La carità pelosa e la memoria ritrovata
Come volevasi dimostrare, il primo episodio di distribuzione “alternativa” è stato un disastro. D’altra parte non poteva andare diversamente, viste le premesse. Qualche camion di aiuti da assegnare ad un paio di milioni di persone ridotte alla fame e gestita da personale senza alcuna esperienza su cosa significhi un’operazione del genere, aveva un destino segnato e probabilmente previsto e voluto da chi criminalmente da quasi tre mesi non ha lasciato entrare nella Strisci di Gaza assolutamente nulla. Più la tragedia si compie, più si capisce che quanto succede è frutto di un piano preciso e pensato ancora prima che il macello iniziasse. Per affrontare una sfida come questa, di organizzare una distribuzione che non può che essere capillare per avere un senso, c’è bisogno di predisporre un piano meticoloso e preciso che inizia con la registrazione delle persone, la suddivisione della gente per aree, con l’individuare un’area idonea, avendo a disposizione gente esperta e manovalanza capace. Nonché di un servizio di sicurezza formato da persone che abbiano affinità con i “beneficiari”, cioè che godano della loro fiducia. In parole povere, un’impresa che sarebbe già complicata se a ricevere i miseri pacchi viveri fossero solo poche migliaia di poveracci ridotti alla fame più nera, ma che di fronte ai numeri di Gaza è semplicemente impossibile.
Niente di tutto ciò è stato fatto, quel poco che è stato lasciato entrare è inevitabilmente stato preda di chi è riuscito ad arrivare prima e ad assaltare i camion. Che tutto fosse pianificato ad hoc è qualcosa di più che un semplice sospetto che possa servire a dimostrare che i palestinesi non siano neppure in grado di ricevere quanto la bontà dei loro aguzzini mette a disposizione. O addirittura che dietro al disordine inevitabile in un contesto del genere, ci sia la lunga mano di Hamas che, secondo la vulgata israeliana, si appropria dei beni lasciando la sua gente a secco. Bisognerebbe aver almeno visto da vicino cosa significhi anche un tozzo di pane ammuffito e messo ad essiccare al sole pur di poterlo mettere sotto i denti per capirne il valore. Ma probabilmente il poterne disporre senza tanti problemi ci fa apparire tutto ciò impensabile, quasi impossibile da concepire e credere che le immagini di migliaia di disperati accalcati, schiacciati l’uno contro l’altro come un’orda di selvaggi incapaci di rispettare la fila come faremmo noi gente, ca va sans dire, educata e rispettosa. E dunque non meritevole di tanta grazia.
Ritorna in mente Primo Levi quando raccontava di come esseri umani come noi non potevano che ridursi al livello animalesco in quanto privi di qualsiasi alternativa pur di sopravvivere, ma a qualcuno questo paragone appare fuori luogo; a me no!
Nel frattempo, alle nostre latitudini, si percepisce qualche timido segnale di vita. I nostri rappresentanti (non i miei) e i media nostrani pare si siano accorti che quanto succede in Palestina (non dimentichiamo la Cisgiordania) corrisponde sempre di più ad un genocidio. Cominciano a diffondersi le immagini della tragedia che si sta compiendo ai danni dell’intera popolazione palestinese, del deserto creato dagli incessanti bombardamenti che hanno reso città e villaggi in immense aree cosparse di macerie sotto le quali ci sono ancora migliaia di corpi che non potranno essere disseppelliti e rimarranno senza un nome, un’identità, magari mangiati dai cani, anche loro vittime di questa barbarie. Quella stessa identità che il governo fascista e criminale di Israele vorrebbe cancellare dalla storia, come se quel popolo debba essere dimenticato, mai esistito per lasciare posto ai deliranti fanatici messianici per cui non esiste altra ragione al di fuori della loro interpretazione della bibbia.
I vari Macron, Starmer (non Mertz), addirittura la donna in formalina Von Der Leyen, si stanno svegliando dal lungo letargo in cui, certo stavano dormendo, non si erano accorti delle decine di migliaia di assassinati da Israele. Ora i bambini suscitano improvvisamente la giusta pena, ci si rende conto che crepano anche di fame; che tutto ciò, a parole fino a che non verranno davvero prese e messe in pratica decisioni che boicottino in modo sostanziale quel governo inumano, è semplicemente, e al di là di come lo si voglia definire, inaccettabile. Vedremo se alle parole seguiranno le dovute azioni. In risposta a queste deboli voci di protesta, Netanyahu minaccia di annettersi la Cisgiordania, come se ciò non stia già avvenendo.
Nel frattempo si è riusciti a capire che è necessaria una mobilitazione massiccia; persino i partiti (non quelli di governo, ovviamente) si stanno muovendo. Il problema è che ancora una volta rischiano di perdere il treno giusto cercando di distinguersi e dissociarsi da chi l’urgenza di farsi sentire -le organizzazioni di base, l’associazionismo- la vive sin dall’inizio del massacro e promuove una manifestazione nazionale a Roma (unica località che dia veramente un senso all’iniziativa). Pare che l’impellenza vera sia di evitare di confluire, di confondersi per mantenere il supposto equilibrio che fatica a distinguere le vittime dai carnefici. Speriamo ci sia un minimo di lucidità e che finalmente ci si ritrovi tutti assieme a chiedere ed a far sì che si imponga la fine di quell’ecatombe. Con i fatti e non solo a parole.
Come diceva il maestro Manzi: “non è mai troppo tardi”. E così facendo, ha educato una bella fetta di Italia.
Docbrino