Guerra e dintorni.
Come si sa, la storia si evolve in continuazione, pur mantenendo dinamiche ricorrenti che l’umanita’ sembra dimenticare in fretta. E cosi’ fa la guerra che, se solo l’essere umano avesse una maggiore memoria cercherebbe di evitare piuttosto che trovare in continuazione motivi per farla, ci spingerebbe a pensare due volte prima di immegrgerci nella sua follia. Ma naturalmente ci vorrebbe un’umanita’ piu’ intellingente rispetto a quanto essa stessa si creda di essere.
Comunque sia, anche nel quadrante mediorientale che a parte qualche escalation estemporanea non fa molta notizia, la storia non si ferma e procede con la consueta ferocia. Sebbene sul campo la situazione sia generalmente in stallo, in realta’ i cambiamenti si percepiscono attraverso piccoli fenomeni che messi assieme tendono a dare forma, pur sempre fluida, a cio’ che potrebbe ipotizzarsi come il futuro.
Dall’Iraq, dopo aver messo a ferro e fuoco il paese, gli USA si stanno ritirando; che questo corrisponda o meno a realta’,i segnali ci sono. Lungo la direttrice che va da nord a sud di questo martoriato stato, i convogli di mezzi blindati pesanti, alcuni percorrendo direttamente le strade, altri caricati sui bilici, si sussuegono. Possibile segnale che si rechino verso l’imbarco e poi tornino da dove erano arrivati.
Cosa significhi in termini pratici di sicurezza e di suddivisione di poteri che si creeranno (in realta’ gia’ da tempo in atto) all’interno del buco creato da quella assenza, ancora non e’ chiaro. Certo e’ che l’Iraq e’ tutto fuorche’ una nazione compatta ed il suo governo assolutamente non in grado di controllare alcunche’ se non la spartizione dei soldi che derivano dalla vendita del petrolio che dovrebbero servire a tutt’altro piuttosto che a riempire le tasche dei soliti noti.
Da lunghissimi mesi, anni, i giovani si riversano nelle strade a protestare contro questa deriva che, rispetto ai tempi di Saddam, ha solo cambiato depositariari. La risposta dei vari governi che si sono succeduti fino ad oggi, e’ sempre stata quella: repressione violenta che ha causato centinaia di morti.
Questo in breve, mentre la Turchia in piena crisi economica (la lira turca ha perso in un giorno il 17% del suo valore) sta cercando il modo di dirigere lo sguardo della sua popolazione in direzione opposta rispetto ai problemi reali. Da un po’ di tempo minaccia di entrare in forze nel Kurdistan iraqeno per regolare i conti con il PKK (partito dei lavoratori kurdo) che trova rifugio nelle montagne del Qandil e nello Sinjar; contemporaneamente in Siria non molla un millimetro (anzi minaccia di prendersene altri) del territorio che dopo aver invaso, ha dato in gestione ai suoi scagnozzi salafiti radicali.
Dopo essersi presi nel giro di qualche annetto buona parte del nord della Siria, approfittando dello stato di guerra in cui questo paese si e’ venuto a trovare (e che ha contribuito fortemente a far crescere), adesso vorrebbe prima stabilizzarne il controllo, e poi magari aggiungerne qualche altro pezzetto. Va da se’ che chi paga il prezzo di quaesto casino sono sempre le solite persone, esseri umani che a volte noi dimentichiamo far parte della stessa categoria a cui noi stessi apparteniamo e che pur di non lasciarli entrare nei nostri paesi, preferiamo chiudere gli occhi e fingere che la guerra sia un passatempo per sfaticati. Dimenticando che dopo 10 anni, da tanto dura questa infamia, quelle persone non saranno probabilmente piu’ in grado di rientrare in cio’ che resta delle loro case. Forse non ci abbiamo mai fatto troppo caso, ma in giro per il mondo ci sono un fracco di campi profughi, che poi vogliamo chiamare rifugiati o sfollati poco cambia, che da temporanei sono diventati abitazioni definitive (se pur teoricamente provvisorie) per milioni di uomini, donne, bambini. Sarebbe forse utile, certo impossibile, che ognuno avesse almeno una volta nella vita la possibilita’ di rendersi conto direttamente delle condizioni di vita all’interno di questi campi. Forse allora uno si renderebbe conto che non basta il gesto asettico ed automatico di digitare un numero di sms e lavarsi cosi’ la coscienza.
Forse, in questo modo si potrebbe cambiare persino idea sul lavoro che fanno molti “volontari” che si imbarcano sulle navi per cercare di mettere una pezza alla totale mancanza di supporto che i vari governi avrebbero l’obbligo di provvedere; responsabilita’ nei confronti di quei poveri disgraziati che lasciano, mica per sport, tutto alle loro spalle e cercano un ritaglio di vita migliore rispetto a quella che vita non e’ dove il futuro rappresenta solo un’ entita’ ipotetica. Sia che decidano di attraversare i deserti e il mare, che infinite migliaia di km dove vengono trattati peggio di animali e che solo in pochi riescono a superare. Noi, civili occidentali, siamo solo in grado di fornire loro solenni mazzate, fermarli con fili spinati e muri che nell’immaginario umano hanno un solo riferimento, vergognoso fin che si vuole, ma desolatamente unico secondo la nostra memoria. Quello di Berlino. Mentre quello tra USA e Messico e’ lungo 3.200 km, mentre tra Turchia e Siria copre altri 300 km, mentre anche dove non ci sono muri fisici, la polizia blocca, mena e respinge coloro che cercano di superare le frontiere, rispedendoli a ( non) vivere in situazioni da cui persino gli animali sono stati spostati.
Poi, i criminali, quelli che vengono definiti tali, sono coloro che di questi esseri umani si occupano, quelli che sono accusati di prendersi soldi a loro favore mentre invece ogni centesimo viene destinato al recupero e alla cura di chi ne ha bisogno.
Ecco, come spesso accade, ero partito con un’idea precisa di cosa scrivere, della situazione in Iraq e Siria, ma poi i pensieri inevitabilmente si interesecano e si finisce a parlare piu’ che del contesto specifico, di quelle che poi sono le sue conseguenze. Paralleli di cui troppo spesso ci dimentichiamo.
Docbrino