Bcc Pordenonese e Monsile: presentato lo studio sui cambiamenti socio-economici in Friuli-Venezia Giulia e Veneto –

Imprese votate all’innovazione e all’export; studenti universitari in costante aumento e percentuale di occupazione dei neolaureati superiore alla media nazionale; popolazione in crescita nelle zone rurali e nei centri intermedi, ma in calo nelle città; crescita dell’occupazione femminile e impoverimento della classe dei lavoratori più giovani. Sono queste alcune delle principali tendenze riscontrate da “MutaMenti 2021 Friuli-Venezia Giulia e Veneto: ter(re)agenti”, la prima edizione dello studio annuale sui cambiamenti demografici e socio-economici in Friuli-Venezia Giulia e Veneto realizzato da BCC Pordenonese e Monsile, in collaborazione con il Fondo Sviluppo FVG, e curato da Daniele Marini, sociologo Professore dell’Università di Padova e consigliere di BCC Pordenonese e Monsile. Si parla di “territori (re)agenti”, che hanno saputo reagire alla crisi e che mostrano ancora performance superiori alla media nazionale, ma che necessitano di “attori” che guidino la trasformazione anche nel futuro. L’analisi è stata presentata questa mattina presso il BHR Treviso Hotel, in un evento alla presenza di Giuseppe Maino (Presidente Gruppo Bancario ICCREA) cui hanno partecipato, tra gli altri, Antonio Zamberlan e Gianfranco Pilosio (rispettivamente Presidente e Direttore Generale di BCC Pordenonese e Monsile) e Paola Carron (Vice Presidente di Assindustria Venetocentro). L’indagine si è posta l’obiettivo primario di considerare i principali fenomeni e le tendenze di medio e lungo periodo riscontrabili in Friuli-Venezia Giulia e Veneto, con l’obiettivo di offrire uno strumento utile per la costruzione di strategie territoriali di supporto all’economia del territorio intervenendo su 4 campi di azione differenti: economia e sistema produttivo, lavoro, capitale umano e formazione, transizione demografica.

“La vocazione territoriale della nostra Banca deve sempre essere un valore aggiunto, e non un limite. Per fare questo vogliamo essere i più autorevoli conoscitori delle nostre comunità, attraverso l’opera che quotidianamente facciamo nelle nostre filiali, negli eventi che organizziamo o sosteniamo, grazie ai contributi al terzo settore, ma anche e soprattutto studiando. Studiando i nostri territori, le comunità, le attività economiche e la vita sociale.
Ma abbiamo voluto fare di più, abbiamo voluto raccogliere queste ricerche in uno strumento che possa dare una panoramica di come si stanno muovendo i territori del Friuli Venezia Giulia e del Veneto. Questa indagine ha proprio le caratteristiche sopra descritte, e sarà un utile supporto a Enti, amministrazioni, imprenditori e a coloro che si relazioneranno con i territori di questo Nord Est. ”, ha dichiarato Antonio Zamberlan, Presidente di BCC Pordenonese e Monsile.
“Il nord-est rappresenta uno dei principali motori del nostro Paese e le 20 BCC del Gruppo Iccrea, operative con 486 sportelli in entrambe le regioni, hanno realizzato sul territorio oltre 15 miliardi di impieghi tra Veneto e Friuli Venezia Giulia al 30 giugno 2021, affiancandosi sia a percorsi di business già industrializzati e articolati sul territorio, che ad altri che spesso rientrano in snodi fondamentali di filiere di produzioni internazionali. Le BCC del Gruppo Iccrea nel nord-est supportano oltre 135.400 imprese e più di 755.000 famiglie in 1.722 Comuni (34,4% del totale) e in 338 rappresentano l’unica presenza bancaria. Le nostre BCC sono da sempre accanto alle aziende Made in Italy che nascono in quest’area dell’Italia, esempi di eccellenza che devono rimanere sul territorio e rappresentare una leva per trattenere e valorizzare i giovani e i migliori professionisti specializzati” ha aggiunto Giuseppe Maino, Presidente di Iccrea Banca.

