Il Gup di Gorizia rinvia a giudizio alcuni funzionari Anas per la morte di Francesco Maria Tomasso
Ci sono voluti quasi 5 anni, ma finalmente i familiari di Francesco Maria Tomasso e Studio3A, che li assiste unitamente all’avv. Marco Frigo, del foro di Padova, hanno avuto una prima, importante risposta dalla giustizia: nell’udienza di oggi, martedì 20 aprile 2021, accogliendo le richieste del Pubblico Ministero della Procura titolare del relativo procedimento penale, il dott. Paolo Ancora, cui si è unito il legale della parte offesa, il Gup del tribunale di Gorizia, dott.ssa Flavia Mangiante, ha rinviato a giudizio per il reato di omicidio stradale in concorso per la morte del 34enne di Monfalcone un alto dirigente Anas, Ente proprietario della strada dove è successo il tragico sinistro, la Statale 55, Lamberto Nicola Nibbi, 61 anni, di Roma, una funzionaria del Compartimento per il Friuli Venezia Giulia di Trieste, Susanna Larconelli, 64 anni, di Ronchi dei Legionari (Go), e un’ingegnere triestina, Claudia Tirelli, 38 anni. Ai tre imputati si contesta di non aver fatto rimuovere, o almeno proteggere con delle barriere, il possente tiglio contro il quale il giovane si è schiantato dopo aver perso il controllo della sua Fiat 600 e che, per l’accusa, e secondo quanto vanno sostenendo da anni i suoi cari, non ci doveva stare in quell’aiuola spartitraffico all’incrocio tra la Ss 55, che la vittima stava percorrendo quel maledetto 25 luglio 2016, e la Strada Provinciale 13, a Savogna d’Isonzo. Non a caso oggi, al solito troppo tardi, quella pianta è stata tagliata. I legali dei tre imputati, che non sono comparsi in aula, hanno sostenuto invano il non luogo a procedere e non hanno chiesto riti alternativi per i loro assistiti: affronteranno il processo, che inizierà nell’udienza fissata per il 12 novembre 2021, avanti il giudice monocratico di Gorizia. I congiunti di Tomasso, attraverso l’Avv. Frigo, si sono già costituiti parte civile.
All’indomani della tragedia, i familiari del giovane erano subito stati tormentati da tanti interrogativi. E’ vero che si è trattato di una fuoriuscita autonoma per una perdita di controllo dell’auto, di cui non si conosceranno mai le ragioni, ma è anche vero che le conseguenze sarebbero potute essere molto meno devastanti se Francesco Maria e la sua utilitaria non avessero trovato sulla loro strada quel pesante albero che troneggiava nell’aiuola spartitraffico e da cui anzi debordava, invadendo parzialmente la carreggiata, senza che vi fosse alcuna protezione e a dispetto delle norme del Codice della Strada, che imporrebbero distanze minime delle alberature dal ciglio stradale o barriere protettive. Anche perché quello di Tomasso non era il primo veicolo ad essere finito contro quel tiglio e gli abitanti della zona avevano spesso segnalato il pericolo che rappresentava. Anche per questo, per fare piena luce sulle cause e le eventuali responsabilità dell’accaduto ed essere assistiti, i genitori e le sorelle della vittima, attraverso il responsabile della sede di Udine, Armando Zamparo, si sono affidati a Studio3A-Valore S.p.A., società specializzata a livello nazionale nel risarcimento danni e nella tutela dei diritti dei cittadini, che, valutando con i propri esperti l’incidente, era giunto alle loro stesse conclusioni. La Procura di Gorizia, tramite il dott. Ancora, aveva subito aperto un fascicolo per omicidio stradale, contro ignoti, disposto l’autopsia sulla salma e affidato una perizia cinematica per ricostruire dinamica e cause dell’incidente, incaricando, il 30 agosto 2016, quale suo consulente tecnico l’ing. Marco Pozzati.
Da allora, però, il silenzio per lunghi anni, nonostante le svariate richieste di accesso agli atti presentate da Studio3A per ottenere qualche risposta e avviare l’eventuale procedura di risarcimento danni verso l’Ente gestore della strada, che adesso è partito, e nonostante una lettera aperta della sorella della vittima, Alessandra Tomasso inviata nel 2018 al Pm per sollecitare informazioni sull’iter del procedimento. L’unica notizia che si era potuta attingere, nel marzo 2020, è che il fascicolo, dal 2019 non era più contro ignoti, ma era c’erano degli indagati, il che aveva ridato fiato alle speranze di giustizia dei familiari, così come il recente abbattimento dell’albero. Speranze corroborare dalla comunicazione, del primo febbraio, della richiesta di rinvio a giudizio da parte del Sostituto Procuratore, della fissazione dell’udienza preliminare di oggi e ora dall’accoglimento dell’istanza da parte del giudice.
L’inchiesta è stata lunga ma la Procura ha svolto un lavoro certosino acquisendo innumerevoli fonti di prova. Agli imputati si contesta il reato di omicidio stradale in concorso per aver causato la morte di Tomasso “in cooperazione colposa tra loro, per colpa generica consistita in negligenza, imprudenza e imperizia nonché per colpa specifica, consistita nell’aver omesso di tenere condotte doverose che avrebbero portato all’abbattimento o alla protezione con barriere di un albero collocato all’interno di un’aiuola spartitraffico posta al centro della strada statale 55 km 13 +130”. In particolare, in violazione degli art. 2 e 3 del D.M. 223 del 18 febbraio 1992, che regolamenta le barriere di sicurezza e prevede, tra le zone da proteggere nelle nuove realizzazioni stradali, “gli ostacoli fissi, laterali o centrali isolati, quali pile di ponti, fabbricati; tralicci di elettrodotti, portali della segnaletica, ovvero alberature entro una fascia di 5,00 metri dal ciglio esterno della carreggiata, nonché le successive disposizioni in materia contenute nel D. M. 2367 del 21 giugno 2004, nella Circolare n. 62032 del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti del 21 luglio 2010, e infine l’articolo 14 del Codice della Strada, che impone una serie di obblighi generali agli enti proprietari della strade per “garantire la sicurezza e la fluidità della circolazione”. Tutte norme non rispettate, secondo la Procura, nei “Lavori di manutenzione straordinaria per l’adeguamento del raccordo in località Sablici e della SS55 mediante la messa in sicurezza dei piani viabili e delle opere protettive” realizzati da Anas. Più nel dettaglio, Larconelli, anche direttore dei lavori dell’opera, e Tirelli, quali progettiste del progetto esecutivo relativo alla perizia n. 4603 del 4 gennaio 2012 inerente appunto tali lavori, sono accusate di aver “redatto la perizia senza elaborare alcuna progettazione ed analisi sulla sicurezza delle zona da proteggete nella tratta considerata”, mentre Nibbi, che è anche un capo dipartimento regionale dell’Anas, “quale Dirigente dell’area tecnica di esercizio e responsabile unico del procedimento dell’intervento in questione, ometteva di vigilare sulla conformità della perizia”.