Condannata a 8 anni di “colonia correzionale” la giornalista russa Marina Ovsyannikova. Coraggiosamente in diretta TV un cartello con la scritta “nowar”
Ai condannati per dissenso in Russia si aggiunge ora la condanna patita dalla giornalista russa Marina Ovsyannikova, divenuta famosa per aver mostrato in diretta TV un cartello con la scritta “nowar”, esprimendo il suo dissenso contro l’intervento militare russo in Ucraina. È stata infatti condannata a otto anni e sei mesi di carcere in contumacia la giornalista russa Marina Ovsyannikova che il 15 marzo 2022 in diretta sulla televisione di Stato protestò contro l’intervento militare su vasta scala della Russia in Ucraina che come ci ricorderà le autorità russe chiamavano “operazione militare speciale”. Ovsyannikova, 45 anni ora vive con la figlia in Francia, a un anno dalla fuga dagli arresti domiciliari. La procura russa aveva chiesto una pena di nove anni e mezzo di reclusione per Ovsyannikova, che interruppe il telegiornale di 1Tv esibendo alle spalle della collega impegnata nella diretta un cartello dov’era scritto “Fermate la guerra” e “Ti stanno mentendo”.
La Corte putiniana ha stabilito che la giornalista dovrà scontare la sua pena in una “colonia correzionale” e le ha proibito per quattro anni di “partecipare ad attività legate alla gestione di pagine web di organi di informazione e telecomunicazione”. I giudici hanno accusato Ovsyannikova di aver diffuso nel luglio 2022 video e fotografie che contenevano “informazioni false” sulle operazioni dei militari russi in Ucraina. Le autorità russe avevano spiccato nel mese di ottobre dello scorso anno un ordine di cattura contro Ovsyannikova. Prima della condanna alla reclusione, la giornalista aveva subito l’imposizione di diverse ammende sempre con l’accusa di aver agito in modo contrario agli interessi dell’esercito russo. Dopo la protesta in diretta, era stata condannata ad un’ammenda di 255 euro “per manifestazione non autorizzata”. Quindi, al termine di un’inchiesta sull’accaduto, era stata licenziata. In un video registrato dalla stessa Ovsyannikova prima dell’irruzione in diretta, e affidato al gruppo per i diritti umani OVD-Info affinché lo diffondesse sui social, la giornalista spiegava che la sua famiglia è per metà russa e per metà ucraina e ammetteva di vergognarsi per aver passato molti degli ultimi anni a lavorare per Russia 1, facendo propaganda per il Cremlino. «Mi vergogno di aver permesso la trasformazione in zombie dei cittadini russi. Siamo stati in silenzio nel 2014, quando tutto è cominciato. Non abbiamo protestato quando il Cremlino ha avvelenato Navalny. Abbiamo osservato in silenzio questo regime disumano, e basta. E ora il mondo intero ci ha girato le spalle. E nemmeno le prossime dieci generazioni riusciranno a lavare la macchia di questa guerra fratricida. Noi russi siamo un popolo intelligente, un popolo che pensa. Solo noi abbiamo il potere di fermare questa follia. Andate a protestare. Non abbiate paura di nulla. Non ci possono rinchiudere tutti». Così la Russia è ancora una volta sotto i riflettori internazionali per la sua repressione del dissenso e la limitazione della libertà di stampa. Il caso di Ovsyannikova mette in evidenza la crescente repressività del regime di Putin e il pericolo che rappresenta per la libertà di espressione. La condanna di Ovsyannikova a otto anni e sei mesi di carcere è ovviamente sproporzionata e soprattutto ingiusta. La minaccia alla libertà di stampa. Questo caso non è un evento isolato. Si inserisce in un contesto più ampio di crescente repressione del dissenso e limitazione della libertà di stampa in Russia. Giornalisti, attivisti e oppositori politici sono costantemente minacciati, arrestati e condannati per il loro lavoro o le loro opinioni. Questa situazione rappresenta una seria minaccia per la democrazia e per il diritto del pubblico di essere informato in modo obiettivo. La procura russa aveva persino chiesto una pena più lunga basandosi su accuse di diffusione di “notizie false”. In pratica, questo significa che qualsiasi informazione che sia in contrasto con la versione ufficiale del governo russo sulla guerra in Ucraina è ora considerata un crimine. Non vorremmo essere pessimisti ma anche in Italia qualcuno vorrebbe avere giudici accondiscendenti e una stampa addomesticata. Speriamo che anche l’esempio di quanto sta avvenendo in Russia serva da monito e insegnamento sul valore della nostra democrazia. Tornando a Marina Ovsyannikova lei è stata costretta a fuggire dalla Russia con la sua figlia per evitare l’arresto e le conseguenze di una condanna ingiusta. Il fatto che una giornalista debba lasciare il proprio paese per esprimere le proprie opinioni e critiche è un triste indicatore della situazione dei diritti umani in Russia.