“Dall’indagine emerge chiara la capacità delle due regioni di affrontare le sfide grazie ad un sistema produttivo che sta realizzando una rivisitazione profonda di se’ stesso e delle sue relazioni con il territorio. La sommatoria dei risultati dell’indagine presentata oggi restituisce un’immagine del territorio in grado di agire e reagire alla trasformazioni dimostrando capacità di rispondere in maniera flessibile alle sollecitazioni anche improvvise della storia. Nel DNA del Nordest del 2021 c’è ancora qualche criticità ma la loro capacità di essere ter(re)agenti rispetto alle difficoltà, rende questo territorio pronto a ripartire grazie a un manifatturiero forte, una forte vocazione all’export e un capitale umano eccellente che dobbiamo imparare a trattenere facendo sistema”, ha sottolineato Daniele Marini, Università di Padova.

“L’Italia vive oggi un periodo di forte ripresa e il nostro territorio mostra una dinamica anche migliore di quella che avevamo immaginato solo qualche mese fa, pur consapevoli dei rischi legati all’incremento dei costi delle materie prime e dell’energia. La crescita che abbiamo davanti è in una certa misura un rimbalzo ma registriamo recuperi anche rispetto al periodo pre-pandemia trainati anche dall’accelerazione delle esportazioni distrettuali del Nord-Est. I distretti industriali sono infatti una “realtà dove innovazione, ricerca della qualità e vocazione internazionale hanno consentito di crescere fino a farli diventare la punta di diamante della piccola e media impresa italiana. In questo contesto è fondamentale attivarsi per continuare a diffondere quella cultura e quel saper fare impresa che hanno reso unico il nostro territorio. La recenteassegnazione all’area vasta Padova-Rovigo-Treviso-Venezia quale nuova Capitale della Cultura d’Impresa per il 2022 consentirà di valorizzare i territori e le economie locali con una forte impronta industriale, in cui la sinergia fra il sistema produttivo e i valori creativi e culturali assume una dimensione distintiva e crea occasioni di sviluppo e crescita per le città e i relativi territori”, ha commentato Paola Carron Vice Presidente di Assindustria Venetocentro.

ECONOMIA E SISTEMA PRODUTTIVO:
Fvg e Veneto due regioni al vertice della classifica nazionale per diffusione dei processi innovativi industriali.

Il sistema produttivo, forse più degli altri ambiti, ha vissuto processi di trasformazione sempre più accelerati. La velocità delle innovazioni e l’avvento del digitale richiedono adeguamenti e aggiornamenti continui. Sotto questo profilo, le imprese del Veneto e del Friuli-Venezia Giulia si sono dimostrate fortemente competitive.

Le due regioni si collocano, infatti, al vertice della classifica nazionale per quanto riguarda gli investimenti realizzati in innovazione: in Veneto il 44,3% delle imprese con più di 3 addetti è stata impegnata in progetti di innovazione, mentre in Friuli-Venezia Giulia il 41,4%, superando la media nazionale ferma al 38,4%. A livello provinciale spiccano (in positivo) la provincia di Pordenone (49,7%) e quelle di Treviso e Vicenza (rispettivamente 49,5% e 49,2%).

Anche sul fonte dell’export Friuli-Venezia Giulia e Veneto evidenziano valori decisamente più elevati rispetto a quelli nazionali. Nel periodo 2012-2019 la propensione ad esportare ha visto una costante crescita dal 33,2% al 40% per il Friuli-Venezia Giulia e da 39,3% al 44,2% per il Veneto rispetto a una forbice nazionale dal 27,4% al 31,8%.

