Io sono Fvg. le origini dei bilanci giulivi e note di cautela

La cronaca ci annuncia ottime disponibilità finanziarie per ogni variazione di bilancio che Giunta e Consiglio regionale del F-VG si apprestano ad affrontare. Come noto le finanze regionali dipendono fondamentalmente da entrate erariali, ed è quindi evidente che queste stanno crescendo in maniera ampia ed imprevista rispetto alle aspettative di partenza. C’è naturalmente da domandarsi quali eventi economici contribuiscono a ciò ed anche quali previsioni vanno fatte per il futuro. Partiamo da una affermazione incerta relativa allo stato generale della salute socio economica dei territori regionali: pur con inevitabili differenze tra un luogo e l’altro credo che nessuno studioso serio possa affermare che la Regione F-VG sta attraversando un periodo di vorticosa crescita. Chi è vicino al potere regionale parla di segnali parziali talvolta positivi (ad es. occupati, esportazioni, etc.), c’è chi parla di vera e propria decrescita (valutando un arco di tempo pluri-annuale), ma in genere le variazioni degli indicatori (PIL, etc.) dalle dimensioni “zero virgola” fanno parlare di stagnazione. E ciò pare chiaramente in contrasto con l’evidenza delle disponibilità regionali. Prima di tentare una qualche interpretazione specifica vanno ricordati due fattori che incidono sulle entrate della Regione. Il PIL nominale in F-VG è di circa 38 miliardi di euro, e si può ritenere che in prima approssimazione in Italia (ed anche da noi) le entrate fiscali (nel loro complesso) corrispondano praticamente al 50% del PIL. Per il F-VG una quota parte di queste entrate, relative ad un set di specifici introiti pubblici, costituiscono la “riserva erariale” della specialità che serve a finanziarie le diverse potestà di cui dispone. Va inoltre ricordato che per alcune di queste entrate la riscossione avviene direttamente nelle casse regionali con successivo inoltro allo Stato per le proprie competenze con ulteriori partite di ricalcolo a saldo. Partendo da questo presupposto credo si possa introdurre una prima questione di diversità rispetto alle “vacche magre” delle finanze regionali (e degli enti locali) nel secondo decennio di questo secolo. La differenza è dovuta al rapporto con lo Stato con alcune sessioni di ri-contrattazione delle devoluzioni regionali (ai fini del “risanamento” della finanza pubblica), ed anche ai tempi tecnici della parificazione delle partite di giro. In sostanza credo si possa affermare che è finita la folle partita di depauperamento “romano” delle casse regionali (valutabile in 10 miliardi complessivi di riduzione delle disponibilità di spesa delle casse regionali e del sistema degli Enti locali) da parte dei governi Monti e Renzi, e qui in Regione da Tondo e Serracchiani. I cinque anni delle legislature statale e regionale 2018-2023 hanno costruito di fatto con successivi passi un nuovo quadro di riferimento per le finanze regionali. Una ulteriore considerazione di partenza. Sulle attuali finanze regionali con entrate proprie (stimabili tra i cinque e i sei miliardi di euro) il quadro della specialità regionale conta praticamente nulla e le spese rispondono a due criteri fondamentali: utilizzo in materie in cui la competenza legislativa è molto relativa (quali la sanità, il sistema degli enti locali, il trasporto pubblico locale) di cui si finanzia tutta l’organizzazione e attività di integrazione contributiva su una molteplicità di temi molto spesso in concomitanza (e rispetto di inquadramento normativo) di interventi statali ed europei. Ma, da dove arrivano le entrate crescenti che vengono utilizzate in misura massiccia nelle variazioni di bilancio regionale? E’ opportuno segnalare tre “evenienze” che mi pare possano incidere per successivi accumuli di entrate a partire dalla fase finale della “pandemia” ed all’inizio della guerra “russo-ucraina”: il peso dirompente per l’economia regionale dei lavori riferiti al bonus del 110% (le informazioni riferiscono di circa 2 miliardi di euro); la dimensione delle spese programmate (ed in parte avviate) relative alle spese di operatori con sede in Regione per quanto riguarda il PNRR. Anche in questo caso gli interventi finora aggiudicati valgono circa 2 miliardi di euro; gli effetti monetari dell’inflazione degli ultimi 30 mesi che cautelativamente può essere valutata in almeno il 15%, determinando quindi un effetto notevole sulle entrate connesse alle attività ed ai consumi. Una variazione dei prezzi del 15% si ripercuote sul PIL regionale per una cifra intorno ai 6 miliardi di euro, ma tenendo conto del mancato adeguamento all’inflazione delle retribuzioni da lavoro dipendente, si può ipotizzare che la cifra di riferimento per un calcolo sugli effetti erariali, presenti e futuri (per l’inflazione già avvenuta), possa essere dimezzata e valutata intorno ai 3 miliardi di euro che, pure in un periodo di stagnazione, producono surplus di entrate erariali. Bisognerebbe avere gli strumenti conoscitivi e dati elaborati con una certa precisione per capire, anche nel susseguirsi dei tempi in cui si palesa l’effetto, come hanno inciso e potranno ancora incidere sulle entrate regionali queste espansioni di spesa di circa 7 miliardi di euro che poi, per il 50% si traducono in entrate pubbliche, parzialmente attribuite (circa per il 30%) al bilancio regionale. Tuttavia la sovrapposizione di queste tre evenienze con l’attuale sistema di rapporti finanziari con lo Stato fa capire come possa essersi presentato questo status “giulivo” di disponibilità finanziarie che il potere regionale sta distribuendo. Quanto durerà? Di sicuro sappiamo che l’effetto del bonus del 110% in edilizia sta per esaurirsi e che lo Stato (congiuntamente alla Regione) dovrà ritornare (in quanto crediti fiscali) più del doppio delle entrate erariali-fiscali finora incassate. Non sappiamo come questa restituzione si ripartirà tra Stato e Regione, ma la storia passata non promette nulla di buono. Il PNRR è nelle mani di Giove (anche se altri due miliardi di euro dovrebbero essere spesi in Regione) e comunque per buona metà costituisce debito pubblico per cui vale qualitativamente il suo destino generale con le interpretazioni che ne daranno i cultori neoclassici del monetarismo. Salvo guerre ed ulteriori “sindemie” l’inflazione per le casse pubbliche è una partita vincente (se riportata sotto controllo e non certo per i redditi da lavoro dipendente e per i “risparmiatori” costituzionalmente tutelati) ma in fasi di stagnazione o recessione permette solo ridistribuzioni della spesa in perdita reale della qualità e quantità degli interventi e servizi. Che fare? Di sicuro non è saggio gettare le risorse da un elicottero che viaggia nei pressi di potenziali clienti del potere politico nella speranza che in questo modo l’economia cresca. E inoltre, la pur ragguardevole dimensione delle cifre di cui stiamo parlando non permette di costruire partite decisive nei confronti delle economie globali, siano esse produttive o finanziarie, e pur tenendone conto (su qualche particolare necessario) l’utilità marginale degli interventi consiglia di costituire riserve strategiche per una visione del futuro della Regione che permetta di confrontarsi con l’aleatorietà dei cicli economici. Se, come indica Rifkin, dobbiamo entrare nella età della “resilienza”, compito politico degli amministratori regionali diventa capire come, e con quali risorse, questa prospettiva deve essere declinata in Friuli-Venezia Giulia e nella “bio-regione” a cui appartiene.

Giorgio Cavallo