Comuni, montagna e dintorni e il piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr): ci sarà la capacità di questi soggetti ad affrontare la sfida?
Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (219 mld) chiama in causa direttamente e per i prossimi cinque anni Comuni, comunità locali e filiere produttive territoriali. Conta poco l’entità finanziaria resa disponibile, comunque enorme (20 mld), quanto la capacità di questi soggetti di disporre di una visione e assegnare qualità ed innovazione alla concretezza. Conta, allo stesso tempo, la destrezza nel coniugare la programmazione ed i progetti esecutivi connessi al Pnrr con gli obiettivi e gli indirizzi del settennato europeo, si pensi solo alle green communities.
Ma, vi è qui consapevolezza della sfida? Gli enti, in collaborazione fra loro ed in rete con i soggetti territoriali, stanno programmando e progettando le iniziative in modo da essere pronti in occasione dell’uscita dei bandi (5 mesi) predisposti dalle Direzioni Ministeriali? Le strutture pubbliche hanno consapevolezza che è urgente un loro rapido adeguamento organizzativo e tecnico in modo da assecondare gli enti, le associazioni del terzo settore e le filiere e, in definitiva, fornire un contributo decisiv, in assenza del quale non esistono possibilità di successo?
Questa fase può essere generativa e creativa per il presente e il futuro delle comunità e del lavoro se ad ognuno degli interrogativi vi è una risposta positiva.
Non giova naturalmente la circostanza che il Pnrr, alla scala nazionale e regionale, sia stato affrontato con uno spirito “parlamentare” e di “composizione degli interessi”, peraltro a volte mal congegnata, anziché come un’occasione di riflessione popolare su quello che serve per tutelare l’ambiente o creare valore, o come una conferenza permanente sul futuro possibile che interroga tutti, sapienti o meno.
Tant’è. Ora siamo al dunque.
I Comuni, indipendentemente delle policy istituzionali locali e regionali, devono programmare assieme. Anzi, negli ambiti territoriali di area vasta sono chiamati ad iniziare subito le progettazioni e/o a metter a fattor comune progetti integrati ed efficaci in grado di determinare diffusi spill-over-effects. L’elemento premiante e che assicura valore è senz’altro la disponibilità a realizzare alleanze locali attorno idee e soluzioni previste, in particolare a coinvolgere le imprese e le filiere produttive, il tessuto associativo ed il terzo settore. La simbiosi tra luogo – soggetti – intervento, magari sapendo aggregare anche reti lunghe, rappresenta un vantaggio nell’acquisizione delle risorse a disposizione e determina le condizioni per affrontare la nuova programmazione UE che, specie in alcuni ambiti (ambiente, agricoltura, energia, innovazione) si rivolgerà proprio ai territori anche attraverso le formule degli accordi di partenariato. E, naturalmente, il protagonismo della società civile locale dovrà essere stimolato e messo alla prova considerato che da soli non si va da nessuna parte. L’ambizione, tuttavia, non potrà limitarsi a questi temi. I Comuni hanno, sin da adesso, la responsabilità di attrezzare le strutture amministrative, logistiche e tecniche in modo da essere pronti a partecipare ai Bandi. È probabile che la Regione debba fornire indicazioni, strumenti e risorse, come è utile che gli stessi dipendenti presentino ipotesi di lavoro immediatamente operative. Ma è sicuro che in assenza di decisioni all’altezza della pubblica amministrazione locale appare arduo vincere le sfide sia nel corso dei prossimi 5 anni sia quelle che si prefigurano da qui al 2030.
In Friuli Venezia Giulia sono almeno 190 i Comuni di piccole dimensioni e fragili dal punto di vista organizzativo, ad esclusione delle principali città e dei centri che svolgono funzioni di scala, mentre le Comunità dei Comuni si stanno allestendo con una certa fatica.
In questa situazione non è improbabile che le risorse del Pnrr premino i ricchi, siano essi Comuni o territori.
La montagna friulana, frammentata dalle policy regionali e da discussioni interne, deve decidere come connettersi alle macro-missioni del Pnrr (si pensi alla scuola, sanità e mobilità) e attorno quale progetto – pilota riconoscersi.
Le green communities appare uno di questi: come un progetto di transizione ecologica adeguato a questa scala e coerente con le politiche UE di green economy. Non si tratta solo un progetto di natura tecnica. Presuppone invece un’idea di evoluzione futura della società e dello sviluppo, di consapevolezza dei cittadini e delle imprese verso la tutela dei patrimoni del territorio e delle risorse idriche, l’economia circolare e l’agricoltura sostenibile quali fattori che permettono la creazione di ricchezza e nuova occupazione. Nello specifico le green communities, cui vengono riservati dal Piano 140 mln per la loro sola predisposizione, permettono di intervenire sull’acqua, boschi e sul paesaggio con una doppia possibilità: da un lato, elevare la qualità della vita e del reddito degli abitanti e, altro, accrescere la funzione di destinazione e l’attrattività dei luoghi.
Ma c’è dell’altro. Questo progetto – pilota qualora fatto proprio dai montanari rappresenta un paradigma destinato a condizionare l’approccio regionale alle politiche territoriali e alla gestione delle risorse poiché sollecita ad affrontare, diversamente dal passato, la questione della produzione dei servizi ecosistemici che non può essere caricata sulle spalle di poche comunità a beneficio dell’intera comunità regionale e dei contesti urbani. E’ un tema tecnico che trascina con sé valenze politiche, la prima fra queste l’affermazione dell’equità.
Maurizio Jonico