Dai palazzi romani a quelli triestini: rimbalzi regionali della crisi di governo

Negli anni ruggenti della I Repubblica una crisi di governo a Roma portava inevitabilmente a delle scosse di assestamento in periferia. Un partito perdeva un ministro nel governo centrale? Veniva compensato da qualche parte con un paio di assessori regionali in più e magari un sindaco di città capoluogo e la presidenza di qualche banca, in base alla logica della filiera del potere dalla periferia al centro.
Oggi è tutto più caotico, sia per il passaggio all’elezione diretta di presidenti di regione e sindaci, sia per la destrutturazione del sistema partitico. E quindi è difficile capire se e in che termini il giro di valzer romano influenzerà la politica in Friuli Venezia Giulia. Però qualcosa, indirettamente, potrebbe succedere.
Innanzitutto, la giunta Fedriga non potrà più contare sulla sponda di un governo amico il che potrebbe portare conseguenze sia sul piano economico, sia sul livello di attenzione con il quale il governo valuterà una legislazione regionale fino ad ora ispirata totalmente ai principi del salvinismo più estremo. Ma influenzerà le scelte stesse di Fedriga che in questo anno e mezzo ha più volte dimostrato l’ambizione di voler rafforzare la propria proiezione nazionale attraverso un appoggio acritico al ministro Salvini. Fedriga dovrà scegliere se essere presidente di Regione a tutti gli effetti o privilegiare il proprio status di alto dirigente della Lega. Cioè, per essere chiari, se trovare un modus vivendi con il nuovo governo nell’interesse della comunità regionale o utilizzare il proprio ruolo istituzionale per fare propaganda di opposizione.
Ma l’ipotesi di una legislatura nazionale che si allunga può influire nel processo di riaggregazione e trasformazione della componente moderata della coalizione di governo regionale. Forza Italia riuscirà a invertire il corso di un declino che oggi appare inarrestabile? E se questo dovesse avvenire come si impatterebbe sul lavorio di Progetto Fvg che – a tutta evidenza – è da un anno e passa che cerca di creare le basi per occupare l’area che fu di FI e UDC? Insomma, un anno di tempo o più prima di elezioni nazionali gioverebbe o danneggerebbe il complesso disegno politico di Ferruccio Saro?
Venendo al versante di centrosinistra. Un ingresso nell’area di governo a livello nazionale può aiutare il PD e il suo segretario Shaurli a rafforzare la propria posizione a una condizione: che il ritorno al potere al più alto livello politico non interrompa il tentativo di ricostruire e consolidare le basi organizzative del partito sul territorio. Sarebbe un errore pensare che il peggio è passato e il pericolo è alle spalle: nel 2020 non sono previste elezioni amministrative di particolare rilievo – Cividale a parte – ma nel 2021 ci saranno le amministrative in una quarantina di comuni, tra i quali Trieste, Pordenone, Monfalcone e Codroipo. E, con una politica sempre più giocata sulla comunicazione di vertice e sempre meno sul radicamento territoriale, le performance del governo nazionale saranno determinanti. Ma alla fine ci sarà sempre bisogno di costruire coalizioni e comporre liste a livello territoriale e dunque, dormire sugli allori sarebbe incauto.
A sinistra del PD poco si muove. Art.1-Mdp sembra avere rinunciato definitivamente ad ogni tentativo di radicamento o iniziativa territoriale e questo può offrire spazi a Open FVG, la lista rappresentata da Furio Honsell in Consiglio Regionale e coordinata da Giulio Lauri. È un progetto che sta cercando di radicarsi sul territorio con la costruzione di una rete di relazioni tra amministratori locali e realtà associative e la presenza di una voce in piazzale Oberdan ha consentito fino ad oggi un “diritto di tribuna” a sensibilità e istanze altrimenti prive di rappresentanza. Ma è un soggetto politico regionale, privo di riferimenti definiti sul piano nazionale e questo non è ancora chiaro se sia un problema o possa rilevarsi una opportunità.
Infine il tema della rappresentanza parlamentare. Oggi il Friuli Venezia Giulia è rappresentato da 13 deputati e 7 senatori: 20 persone il cui operato è sostanzialmente ignoto ai più. L’ipotesi di riduzione dei parlamentari attualmente sul tappeto dovrebbe diminuire questo numero a 13-14, i collegi andrebbero ridisegnati e la voce del territorio regionale sarebbe ancora più flebile di quanto già oggi non sia.
Insomma, in definitiva, Roma è lontana ma poi non così tanto. Aspettiamo e vediamo, qualcosa accadrà anche qui.

Marco Cucchini