I venti di guerra, in Fvg, diventano soffi impetuosi di crisi economica e produttiva
Fra i settori economici maggiormente colpiti dall’impatto della guerra in Ucraina c’è certamente quello del settore automobilistico, che per gli amanti degli inglesismi è l’automotive. E’ chiaro che gli avvenimenti degli ultimi giorni in Ucraina producono un impatto importante su tantissimi comparti industriali, tra i quali quello auto, già provato dal blocco delle catene produttive post Covid. I previsori ci raccontano che avremo conseguenze già dal mese di marzo con una contrazione degli ordini di almeno il 20% rispetto all’anno precedente che era già in sofferenza post-covid. Si annuncia una potenziale batosta per gli operatori del settore, non solo le industrie produttrici, ma tutta la filiera produttiva e commerciale. Fornitori di componentistica, concessionari e rivenditori. Se gli avvenimenti degli ultimi giorni in Ucraina sono nefasti da un punto di vista umanitario, hanno come effetto collaterale diretto un impatto importante su tantissimi comparti industriali, soprattutto, ma non solo, quelli energivori. Più che le problematiche immediate sono le incognite sul futuro a mettere in agitazione le imprese. L’impatto della guerra è legato a vari aspetti, alcuni già fortemente visibili altri sottotraccia. La prima conseguenza del conflitto è già visibile: un innalzamento dei costi delle materie prime che indurrà incrementi di costi su tutta la filiera, ritardi di produzione e prezzi più alti per i prodotti finiti. La seconda criticità è legata al sentiment delle persone. Come normalmente accade, a fronte di eventi particolarmente negativi, l’atteggiamento di tutti diventa difensivo, teso a proteggere il patrimonio personale e familiare. Si abbassa la propensione al rischio e la voglia di esporsi a nuovi costi o investimenti, come l’acquisto di un’auto, ma anche di prodotti meno economicamente impegnativi. Sul settore auto, in particolare, i venti di guerra e crisi hanno conseguenze quasi immediate, un esempio è quello dell’Automotive Lighting di Tolmezzo dove è stata già annunciata cassa integrazione per 837 lavoratori. Ma l’elenco è lungo, fra le aziende più esposte le imprese siderurgiche, attività produttive tra le più energivore: Abs di Cargnacco, Ferriere Nord di Osoppo, Acciaierie Venete, Arvedi di Servola a Trieste hanno deciso di limitare o azzerare la produzione, qualcuno usando uno “stop & go” legato alle fluttuazioni dei costi energetici. Ma non solo i “metalli sono interessate al momento di crisi, anche altre aziende come la Fantoni hanno spento le proprio linee. Sulla delicata situazione c’è da registrare l’intervento del segretario del Pd Fvg Cristiano Shaurli secondo cui la Giunta Fedriga dovrebbe rivedere le priorità della Regione: “La a cassa integrazione di 837 dipendenti all’Automotive Lighting di Tolmezzo, i segnali allarmanti delle Ferriere Nord e dell’Abs, solo per citare i casi più eclatanti e recenti, impongono alla Giunta Fedriga di fermarsi, ascoltare e rivedere completamente le priorità della Regione. Ci sono in giro assessori in campagna elettorale precoce, pullulano ‘fotine’ sui social: la politica svolga mai come ora il proprio ruolo. Siamo in una situazione potenzialmente durissima, dalle conseguenze ancora da decifrare . Si lavori per coinvolgere tutti, per un confronto serrato e concreto come l’emergenza richiede, si facciano scelte nuove e coraggiose. Dare risorse per consenso non è mai lungimirante, ma in questo caso sarebbe delittuoso. I fondi europei, il bilancio regionale non possono essere utilizzati come se, dopo una pandemia, non ci fosse una guerra a poche ore da noi”.
Ed in effetti a giudicare da quanto detto dal presidente della giunta regionale Massimiliano Fedriga al congresso della Cisl regionale tenutosi ieri, sembra che la Regione si voglia tirare fuori dalla situazione, scaricando tutto su livelli nazionali ed europei. Nel suo intervento il presidente ha dedicato un passaggio alla crisi energetica che sta attraversando il nostro Paese; “Ad oggi – ha detto Fedriga – è necessario un duplice intervento. Quello da mettere in atto da subito deve prevedere un intervento pubblico a livello europeo per calmierare i costi dell’energia, consentendo così alle nostre attività produttive di non rallentare, se non addirittura bloccare, l’attività evitando le indubbie ripercussioni sull’occupazione. In secondo luogo, con una prospettiva di lungo periodo bisognerà fare in modo che l’Europa diventi autosufficiente nell’approvvigionamento energetico; se non sarà così, saremo sempre sotto ricatto dei Paesi ‘terzi’ quando decidono di chiudere i rubinetti, rischiando di mettere in ginocchio un intero sistema produttivo comunitario”. Nessuna indicazione invece su un possibile ruolo di supporto ad aziende e lavoratori da parte dell’amministrazione regionale.