Diritto all’oblio, fra passo di civiltà e pericoli per il diritto di cronaca

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Ci siamo spesso occupati del problema spinoso del diritto all’oblio, soprattutto quando il mantenimento a “vita” di alcune notizie portano pregiudizio alla reputazione di persone  quando queste sono successivamente ritenute estranee ai fatti di cronaca e magari scagionati. Il problema non era di facile risoluzione perchè la proliferazione delle informazioni sui motori di ricerca prescinde spesso dalla volontà di chi produce i contenuti  anche se è passato molto tempo dai fatti narrati. Inoltre i “motori” funzionano filtrando le notizie per numero dei lettori e va da se, che, anche sul medesimo soggetto trovano maggiore proliferazione le notizie “negative” che quelle positive come una assoluzione. Come FriuliSera da anni abbiamo stabilito di rendere criptati, quindi non accessibili a semplice ricerca, le notizie più vecchie. Si è trattato di una scelta con delle complicazioni tecniche ma che riteniamo allo stato la più corretta.  Della vicenda in generale del resto  si era occupata più volte la Ue tanto che l’art. 17 del Regolamento 2016/679, aveva cristallizzato il diritto all’oblio, prevedendo che l’interessato ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali che lo riguardano, prescrivendo, al comma secondo, l’obbligo per titolare di informare della richiesta di cancellazione altri titolari che trattano i dati cancellati, così creando una tutela rafforzata. Più facile a dirsi che a farsi dato che anche se il diritto all’oblio, secondo la definizione offerta dalla giurisprudenza di legittimità, si sostanzia nel diritto di non rimanere esposti senza limiti di tempo ad una rappresentazione non più attuale della propria persona con pregiudizio alla reputazione ed alla riservatezza, i motori di ricerca sono spesso “sordi” e anche quando “sentono” sono lentissimi nell’attuare le dovute operazioni di deindicizzazione. In aiuto c’è dal primo gennaio uno strumento in più, che però vale sostanzialmente per il futuro. Nella riforma della giustizia Cartabia, contestata per molti aspetti c’è anche l’introduzione del dettato normativo, che prevede, che qualora venga pronunciata una Sentenza di assoluzione o di non luogo a procedere ovvero un provvedimento di archiviazione, si può chiedere che venga preclusa ai motori di ricerca l’indicizzazione del provvedimento partendo dal nominativo dell’interessato o la deindicizzazione relativamente a quel processo penale, sempre se si effettuano ricerche a partire dal nome dell’interessato. Una formula in tal senso verrà applicata direttamente in Sentenza, con valore di titolo esecutivo, da far valere nei confronti del titolare del trattamento. Inutile dire che la portata del provvedimento è notevole e recepisce in pieno lo spirito dell’Art 17 del G.D.PR. In un mondo sempre più digitalizzato, dove la web reputation ha assunto un’importanza sempre maggiore, si devono approntare degli strumenti efficaci che tutelino questo bene cosi prezioso. Occorre precisare, in ordine alla terminologia utilizzata dal Legislatore, che il diritto all’oblio con riferimento ai motori di ricerca, si sostanzia non nella eliminazione del contenuto, ma nella cancellazione dei collegamenti a pagine web dall’elenco dei risultati visualizzati a seguito di una ricerca effettuata sulla base di un nome, rendendo, dunque, il contenuto non direttamente accessibile dai motori di ricerca esterni all’archivio in cui si trova.
L’argomento è di grande attualità ed ha investito i più alti gradi della magistratura nazionale ed europea. Di recente è stata investita del problema la Corte di Giustizia Europea, sollecitata dalla Corte federale di giustizia tedesca, che ha chiesto all’organo europeo l’esatta interpretazione del regolamento generale sulla protezione dei dati (G.D.P.R), relativamente ad una controversia, che vedeva contrapposti due cittadini tedeschi contro Google. La Corte di Giustizia Europea, nella decisione sulla causa C-460/20/Google, ha sancito un principio di notevole portata, infatti, l’interessato che dimostri al titolare del trattamento che le informazioni che lo riguardano sono manifestatamente infondate, ha diritto alla deindicizzazione dei risultati. Pertanto, a seguito di questa Sentenza il principio dell’inesattezza dell’informazione fa si che si superi la tutela dei principi di libertà di espressione e d’informazione, che spesso sono i motivi che impediscono la deindicizzazione del contenuto. Il G.D.P..R sancisce che, la salvaguardia di detti principi deve essere contemperata con il diritto all’oblio, attraverso un bilanciamento operato utilizzando il principio di proporzionalità, ma l’inattendibilità di della notizia fa prevalere la tutela del privato, sull’interesse pubblico. Il problema è che i motori di ricerca continuano a resistere, per cui ai giornali spesso non rimane che la pratica di criptare gli articoli più vecchi facend così in modo che i motori di ricerca li censiscano sempre meno.