Decreto sicurezza, tassello per imprimere una svolta autoritaria e manettara. Non sicurezza dei cittadini ma criminalizzazione del dissenso
Limitare diritti e libertà in maniera lenta, così che gli italiani non si accorgano, o almeno questa la speranza della destra al governo. Insomma dallo slow turism allo slow antidemocratico. Giorgia Meloni, insieme a Matteo Salvini e agli estremisti che compongono gran parte della maggioranza, fin dall’inizio del mandato sta scientemente portando avanti un’operazione politica chiara quanto devastante, indebolire pezzo a pezzo i pilastri su cui si sostiene la nostra democrazia. Viene fatto a vari livelli ma sempre con il medesimo e consolidato metodo: prima si delegittimano i poteri costituzionali compensativi al governo, (in primis la magistratura, di cui si vuole la sottomissione all’esecutivo) tentando di eliminare (vedi la riforma del premierato) quei contrappesi istituzionali necessari al bilanciamento del potere essenziale per arginare tendenze assolutistiche e proteggere la libertà dei cittadini. Ovviamente non estraneo alla manovra è il bavaglio alla stampa magari includendola con ricatti di natura pubblicitaria o semplicemente imponendo cariche e gestori. E siamo all’oggi ecco arrivare il disegno di legge sulla Sicurezza, si tratta di un tassello non banale della progressione reazionaria con cui l’esecutivo prova a cambiare il tessuto politico e sociale italiano. Purtroppo in questi due anni l’opposizione non sempre è stata attenta o quantomeno ha cercato di contrastare efficacemente questo piano eversivo oggi, incentrato sul peggiore populismo penale, sulla criminalizzazione del dissenso e della contestazione politica, sulla delegittimazione degli ultimi e dei bisognosi, in primis poveri e migranti. Le nuove misure previste sono diverse, e colpiscono ad hoc non comportamenti gravi che mettono davvero in pericolo la sicurezza dei cittadini, ma singoli e soggetti collettivi che il governo Meloni considera dei veri e propri “nemici” della patria, anzi della “nazione”. Si va dalle madri di etnia rom che per il ddl potranno andare in carcere insieme ai figli anche se minori di tre anni, fino ai migranti che osano protestare dentro i centri di accoglienza: per loro fino a cinque anni di reclusione, anche in caso di semplice «resistenza passiva». Per loro il governo ha introdotto un’altra norma marcatamente razzista, e foriera di altri disagi per i disperati: gli stranieri senza permesso di soggiorno subiranno restrizioni per l’acquisto di sim telefoniche, fondamentali per comunicare con i loro cari e i loro avvocati. Altri punti della norma servono poi a codificare nuovi reati, con l’obiettivo implicito di ridurre gli spazi di dissenso. E soprattutto veicolare nell’opinione pubblica l’idea che il solo fatto di protestare in piazza è atto deprecabile da stigmatizzare, anche se attuato in modo pacifico. La legge prevede infatti il carcere per chi contesta le opere pubbliche (come il Ponte di Messina) o chi usa l’arma non violenta dei blocchi stradali, una pratica resa celebre dagli ambientalisti di Ultima generazione per sensibilizzare sulla catastrofe climatica in cui il pianeta si sta avvitando. Insomma forte con i deboli, sodale con i forti, infatti se da un lato si aboliscono i reati dei colletti bianchi, con il nuovo si ddl si colpisce al cuore il dissenso democratico, o comportamenti che spesso nascono da fattori di disagio, degrado e marginalità. Tutte vicende sociali che per essere affrontate e risolte avrebbero bisogno non di manette e punizioni, ma di veri investimenti nel sociale, sul lavoro, sulla lotta alle disuguaglianze e alla marginalità sociale. Si tratta di una classica postura muscolare, che come il decreto Cutro e quello su Caivano servono ad accarezzare con annuncia ad effetto la pancia securitaria dell’elettorato e nel contempo a distrarre dai fallimenti sulle materie sensibili. Il tutto si inquadra nel disegno reazionario del governo Meloni, che tra “Autonomia Differenziata, Magistratura sottomessa al Governo e Premierato”, intende imprimere una svolta autoritaria al Paese sottoponendo a revisione la Costituzione nata dalla Resistenza, con relativa perdita di democrazia e di diritti universali.