I social e le voglie liberatorie di forca mediatica. Filippo assassino “presunto” ma non certamente innocente
Questa mattina dando la notizia dell’arresto in Germania di Filippo Turetta, a seguito del mandato d’arresto internazionale emesso per l’omicidio della 22enne Giulia Cecchettin, abbiamo volutamente affiancato nel titolo alla parola assassino “presunto” perché l’art. 27 della Costituzione afferma che «l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva». Volevamo fra l’altro sondare le reazioni di nostri lettori soprattutto di quelli che accedono tramite social. Ebbene il risultato ci conforta anche se solo in parte. Solo una manciata di lettori hanno gridato allo scandalo ritenendoci evidentemente colpevoli di mancata barbarie, scambiando l’utilizzo di quella parola come lesiva della verità di cui si sentono portatori e che li porterebbe inevitabilmente ad un veloce linciaggio. Ci conforta che gran parte dei nostri lettori siano invece andati oltre il titolo e soprattutto abbiano compreso la differenza fra un blog, che non risponde ad alcuna regola attizzando i leoni da tastiera, e un giornale che, anche se su supporto digitale, affonda le sue radici in principi professionali che per i giornalisti non dovrebbero essere derogabili. Cerchiamo di spiegare meglio anche se temiamo che non convinceremo quella gran parte del popolo della rete abituato alla semplificazione perniciosa dei blog. Abbiamo scritto presunto omicida perché siamo convinti che è compito della stampa e dei giornalisti veicolare una cultura civile, che esalti lo stato di diritto in ogni circostanza ma senza negare la verità dei fatti conosciuti. Lo stato di diritto impone al giornalista di non emettere sentenze ma c’è l’obbligo di conservare il dubbio e di aspettare l’esito processuale della vicende perfino davanti alla “presunta” evidenza dei fatti. Posso dare la notizia “arrestato” per omicidio ma non posso scrivere che ha commesso il reato, ma solo che l’avrebbe commesso secondo la ricostruzione degli inquirenti. L’accusa non va mai confusa con la colpevolezza soprattutto se non si hanno tutti gli elementi del caso. Uscendo dal caso di cronaca dobbiamo valutare bene quando dalle Procure o dagli inquirenti ci viene detta la frase topica “gravi indizi di colpevolezza”. Sono migliaia i casi dove la gogna mediatica e la barbarie del “popolo onesto” è scattata per poi vedere gli imputati assolti con formula piena. Prudenza, occorre prudenza e quella cultura civile che sembra scomparsa da tempo soprattutto per effetto del web e del facile killeraggio social. Basti ricordare un caso per tutti: nei confronti di Enzo Tortora c’erano gravi indizi di colpevolezza e persino le “prove schiaccianti”…. e sappiamo com’è andata a finire. Fra l’altro il principio di precauzione ci viene imposto dalla deontologia professionale. Ma il vero problema invece è che nell’era social chiunque può trovare piacere nell’essere un barbaro perché invece essere una persona civilizzata, di questi tempi, richiede uno sforzo terribile. Ebbene vi sembrerà strano ma i giornalisti hanno l’obbligo morale (che dovrebbe essere di tutti) ma soprattutto il dovere deontologico di fare lo sforzo e superarla la tentazione di emettere sentenze. Scrivere presunto non vuol dire in alcun modo sminuire il reato e neppure difendere la persona rea, ma applicare un principio di precauzione per altro imposto dalle regole della giustizia, andando oltre la voglia del linciaggio anche dinnanzi ad efferati delitti. E’ la differenza appunto fra barbarie e giustizia. La prima la lasciamo ai vari Salvini che ammorbano l’era digitale che purtroppo sta anche contagiando in logica politicamente polarizzata parte dei giornali. In sostanza assistiamo a una crescita tumorale dei casi di cattivo giornalismo, nel silenzio di chi dovrebbe tutelare sia l’opinione pubblica, sia i media che fanno lo “sforzo terribile per rimanere civili”, ecco noi informiamo cercando di restare civili.
Fuga the end: Filippo Turetta presunto assassino di Giulia Cecchettin è stato arrestato in Germania