strade inutili, alle mancate attenzioni per l’ambiente inteso come aria, acqua e terra e soprattutto alla brutalità della sostituzione di valori con quello unico del “conto in banca” come misura del successo, fattore che rischia di corrompere le menti dei giovani ( e non solo) imponendo il testo unico del denaro, anziche la Costituzione, come propria stella polare verso la quale indirizzare la vita. La devastante conseguenza è fra l’altro che chi non riesce a diventare “ricco” (ovviamente i più) in assenza di altri valori, finisce frustrato ed infelice. Aggiungiamo al quadro lo smantellamento della sanità territoriale pubblica e ci accorgiamo come oggi, in pochi anni e con ulterirre accelerazione negli ultimi mesi, tutto è cambiato. Ma con il cambiamento arrivano anche le potenzialità, magari di uno sviluppo che corregga le storture del passato. Anche se l’Orcolat non ha più le sembianze del mostro che scuote la terra, ma di un minuscolo essere che invade e uccide o del rombo lontano ma ben distinguibile del cannone, il concetto di solidarietà resta l’unica soluzione al problema. Un cambio di passo che può vedere protagoniste le nuove generazioni a patto però che si vada oltre i ristretti confini territoriali, oltre perfino quelli nazionali, perchè il vero problema è che le difficoltà non si possono superare facendo come gli struzzi, mettendo la testa nella sabbia o guardando solo ai propri piccoli interessi di bottega figliastri spesso dei nuovi sovranismi che ammorbano l’aria europea. La visione dovrà per un volta essere più larga, mondiale, e non nella logica di globalizzazione delle merci ma di esportazione dei diritti. Guerre e pandemie non sono come l’Orcolat sismico, non basta il cemento armato per mettersi ragionevolmente al sicuro.