Chiusura anticipata degli impianti di risalita: i conti non tornano
Nei giorni scorsi PromoTurismo FVG ha annunciato la chiusura leggermente anticipata degli impianti di risalita di Sappada e Forni di Sopra/Sauris dedicati alla pratica dello sci. L’assessore Bini nel richiamare sia una riduzione delle presenze che un aumento dei costi dell’energia elettrica ha dichiarato “siamo gestori di risorse pubbliche e dobbiamo muoverci con oculatezza”.
Come ricorda un recente libro del senatore Carpenedo, nel 1985 fu costituita la società pubblica Promotur (di cui Promoturismo è l’erede) proprio allo scopo di realizzare e gestire gli impianti per la pratica dello sci alpino. Caso vuole che fossi l’unico consigliere regionale a votare contro, anche se non per contrarietà alla pratica di questo sport ma per l’acquisto oneroso da parte della Regione di impianti che erano stati precedentemente costruiti con soldi pubblici. Si trattava quindi anche di un salvataggio per società di gestione, private e pubbliche, che annualmente si caricavano di passivi. Fin dall’inizio fu quindi chiaro che l’intervento regionale serviva a tenere in vita una attività turistica non in grado di sostenersi da sola, non solo per quanto riguardava gli investimenti necessari a dotarla di una infrastrutturazione all’altezza della richiesta ma neppure per sopperire ai costi di manutenzione e di personale di servizio. Era la scelta di un contributo alla montagna, forse doveroso, ma che sicuramente negli anni non è risultato decisivo per una prospettiva di “sviluppo”. Inoltre oggi le conseguenze del cambiamento climatico la rendono ulteriormente più problematica. Ma veniamo ai conti. Negli anni sono stati investiti parecchi soldi, lire ed euro, per il miglioramento e la realizzazione di nuovi impianti. Per dare una idea, grosso modo sono stati investiti (a valuta attuale) circa 500 milioni di euro e sono in corso altre iniziative per altri 50 milioni nei diversi poli dedicati. Il ricavo annuale della vendita di abbonamenti, quasi unica entrata commerciale, porta negli anni di funzionamento (2019) una entrata di 12 milioni di euro mentre i costi di gestione e manutenzione, tra cui spiccano il personale e l’energia necessaria a produrre la neve programmata, possono essere valutati in circa il doppio, 24-25 milioni di euro. Quest’anno sembrava essere andata bene ma le ultime dichiarazioni di Bini segnalano che con le vendite dei pass ci si attesterà sulla cifra dei 12 milioni del 2019. Con un passivo ben più alto a causa dei costi dell’energia. Pur se la gran parte dei fruitori degli impianti nei poli invernali del F-VG sono pendolari giornalieri vi sono comunque effetti positivi per la ricettività che può essere valutata in circa 100.000 presenze stagionali a cui corrisponde una stima di spesa di circa 10 milioni di euro. Peraltro uno quota parte di queste entrate si può far risalire a competizioni sportive o ad altre attività di carattere pubblico-sociale spesso sovvenzionate da contribuzioni (della Regione e di altri soggetti). Va anche osservato che la presenza turistica in montagna nei periodi invernali non è più legata unicamente alla fruizione di sport della neve ma può avere anche varie altre motivazioni di carattere sia ambientale che salutista. Nell’ambito del turismo invernale delle regioni alpine italiane il F-VG è sicuramente la cenerentola, ma per un numero limitato di esercizi alberghieri si tratta di una entrata importante. Le potenzialità di servizio sono però molto più ampie e non c’è paragone con il periodo estivo. Inoltre PromoTurismo ha oltre 350 addetti (di cui 157 stagionali – dati 2019) la cui presenza in montagna è quindi di rilievo. Peraltro la stagionalità del lavoro (onerosa anche per le casse pubbliche a causa delle indennità di disoccupazione) e una tendenza alla accettazione della precarietà potrebbe essere combattuta con una politica diversa proprio di organizzazione del lavoro. Attività di gestione del territorio in funzione turistica traguardata all’intero anno solare non mancano certamente. Che fare? I dati economici sono impietosi e appare assurdo insistere cercando di migliorare l’offerta andando incontro spesso a conflitti ambientali per devastazioni in zone di pregio (oltre i 2000 metri di quota) e comunque con elevato rischio neve, non solo per carenza di precipitazioni ma in termini ormai di puri costi di produzione. La prima cosa da fare quindi è quella di esaminare a fondo i conti (e capire come si sono articolati nel corso degli anni) ponendosi il problema se, con quelle risorse, delle scelte diverse e alternative ad una pura soddisfazione di domande locali spezzettate possa dare una risposta ad alcuni temi di “sviluppo” della montagna per quanto riguarda un ambito turistico maggiormente connesso ad una visione territoriale complessiva. Forse così la dichiarazione di Bini “siamo gestori di risorse pubbliche e dobbiamo muoverci con oculatezza” potrà avere un senso. Giorgio Cavallo