Effetti collaterali
Quante volte abbiamo sentito o letto questa frase, queste due parole. Quante volte abbiamo cercato di capire cosa significasse o quali conseguenze potessero avere questi “danni collaterali”. In ogni caso e per quanto ce ne potessimo creare una figura concreta, spesso questa immagine ci è sfuggita.
Bene, ora e a parte tutte le immagini delle conseguenze che una guerra produce, e quella siriana ne rappresenta di immensamente drammatiche, ho scoperto il suo vero valore; valenza più che valore ovviamente. Sfogliando uno dei siti dedicati alla stampa mediorientale come giornalmente mi capita di fare, sono venuto a conoscenza di un fatto che mi ha direttamente colpito, scoprendo che forse solo quando un accadimento ci coinvolge personalmente riusciamo a dare l’esatta misura di un dramma e a capire che gli effetti collaterali non sono qualcosa di complementare o marginale in un conflitto, ma parte stessa ed integrale delle guerre.
Sulla strada che dall’interno del NES (North East Syria) conduce a Semalka e da lì a Feishabor, le due località che rappresentano il confine tra il NES e il KRI (Kurdistan Region of Iraq), il valico che attraverso un pontone militare consente il passaggio tra Iraq e Siria, c’è una sosta quasi d’obbligo, l’Ari Bazar da noi ribattezzato Autogrill. Ho visto praticamente nascere e crescere questo posto che dall’inizio del 2018, quando sono entrato per la prima volta da quelle parti e quando “l’Autogrill” rappresentava principalmente l’occasione di bersi un the od un caffè durante il viaggio, fino poi ad ingrandirsi e diventare punto di riferimento per acquistare tutta una serie di prodotti altrimenti difficili da reperire altrove in NES. Nell’ultimo periodo all’Ari Bazar si trovava davvero di tutto, dall’attrezzatura per la palestra, ai giocattoli, ai prodotti tecnologici e, naturalmente ad una sempre più ampia scelta dei famosi dolcetti.
Come in ogni negozio che si rispetti, ma anche con caratteristiche più contenute, oltre al gestore non possono mancare i soliti ragazzini che sono principalmente addetti a continuare il servizio iniziale per cui questi posti sono nati; servire the e caffè. Ahmed Abed era uno di questi, anzi era il primo impatto con il bazar. Di fronte al parcheggio e all’ingresso del negozio, accoglieva tutti coloro, e negli ultimi tempi erano davvero parecchi, che si fermavano lì. Era addetto responsabile alla preparazione e del servizio delle due immancabili bevande a cui nessuno si può sottrarre durante la fermata.
Lasciamo stare che il lavoro minorile dovrebbe essere bandito e che soprattutto le ONG dovrebbero impegnarsi ad evitare di avere rapporti commerciali con chi fa lavorare i minori. Fosse possibile, le stesse ONG non sarebbero in grado di produrre quel po’ di contributo che il loro lavoro riesce nel bene e nel male a distribuire sul territorio. Di bambini, e stiamo parlando di ragazzini di otto, dieci anni o poco più, che lavorano sono zeppi tutti i negozi, le attività artigiane, insomma tutte le attività produttive.
Ahmed era uno di loro, un bimbo di undici anni costretto a diventare subito grande e a contribuire al bilancio della sua famiglia; di certo il suo salario non era granché, ma almeno con il suo lavoro sollevava la sua famiglia dal peso di una bocca in più da sfamare e magari un giorno, come certamente era nei suoi sogni o progetti, con la sua esperienza avrebbe potuto aprire una attività sua propria, magari uno dei tanti negozi dove si prepara e si vende l’immancabile shawarma, quella che da noi chiamiamo kebab.
Di certo aveva imparato a sorridere a tutti e come tutti i ragazzini della sua età, aveva maturato una maggiore curiosità per noi, strani forestieri che imperversiamo da quelle parti. Per sua sfortuna, non tutti coloro che si fermavano al bazar erano civili, ma grazie alla straordinaria offerta di prodotti che Ari garantiva, un po’ tutti si fermavano lì, compresi molti militari, sia internazionali (USA ma anche russi) che locali.
Ormai da anni i droni turchi, la Turchia è a due passi da quella strada, colpiscono impunemente quella zona cercando di “neutralizzare”, orribile termine, i loro nemici kurdi che definiscono terroristi solo perché rivendicano e combattono per la loro autonomia e per i loro diritti. Solitamente i bersagli vengono scelti accuratamente tra gli alti gradi dell’SDF (Syrian Democratic Forces) o del PYD (Democratic Union Party, il principale partito kurdo che amministra il NES), ma si sa che per quanto intelligenti possano esser le bombe, in questo caso i droni, esiste sempre un margine di errore che provoca, come di diceva, gli effetti collaterali. Effetti collaterali che peraltro sono parte integrante della guerra in quanto seminano terrore rendendo la vita impossibile a chi quegli attacchi e i loro “errori” subisce. Ecco, è probabilmente capitato che in un giorno dello scorso Gennaio (io purtroppo l’ho saputo solo dall’articolo a cui mi riferivo), da Ari si sia fermato qualcuno che da tempo i turchi stavano seguendo cercando il momento migliore per essere sicuri che il loro bersaglio fosse raggiungibile. Ci si accorge dei droni solo quando sono ormai vicini all’obbiettivo, quando ormai le vie di fuga sono irraggiungibili, e la sosta di un mezzo è ovviamente il momento perfetto. Questo è successo quel giorno nel parcheggio davanti al bazar. E l’esplosione del razzo che sicuramente aveva altro scopo ha preso in pieno Ahmed mettendo fine ai suoi sogni senza che nemmeno se ne potesse accorgere. Ahmed da quel momento in poi è diventato un anonimo effetto collaterale. A tutti coloro che passavano e passeranno da quelle parti mancherà il suo perenne sorriso, il suo voler così fanciullescamente ed ingenuamente essere professionale, la sua curiosità verso di noi ipotetici rappresentanti di un mondo diverso e migliore dal suo, di quel potenziale modo di vivere che a tutti dovrebbe essere concesso.
Lo stesso sogno che tuti i ragazzini di quell’età e che vivono in zone difficili coltivano, come nel mio amato Darfur che pare ripiombato nell’incubo della guerra da cui pareva essersi separato. Anche lì, come in mille altri posti, i bimbi hanno le stese speranze che anche lì quasi sempre rimangono tali.
Spero di poter presto tornare da quelle parti e di fermarmi come al solito da Ari, bere il solito caffè ed immaginare che Ahmed sia ancora lì, magari portandogli un fiore bianco. Come la sua ingenuità di bambino che come molti altri in quelle situazioni, non sono potuti crescere come tutti avrebbero diritto di fare.
Docbrino (volontario in Siria e collaboratore di FriuliSera. Nome oscurato per ragioni di sicurezza)