Gli scambisti
Beh, almeno qualche novità positiva finalmente c’è. Ieri era il quarto e teoricamente fino a qualche ora fa l’ultimo dei giorni di cessate il fuoco o di tregua umanitaria che rappresentano, appunto e finalmente, le buone notizie che arrivano da Gaza. Tutto sommato le cose non sono andate male; salvo qualche inghippo soprattutto durante la seconda delle giornate di tregua, lo scambio di ostaggi da una parte e di prigionieri dall’altra è filato piuttosto liscio. Perlomeno alcune persone dopo una cinquantina di giorni di “cattività” finalmente hanno ritrovato la libertà. Stiamo parlando ovviamente degli ostaggi israeliani, perché molti dei palestinesi che sono stati fatti uscire dalle prigioni, erano ospiti delle carceri di Tel Aviv da parecchio più tempo. Alcuni da molti anni, molti dei quali avevano quasi finito di scontare le condanne che i tribunali israeliani avevano loro inflitto; alcuni addirittura a pena esaurita che erano in attesa solo di potersene comunque tornare a casa. Casa… si fa per dire perché magari quella casa non c’è più o perché nessuno è potuto tornare a Gaza. Tra coloro che sono stati liberati, inoltre, ci sono persone che sono state arrestate dopo l’8 Ottobre spesso arbitrariamente. Da quella tragica data, sono parecchie migliaia di palestinesi, soprattutto cisgiordani, che sono stati arrestati dall’esercito israeliano. In pratica, Israele dispone di una quantità di prigionieri da scambiare enorme e il loro numero può aumentare a piacimento degli occupanti. Alcuni video, poi, ci mostrano quali sono le modalità con cui i palestinesi vengono arrestati, picchiati e umiliati dall’esercito “più morale del mondo”.
Comunque sia, questo periodo di sospensione delle attività belliche di certo permette un momento di serenità (forse esagero) per chi, i palestinesi, nell’ultimo mese e mezzo non ha visto altro che bombe, morte e distruzione oppure, gli israeliani, giornate di ansia in mancanza di notizie dei propri cari, ostaggi nelle mani di Hamas. Ecco, per esempio, se si parla degli israeliani, che poi sono la maggioranza delle persone rapite da Hamas ma anche di qualche decina di lavoratori asiatici che si guadagnavano il pane in Israele impiegati soprattutto nell’agricoltura, si parla di ostaggi. Se si parla delle migliaia di persone ospiti delle carceri israeliane e potenzialmente scambiabili, si parla di prigionieri. Non c’è dubbio che sia in un caso che nell’altro la definizione di prigionieri definisce con esattezza la loro situazione, ma a me pare che per entrambi il termine di ostaggi sia più appropriato. Merce di scambio che viene valutata un tot al chilo, tu mi rilasci questo numero di persone e io te ne libero quest’altro. Che sia gli uni che gli altri siano ostaggi mi sembra abbastanza chiaro; se nelle mani di Hamas ci sono civili, le prigioni di Israele sono zeppe di soggetti il cui unico reato è al massimo quello di avere scagliato qualche pietra verso i carrarmati dell’esercito di occupazione; capirai che reato! Se molti tra i palestinesi prigionieri di Tel Aviv ci sono combattenti, tra coloro portati via da Hamas ci sono soldati, dunque a me pare che in entrambi i casi vadano definiti allo stesso modo; ostaggi o prigionieri? Definirli in modo diverso significa tracciare una differenza tra buoni e cattivi, gli uni terroristi, gli altri innocenti; non funziona così.
Possiamo discutere finchè vogliamo sul fatto che si possa o debba definire l’azione di Hamas e degli altri gruppi armati palestinesi di Gaza un crimine deprecabile e disumano, ma che la risposta di Israele sia perlomeno ugualmente un crimine, in cui però il livello della violenza e della devastazione e i numeri dei morti hanno la loro importanza, è fuori da qualsiasi dubbio. Con la differenza che se da parte palestinese si tratta di azioni di gruppi di miliziani, dall’altra stiamo parlando di un’azione e di un crimine commesso dall’esercito di uno Stato la cui responsabilità cade direttamente sui capi politici e militari di quello stesso Stato che si continua a definire democratico. Ora, che Israele sia uno Stato democratico è discutibile in quanto non è lo Stato che deve essere definito, ma il governo che quello Stato rappresenta e che dai suoi cittadini liberamente è votato. Non credo che nel caso di Gaza, ma anche della Cisgiordania e Gerusalemme Est ridotti in cattività dall’occupazione pluridecennale i cittadini possano esercitare il diritto di scelta di chi dovrà governarli in maniera tranquilla e normale come vivessero all’interno di un loro Stato libero e indipendente. E di conseguenza che le scelte di quei cittadini possano non essere condizionate dalla loro situazione e da una vita infernale dove le decisioni vengono prese dal Paese occupante che stabilisce come gli occupati debbano vivere. Dove il termine vivere assume un significato profondamente diverso rispetto ad una situazione di libertà reale. La tregua regge a Gaza, ma in Cisgiordania, gli attacchi e gli omicidi da parte di coloni ed esercito israeliani continuano senza sosta ed anzi, sono aumentati proprio in concomitanza con la partenza della tregua.
So far so good, dunque? Per il momento sì, ma anche se il cessate il fuoco è stato concordato per altri due giorni, poi non si sa. A sentire Netanyahu & soci da dopodomani si riprende a bombardare e distruggere come niente fosse successo. Ma il momento decisivo non è ancora arrivato e anche se Israele riprenderà a massacrare nella Striscia, nelle mani di Hamas rimangono ancora circa 150 ostaggi, quelli per il cui rilascio si dovrà pagare un prezzo decisamente più alto. La settantina di persone che sono state e che saranno liberate da Hamas in questi giorni sono “costate” decisamente poco; la liberazione dei militari richiederà un impegno decisamente più consistente e potrebbe portare alla liberazione di personaggi palestinesi di livello più alto e in carcere per reati politici (sempre ammesso che esistano reati politici) o accusati (spesso senza prove) di omicidi o tentati omicidi; i partigiani non possono esimersi dalla scelta inevitabile di uccidere i soldati dell’esercito occupante o i suoi sgherri. Se la trattativa che prima o poi dovrà esserci potrà portare alla liberazione di personaggi del calibro di Marwan Barghouti, allora si potrebbe persino ipotizzare un inizio di prospettiva per il futuro dei palestinesi, ma per ora si tratta solo di fantascienza. C’è tanta di quella strada da percorrere che per ora accontentiamoci di lasciare spazio alla speranza.
Chi vivrà, vedrà. E a Gaza continuare a vivere è una scommessa.
Docbrino