“Fantasma della Camera”, articolo al peperoncino sul settimanale 7 del Corriere della Sera. Fabrizio Roncone Vs Debora Serracchiani

E’ uscito sul rotocalco settimanale del Corriere della Sera “Sette” un articolo su Debora Serracchiani  a firma  Fabrizio Roncone sul quale in Friuli, ma non solo, varrebbe fare alcune considerazioni. Roncone è  inviato speciale del «Corriere della Sera ma anche scrittore. Non certo un giornalista di secondo piano, una penna brillante quanto tagliente. Anche se non tutti lo apprezzano soprattutto a destra. Recentemente ad esempio Alessandro Sallusti lo ha definito “squadrista in doppiopetto dal curriculum mediocre”. Forse per trovare un equilibrio in stile “par condicio” Roncone ha pensato di lanciarsi lancia in resta contro un esponente del centrosinistra e l’apparizione della Serracchiani  a Montecitorio, almeno a leggere il pezzo,  deve averlo ispirato.  Roncone può piacere o meno, ma è innegabile sia osservatore attento e non nuovo ad articoli al peperoncino. Già il titolo «Ho visto Debora Serracchiani, il fantasma della Camera» preannuncia un giudizio non certo edificante per la capogruppo Pd,  e anche il “catenaccio” sembra chiudere il cerchio: “Nel 2009 in tredici minuti conquistò il Pd. Poi la scalata al potere e le (tante) correnti. Dopo l’elezione a capogruppo Pd a Montecitorio, nemmeno un intervento”. Ma è soprattutto nell’articolo che Roncone, con le sue garbate ma spinose pennellate d’inchiostro demolisce la parlamentare Pd.  Scrive Roncone ” Ho visto Debora Serracchiani. Dal vivo. In carne e ossa. Era proprio lei. È successo l’altra mattina, a Montecitorio. A metà corridoio si apre una porta ed esce una signora sui cinquanta, elegantina, scarpe basse, l’occhiata severa sotto la frangetta. Sensazione tipo: questa la conosco. L’ho già vista. Sì, ma come si chiama? Lei mi ha guardato, io l’ho riguardata. Un lampo. Santo Cielo, certo: Serracchiani! Eccola. Apparizione pazzesca. Dopo aver fatto di tutto (ma proprio di tutto, eh) per sedersi sulla poltrona di capogruppo del Pd alla Camera, era sparita. Letteralmente. Nel dibattito politico, nemmeno mezzo intervento non dico scomodo, ma degno di titolo: niente, zero carbonella. Mentre va via e scompare di nuovo dietro l’angolo , penso: è il talento per il potere. O ce l’hai, o non ce l’hai. Lei ce l’ha. Sfrenato. Sa prenderselo e, soprattutto, sa gestirlo. Del resto passò dall’inesistenza alla notorietà in tredici minuti. Tanto durò il suo intervento in quel pomeriggio del 21 marzo 2009, all’assemblea dei circoli del Pd. Salì sul palco per ultima, da segretaria del partito di Udine, in jeans e con i capelli a coda di cavallo: scese nella luce e tra gli applausi per aver fatto, tenendo il ditino alzato, la fondamentale riflessione che il partito era «lontano dalla realtà». Ambiziosissima, comunicò subito di essere stata veltroniana ma di ritrovarsi già molto vicina al nuovo capo dell’epoca, Dario Franceschini. Così nel giugno 2009, alla ribalta da appena tre mesi, Friuli e NordEst persero la testa per lei. Fu la candidata europea più votata della circoscrizione – non solo del Pd, ma in assoluto – con 144 mila preferenze. Poi è stata renziana, molto vicina a Maurizio Martina, e quando, da neo segretario, Enrico Letta, a marzo, disse che per guidare i gruppi parlamentari voleva due donne, lei alzò il celebre ditino: eccomi (era già vicepresidente del Pd, ma – ovviamente – non le bastava). Per sicurezza, nell’occasione fondò anche la quarta (o quinta?) corrente del partito, con Graziano Delrio, che era il capogruppo uscente. Uno spettacolo. Sublime, feroce, spregiudicata conquista del potere per ottenere altro potere. Quando l’ho vista sparire nella penombra di Montecitorio, confesso di aver anche pensato: forse potrei fermarla e chiederle qualcosa. Già: ma cosa?”. Giudizio durissimo e certamente non del tutto immotivato, ma che non tiene conto del fattore generazionale. Infatti se dovessimo analizzare la classe politica ed in particolare quella parlamentare, c’è da rabbrividire. Ad una schiera di onorevoli e senatori “scappati di casa” si aggiungono marpioni, ruffiani, eretici e molti stupidi. Certo,  ci sono anche alcune eccellenze ma difficile pensare siano la maggioranza. Ed allora perchè meravigliarsi della Serracchiani e delle sue piroette politiche, lei almeno è rimasta sempre nel recinto dei democratici anche se le sue performance personalistiche sono teoricamente   lontane dalla tradizione PD,  non solo da quella che era chiamata componente comunista, ma anche da quella democristiana. Poi arrivò Renzi (ma non solo)  e il culto della personalità divenne dottrina anche a sinistra, speculare al berlusconismo.  Quello su cui si dovrebbe ragionare, magari guardando le devastanti percentuali di astensione al voto, ma anche le accelerazioni brucianti e i crolli repentini dei partiti, è che l’elettore è sempre più “nervoso” per non dire schifato, e che il rischio più grande è per la democrazia. Provate a pensare ad una stagione che veda Berlusconi capo dello stato, Meloni premier e Salvini ministro plenipotenziario di interni, difesa ed esteri. Un incubo assoluto. Non rimarrebbe che recuperare i barconi da Lampedusa e fare rotta verso il nord Africa… sperando nell’accoglienza della guardia costiera libica.

 

Articolo originale su “Sette”