Il “merito” nella scuola, in Ungheria, diventa il metro di giudizio anche economico per gli insegnanti. Abolita la libertà di insegnamento

Siamo quasi certi che il decreto legge appena approvato dal parlamento Ungherese. per volontà di Viktor Orbán, piacerà molto alla destra italiana. Un modello di scuola basato sul ferreo controllo si insegnati e studenti. La libertà di insegnamento viene di fatto azzerato nella logica del “merito” e del controllo attuato ovviamente dagli uomini fedeli al regime. Un modello che immaginiamo possa essere un “sogno” per molti anche nella destra italiana.   Il nuovo decreto del governo Orbán introduce infatti ulteriori restrizioni per gli insegnanti. Secondo i sindacati ungheresi si tratta della risposta del governo ungherese a quelle che sono state le manifestazioni più partecipate degli ultimi anni nel paese. Insegnanti e studenti nel recente passato sono infatti scesi in piazza a più riprese per denunciare salari da fame (a inizio servizio, un insegnante guadagna poco più di 400 euro), precarietà (i fondi all’istruzione sono scesi del 16% dall’arrivo al potere di Viktor Orbán) e intromissione dello Stato nelle scuole anche relativamente ai programmi di insegnamento. Gli insegnanti spesso con i loro studenti hanno reclamato di poter mantenere il diritto allo sciopero, duramente colpito dalla stretta della destra di Orbàn. Ora quella che i sindacati hanno definito la “legge della vendetta” è passata con 136 voti a favore e 58 contrari. Il nome ufficiale è “decreto sullo statuto”. Si tratta fra l’altro di una versione leggermente rivista e meno radicale di quella inizialmente proposta, che prevedeva addirittura il diritto per i dirigenti scolastici di sorvegliare telefoni e computer degli insegnanti. Di certo l’attuale decreto, che entrerà in vigore il primo gennaio 2024, prevede innanzitutto un cambio di status giuridico della professione dell’insegnante, che non sarà più equiparata a quella dei funzionari di Stato. Gli insegnanti saranno valutati annualmente e le progressioni salariali saranno indicizzate sui risultati del giudizio. Insomma una estensione del concetto di “merito” tanto caro al governo di Giorgia Meloni. Fra l’altro nel medesimo decreto è previsto che il diritto allo sciopero viene ulteriormente colpito: in caso di interruzioni scolastiche durante l’anno, è previsto infatti un allungamento delle lezioni fino al 15 luglio. Gli insegnanti potranno però rifiutare lo statuto, comunicandolo preventivamente Fra il 15 e il 30 settembre. In questo caso potranno lasciare il posto di lavoro, con uno o due mesi di indennità in base all’anzianità. Insomma non accetti i dictat ti dimetti. Questa minaccia rischia però di diventare l’unica arma in mano al mondo della scuola per bloccare questo pernicioso meccatnismo di controllo assoluto. I sindacati infatti fanno sapere che il sistema educativo rischia il collasso: 5000 insegnanti, secondo le stime ottenute tramite un’indagine, potrebbero dimettersi a seguito dell’introduzione del nuovo decreto. In una situazione di già forte penuria dovuta ai pessimi salari (relativamente ancora più esigui se si tiene in conto il fatto che l’Ungheria ha uno dei tassi di inflazione più alti d’Europa), sarà impossibile garantire il regolare svolgimento dell’avvio delle lezion anche se ovviamente sarebbe un pericoloso braccio di ferro. La stretta voluta da Orbàn rischia di esacerbare il clima, infatti finora il governo Orbán si era già mosso per contrastare le ondate di scioperi e manifestazioni in maniera “indiretta” chiamando in causa la Corte di giustizia, aveva emesso a febbraio 2022 un decreto che impone agli insegnanti un servizio minimo da garantire nelle scuole, la cui fascia oraria è quella del normale svolgimento delle lezioni. Il concetto stesso di sciopero, quindi, era già venuto a mancare e gli insegnanti hanno iniziato ad optare per forme di “disobbedienza civile” che ora avendo il coltello alla gola della valutazione del “merito” deciso in via esclusiva da parte dei dirigenti, tutti fedeli e nominati dalla Stato, il rischio di sanzioni più che una possibilità diventa una certezza. Ovviamente, la retorica di Orbán si era presto adattata alla situazione: secondo il premier, i salari non possono essere aumentati perché la Commissione europea ha sospeso 7.5 miliardi di euro del Fondo di Coesione per violazione dello Stato di diritto.