Il Milite è Ignoto ma non chi lo ha immolato
In questi mesi su iniziative dell’ANCI (Associazione Nazionale Comuni d’Italia) molte amministrazioni stanno approvando delibere per l’attribuzione della propria cittadinanza al “Milite Ignoto”. Il prossimo autunno cadrà l’anniversario dei cento anni dal viaggio della “salma” dal cimitero accanto alla Basilica di Aquileia all’Altare della Patria a Roma. Un treno speciale funebre attraversò gran parte dell’Italia innescando una serie di manifestazioni patriottiche in ogni stazione dove si fermava.
L’elaborazione dei lutti della grande guerra assumeva così un evidente significato di costruzione di un mito su cui costruire una unità di popolo ed allo stesso tempo dare consenso di massa alla interpretazione delle vicende storiche che avevano portato al conflitto ed ai suoi drammi.
La prima guerra mondiale aveva distrutto per sempre un certo equilibrio storico che costruiva le relazioni tra i governanti degli stati e imperi coinvolti e si stava determinando un nuovo confronto tra masse popolari e sistemi politici che avrebbe portato alla crisi delle democrazie borghesi ed all’affermarsi del modello rivoluzionario bolscevico da un lato e dei fascismi dall’altro. In ogni stato che usciva dalla guerra, trionfante o lacerato, si svilupparono forme nuove di identificazione popolare per dare senso ai drammi ed ai sacrifici subiti facendo emergere un nuovo culto della Patria costruito sia su eventi che su installazioni stabili. Germania, Italia e Francia sono oggi dei casi studio che la letteratura di genere ha approfondito ed i cui monumenti sono ancora ben visibili, particolarmente nei territori coinvolti nei fatti bellici.
Tanto per non dimenticare, a Redipuglia i rappresentanti dello stato italiano continuano ad andarci e dopo un pensiero ormai di rito nel ricordo delle vittime militari delle parti in conflitto, non dimenticano un pensiero solenne sulla sacralità della difesa della patria e dei suoi confini. La Costituzione della Repubblica italiana annuncia solenne che “la difesa della patria è un sacro dovere per ogni cittadino”, immagino pro futuro vista l’opportunità di ricordare che mai l’Italia (a partire dal 1860) è entrata in qualche guerra per difendersi ma sempre per attaccare qualcun altro e possibilmente per conquistare territori. Che poi questi territori le appartenessero in base a qualche diritto storico è anch’esso oggetto di costruzione di qualche mito giustificativo.
La partenza del treno con la “salma” del “milite ignoto” da Aquileia e dalla sua simbolica basilica è parte proprio di questo disegno politico come richiamo alla legittimità del riprendersi quella “Regio X et Histria” parte integrante dell’impero romano.
L’ideazione del viaggio del “milite ignoto” da Aquileia a Roma fu un atto eccelso di architettura “evemenenziale” in grado di produrre una lettura della storia non sottoponibile a incertezze. Il coinvolgimento di una madre distrutta dal dolore per un figlio perduto nell’essersi riconosciuto nella propria patria di elezione (ben diversamente della maggioranza dei “militi” che provenivano dalle stesse terre), il transito nelle città e paesi che avevano sopportato i sacrifici necessari a risollevarsi dopo la sconfitta di Caporetto e le durezze di una occupazione nemica, l’arrivo romano nel monumento simbolico della recente storia statale, sono elementi di un mosaico ideologico che permette di costruire quella unità emozionale che assolve ogni responsabilità.
Che senso ha oggi celebrare il centenario di questo avvenimento? Quello di riesumare un’altra volta (peraltro materialmente la stessa dovrebbe essere nel frattempo ritornata ad Aquileia assieme alle altre 10 che furono oggetto del “barrage” finale di scelta) le spoglie del povero militare per richiamare il popolo ad una nuova unità di stato nazione in un momento in cui le basi stesse del progetto statale d’Italia sembrano sul punto di crollare, come gran parte dell’informazione sembra ricordarci ogni giorno.
Diffidare di queste operazioni politico culturali è il meno che possa fare chiunque abbia un minimo di coscienza critica. Questa vicenda appartiene alla storia ed è in questo ambito che deve essere collocata. A meno che non si voglia riprendere in mano il filo delle responsabilità facendole almeno ricadere sugli eredi che magari stanno ancora oggi speculando sugli interessi goduti sui delitti compiuti (e sulle loro mistificazioni motivazionali) nella prima guerra mondiale e nel trentennio bellico complessivo di esaltazione nazionalista.
Il “milite ignoto” non si è gloriosamente sacrificato per una causa santa ma è stato assassinato da ben precise responsabilità sia di carattere storico politico che di vera e propria criminalità operativa. Che sia il caso di riaprire i processi verso i responsabili? Forse è questo dubbio il motivo che spinge ancora il nostro Parlamento a non voler chiudere realmente la stessa vicenda dei “fusilaz” di Cercivento e di tutti coloro che ebbero la ventura di non adeguarsi alla virtù dell’obbedienza.
Giorgio Cavallo