A Proposito di referendum sulla legge elettorale. La legge elettorale definisce la democrazia. Altro è un algoritmo costruito su un interesse specifico.
Ho dato una rapida occhiata alle tre pagine che costituiscono il quesito di referendum abrogativo che la Lega Salvini ha predisposto per eliminare la quota proporzionale dal Rosatellum e convertirlo in un sistema tutto maggioritario.
Pur essendo convinto che si tratta di una pura azione politica demagogica con un approssimativo contenuto tecnico e destinata a trovare difficoltà nei giudizi di ammissibilità connessi alla presentazione del quesito, la vicenda merita di essere analizzata senza pregiudizi proprio in relazione alla materia che affronta.
Vale peraltro mettere in evidenza il significato politico dell’iniziativa referendaria attivata dalla Lega. Grazie al controllo di almeno 5 regioni italiane, è quasi una genialata difensiva dopo il fallimento della “strafexpedition” di agosto e la rotta conseguente alla nascita del governo Conte “. Dopo Caporetto bisognava trovare una linea del Piave che permettesse di tenere unito il “popolo leghista” dimostrando di essere in grado di combattere efficacemente il nemico. 1,2,.. mille referendum in nome del popolo “truffato” da politici attaccati con il “vinavil” alle loro “poltrone e sofà” mi pare uno slogan-strumento utile alla presenza sui media ed a costruire una agenda politica sugli argomenti “proprietari”. Consiglierei peraltro anche la raccolta delle firme tra i cittadini per una ulteriore risonanza e per fornire più attivismo ai militanti.
La vicenda elettorale è il nodo di tutto. Dopo quasi 30 anni in cui la seconda Repubblica si è definita nella necessità di un sistema bipolare per garantire la “governabilità”, di fronte al rifiuto degli elettori italiani di tale formula, siamo arrivati a dover prendere in considerazione il ritorno ad una qualche forma di rappresentanza proporzionale che poi, per governare, permetta il mettere d’accordo posizioni non coincidenti o, addirittura, come nel caso M5S-Lega, tra loro opposte su gran parte dei contenuti tematici.
A questa fatica di Sisifo che impegnerà la coalizione M5S-PD-LEU-ITALIA VIVA per trovare una soluzione che non sfasci il governo, la proposta contrapposta Salvini-Calderoli tenterà, nell’abrogare parzialmente il Rosatellum, di eleggere direttamente tutti i parlamentari nei collegi uninominali che, con la riduzione costituzionale prevista, saranno tra Camera e Senato poco più di seicento. Tale è la proposta che gira in questi giorni nei Consigli regionali a maggioranza leghista. Nel caso di approvazione (da parte del voto popolare) avremmo quindi un meccanismo inglese con però due camere elettive con poteri coincidenti.
Non si tratta peraltro di un sistema maggioritario sicuro, in quanto il nuovo modello può avere come conseguenza meccanismi aggregativi compositi nelle varie circoscrizioni territoriali, determinando probabilmente risultati inaspettati. Credo che in una eventualità del genere le mille Italie potrebbero finalmente emergere e, non sia mai, che finalmente costringano a farla finita con ogni prospettiva di centralizzazione più o meno autoritaria. Sarebbe di fatto una ottimizzazione dell’attuale meccanismo elettorale del Trentino-Sud Tirolo dove i collegi elettorali uninominali prevalgono sui seggi proporzionali. Sarei tentato di dire che, tutto sommato, per la realtà del F-VG potrebbe anche andare bene, se non fossi un incallito proporzionalista egualitario. Convinto che, se in una realtà regionale una lista raggiunge un numero di voti corrispondente ad un quoziente, quella ha diritto ad essere rappresentata in Parlamento pur senza la necessità di ottenere percentuali e seggi in tutta Italia.
Che poi debbano esserci ulteriori norme di tutela per le minoranze linguistiche è una risposta che appartiene ad una visione di tutela che l’Europa ha identificato e che corrisponde ad uno standard di diritto internazionale che deve essere applicato. E ciò deve riguardare tutte le minoranze, non solo quelle che hanno un potente stato alle spalle. Si vedrà al proposito quanto proporrà la legge annunciata dalla maggioranza.
Il dibattito sulla legge elettorale non può poi non considerare tutti gli spazi istituzionali che compongono la Repubblica, il sistema regionale e quello degli enti locali dove di fatto oggi vige già un sistema maggioritario. Questo è peraltro mitigato nel caso dei Comuni di una certa dimensione da una seconda votazione di ballottaggio nel caso di mancata maggioranza al primo turno.
Un modello simile funziona in Francia da parecchi anni. Potrebbe essere questa una buona indicazione anche per una riforma dei sistemi regionali, e forse un po’ meno per le rappresentanze parlamentari. E comunque in tale caso andrebbero ben diversificati i ruoli di Camera e Senato.
Appare quindi evidente come il funzionamento di una determinata democrazia sia pesantemente condizionate dai meccanismi elettorali che vengono applicati. Ed è quindi uno spazio di regolazione dove le furberie sono spesso all’ordine del giorno, determinando risultati che non dipendono dai voti raccolti ma da altri fattori costitutivi del modello. Chi ha il pallino del gioco è tentato di fissare le regole che maggiormente lo favoriscono. Spesso si sono sbagliati i calcoli ma è quello che è successo in Italia negli ultimi 25 anni.
Per affrontare seriamente una “riforma” dei meccanismi elettorali bisogna avere una visione ampia di un futuro politico ed istituzionale nonché una condivisione della stessa. Purtroppo oggi ci troviamo di fronte ad uno stato allo sbando in cui ogni azione politica sempre orientata alla costruzione di algoritmi in grado di favorire uno o l’altro senza farsi carico di nessuna prospettiva strategica. Sempre che sia possibile avere una visione strategica per il futuro dello stato italiano.
Giorgio Cavallo