A Kherson oltre 1.500 ettari di foresta in fiamme. Ambiente e biodiversità vittime della guerra come è più delle persone
C’è una vittima di cui nella guerra in Ucraina si parla poco, è l’ambiente e le sue biodiversità. Di oggi la notizia che Kiev ha lanciato un allarme per gli incendi boschivi provocati dagli attacchi russi nella regione di Kherson dove, secondo le autorità ucraine, le fiamme avrebbero inghiottito 1587 ettari di foresta. Sempre secondo Kiev, le truppe russe continuano a bombardare le regioni vicine da Kherson, diffondendo gli incendi. In realtà è fin dai primi giorni di questa insensata guerra che le distruzioni ambientali sono una costante, dato che missili e bombe, sono intelligenti solo nella testa dei guerrafondai. Non è che le esplosioni provocate dagli ucraini abbiano effetti diversi sulla natura da quelle dei russi. Quello della distruzione dell’ambiente è infatti un effetto collaterale di cui poco si parla dato che le immagini degli scontri descrivono principalmente la forza devastante di un conflitto sulle persone, civili e militari, e sulle aree urbane, città e villaggi rasi al suolo. Ma in realtà è la natura violentata la vera prova tangibile di quanto una guerra sia sempre totale e mai “chirurgica”. Una totalità che non esclude piante e animali. Le conseguenze ambientali della guerra Russo-Ucraina ricadranno anche dopo che taceranno le armi per molto tempo, il danno alla biodiversità e alle foreste ucraine è immenso e forse irreparabile. Infatti la minaccia alla biodiversità e alle specificità ambientali del Paese è data anche dalla pressione che il conflitto esercita sulle foreste, sottoposte anche ad un incontrollato aumento del taglio di legname: illegale e strategico da parte delle forze d’occupazione che ne fanno uso per i propri scopi e per sottrarre risorse di sopravvivenza alle popolazioni locali, ma anche di sussistenza per i sopravvissuti dei territori occupati. A questo si accompagnano gli incendi provocati dagli scontri che hanno già raso al suolo migliaia di ettari di foreste. Domare gli incendi e controllarne la portata risulta impossibile in un paese in guerra perché anche i vigili del fuoco diventano obiettivi e in considerazione che la priorità viene ovviamente rivolta a salvare vite umane. Animali e aree verdi sono dunque in pericolo, nessuno può occuparsene in maniera pianificata ed efficace. Per non parlare del fatto che il continuo spostamento di mezzi militari pesanti provocano danni altrettanto gravi di quelli dati dall’attività esplosiva. C’è poi il pericolo nucleare dato dalla presenza di 15 reattori nucleari nello Stato aggredito che pone il rischio radioattivo da incidente fra quelli più pericolosi ed allarmanti anche per il futuro. I bombardamenti missilistici attorno alla più grande centrale d’Europa, a Zaporizhzhia ad esempio rendono la situazione preoccupante per l’intero continente europeo e anche per la stessa Russia. Anche se attualmente non quantificabili visto che le distruzioni continuano, gli effetti ambientali che il territorio dovrà fronteggiare in futuro hanno una portata ben più lunga di quella immediata e diretta. Ad essi si aggiungono ulteriori conseguenze di cui il conflitto è indirettamente responsabile di cui uno dei più tangibili è la scarsità di cereali e concimi a livello globale. L’Ucraina e la Russia infatti provvedono a circa un quarto della fornitura mondiale di grano e più della metà delle esportazioni di olio di girasole sono sostenute dall’Ucraina. L’incertezza attuale ha provocato non solo un innalzamento del rischio alimentare per molte popolazioni, si parla di 20 milioni di persone in Africa che rischiano la morte per fame. Infatti se molti Stati europei, esattamente come per l’energia, per far fronte alla crisi cerealicola scatenata dal conflitto, stanno puntando alla produzione intensiva dei cereali per soddisfare la domanda alimentare interna e per rendere così l’Europa indipendente dalle importazioni in futuro, non così è per altri paesi dove questo non è possibile, come in Africa endemicamente alle prese con la mancanza di acqua e la desertificazione che avanza. Del resto che questo problema sia drammaticamente collaterale alla guerra lo dimostrano i grandi conflitti del passato, dalla Prima Guerra mondiale fino alle più recenti come la Guerra del Vietnam hanno avuto conseguenze tali che l’ONU ha istituito nel 2001, il 6 novembre come Giornata Internazionale per prevenire lo sfruttamento dell’ambiente durante i conflitti armati, iniziativa al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema. L’Osservatorio su Conflitti e Ambiente mostra come la guerra possa impattare sull’ambiente in diverse direzioni dall’inquinamento idrico e atmosferico causati dagli scontri, fino ai residui tossici lasciati sui teatri di battaglia e le basi militari che nessuno bonifica. A questi effetti si aggiungono altre ricadute sulle popolazioni: ad esempio i campi profughi, messi in piedi in emergenza in località spesso non ottimali. Questi generano una pressione antropica che impatta sulle falde acquifere e sul terreno. Ma non solo gli effetti immediati, ma anche quelli che vedono durante i conflitti lo sfruttamento e depauperamento ambientale un punto strategico, devastando campi coltivati e aree forestali, altrimenti utilizzabili dalle popolazioni attaccate per la propria sopravvivenza. Anche nel post-conflitto, l’uso delle mine e gli ordigni inesplosi rendono infertili e non facilmente coltivabili intere porzioni di territorio. Insomma se ce ne fosse bisogno anche l’ambiente ci dice che la guerra è follia.