A livello provinciale, nel 2019 Vicenza aveva fatto segnare il valore più elevato di esportazioni (18.545 milioni di euro), seguita da Treviso (13.684 milioni) e da Verona (11.798 milioni). Al primo posto tra le provincie del Friuli-Venezia Giulia si collocava la provincia di Udine (6.267 milioni di euro). In Veneto le prime tre provincie generavano il 67,6% delle esportazioni totali, la provincia di Udine, in Friuli-Venezia Giulia, raggiungeva il 40,4%.

Nel passaggio tra 2019 e 2020, con la crisi causata dal Covid, il Friuli-Venezia Giulia ha poi visto diminuire le esportazioni di 1,2 miliardi (-7,9%), mentre nel 2020 le esportazioni totali del Veneto sono diminuite del 8,2% attestandosi a 59,8 miliardi di euro.
Nei primi tre mesi del 2021 le esportazioni del Friuli-Venezia Giulia si sono attestate attorno ai 3,3 miliardi di euro. Positivi i risultati anche del Veneto: nel primo trimestre dell’anno le esportazioni sono cresciute del 4,9% a 16 miliardi di euro.

LAVORO:
presenza femminile in aumento, i giovani pagano la pandemia e il manifatturiero resta il settore trainante.

Il mercato del lavoro in Friuli-Venezia Giulia e Veneto ha subìto forti cambiamenti dovuti alla crisi pandemica, così come per tutto il Paese, dove nel 2020 le assunzioni nel settore privato non agricolo sono diminuite del 28% rispetto al 2019, con un calo del 27% in Veneto e del 26% in Friuli-Venezia Giulia.

Pre-pandemia invece (2019) le due regioni registravano un tasso di attività superiore alla media nazionale (49,4%), con il Veneto al 54,5% e il Friuli-Venezia Giulia al 51,5% e un tasso di occupazione più che positivo (rispettivamente 51,4% e 48,4% contro il 44,9% dell’Italia). La disoccupazione rimaneva invece su soglie quasi fisiologiche (5,6% in Veneto, 6,1% in Friuli-Venezia Giulia, contro il 10,0% in Italia).

Nel lungo periodo è migliorata anche la situazione dell’occupazione femminile. La tendenza generale dal 2007 al 2020 ha visto infatti una crescita della presenza femminile (+6% in Veneto e Italia; +2% in Friuli-Venezia Giulia), trainata dallo sviluppo delle attività terziarie.

Nell’interpretare i dati sull’occupazione non si può poi non considerare il tema dell’impoverimento della classe dei lavoratori più giovani, che ha colpito in misura maggiore le due regioni rispetto all’Italia. In Veneto, tra il 2007 e il 2020, la quota di 30-45enni è scesa dal 47% al 34% (-13%), mentre in Friuli-Venezia Giulia dal 48% al 34% (-14%). Si tratta di una tendenza riscontrata anche a livello nazionale, con il nostro Paese che nel periodo considerato ha visto una riduzione dal 46% al 35% (-11%).

Un discorso a sé merita il mercato manifatturiero che, dal 2008 al 2019, ha visto calare la quota di occupati di 40mila unità in Veneto e di 16mila in Friuli-Venezia Giulia.
Nonostante tali numeri possano suggerire una crisi del comparto, il manifatturiero legato alle produzioni Made In Italy (tessile, legno, arredo, costruzioni) risulta l’unico settore con un indice di specializzazione in crescita negli anni considerati. Ciò significa l’esistenza di un processo di concentrazione e rafforzamento del settore, di un numero inferiore di imprese, con una maggiore strutturazione.

CAPITALE UMANO E FORMAZIONE:
si sceglie l’università vicino casa, privilegiate le facoltà umanistiche in controtendenza con il mercato del lavoro, ma il 45% dei laureati trova lavoro entro un anno.

Dal 2010 al 2019 la crescita degli iscritti all’università ha registrato un vero e proprio boom del 25,6% in Friuli-Venezia Giulia e del 17% in Veneto, contro una media nazionale del 13%. Il 67,2% dei diplomati del FVG ha scelto di proseguire gli studi, mentre il Veneto si è attestato al 62,4%, di poco al di sotto del dato nazionale al 63,2%.

Coloro che scelgono di iscriversi all’università lo fanno “vicino a casa”, forti anche dell’ampia scelta di atenei di primario livello presenti a Nordest. Tra il 2017-2021, i residenti nelle province del Friuli-Venezia Giulia hanno scelto nel 72% dei casi un ateneo della stessa regione, mentre al secondo posto la scelta è ricaduta sugli atenei veneti (14%), seguiti da quelli lombardi (4,6%) e dell’Emilia-Romagna (4,4%).
I residenti in Veneto, invece, nel 69% dei casi hanno scelto un ateneo della stessa regione, seguono le università dell’Emilia-Romagna (12,5%), della Lombardia (5,2%) e del Friuli Venezia Giulia (4,9%).

Ma il rischio della perdita di “cervelli” è dietro l’angolo. In Veneto (ancor più che in Friuli-Venezia Giulia) i ragazzi prediligono corsi dell’area umanistica, rispetto a quella scientifica, in decisa controtendenza rispetto alle necessità del mercato del lavoro. Nel 2020-21 in Veneto il 55,8% degli studenti ha scelto facoltà umanistiche, in FVG è il 51,4% rispetto alla media nazionale del 53,7%.

Nonostante questo l’occupazione post-laurea segna le migliori performance rispetto alla media nazionale. In Veneto e in Friuli Venezia Giulia il 45,2% dei giovani trova un lavoro retribuito a 1 anno dall’acquisizione del titolo (rispetto al 37,8% della media italiana), solo il 9,4% resta alla ricerca di lavoro (rispetto alla media nazionale del 13,9%) mentre i cosiddetti NEET (Neither in Employment or in Education or Training, né occupati, né inseriti in un percorso di istruzione o di formazione) sono solo il 2,4% (rispetto al 3,6% in Italia).

TRANSIZIONE DEMOGRAFICA:
combattere lo spopolamento della montagna e sostenere la natalità con politiche attive per la famiglia.

La composizione demografica del Nordest è cambiata considerevolmente negli ultimi decenni, evidenziando un fenomeno di polarizzazione o di dualismo territoriale. Proseguendo ai ritmi attuali infatti si stima che nel 2041 la popolazione residente in Veneto diminuirà dell’1% e nel FVG del 3% mentre in Trentino Alto Adige si avrà una crescita dell’8%.

Fra il 1981 e il 2021 la popolazione è infatti cresciuta praticamente in tutte le aree del Veneto e del Friuli-Venezia Giulia, ma a ritmi diversi in base al territorio di riferimento. Di fronte a uno spopolamento delle zone montuose e collinari e a un calo dei residenti nelle città (-10%), si è assistito ad un incremento degli abitanti nelle zone rurali (+10%) e soprattutto nei comuni periurbani e nei centri intermedi (+22%).

Nel dettaglio, la popolazione è diminuita o è rimasta stabile nei comuni con più di 50 mila e con meno di 3 mila abitanti, mentre è aumentata del 25% nei comuni con 5-10 mila abitanti e del 30% nei comuni tra i 10-20 mila abitanti.
È la periferia che diventa centrale rovesciando i paradigmi cui finora avevamo assistito.

Queste tendenze evidenziano almeno due ordini di problemi. Da un lato, lo spopolamento della montagna veneta e friulana, che dovrà essere combattuta offrendo opportunità alle persone e alle famiglie di rimanere a vivere in quei contesti. Dall’altro lato, l’aumento della fecondità dovrà essere sostenuto attraverso politiche rivolte alle famiglie e alla natalità insieme ad una revisione del sistema di welfare determinato da una popolazione sempre più anziana e con una quota declinante di lavoratori.