L’Happy sindic con una intervista al MV aderisce alla macroregione sponsorizzata dal gruppo Nem. La maggioranza che l’appoggia è con lui?

Purtroppo gli atroci dubbi che avevamo espresso, se pur in maniera non demolitiva, sulla candidatura e successiva elezione di Felice De Toni a sindaco di Udine si sono avverati. Non solo non vi era stata chiarezza programmatica vista la presenza di due candidature che, in un modo o nell’altro, facevano riferimento al mondo progressista e che hanno trovato la quadra nella spartizione delle poltrone,  ma soprattutto la presunzione di aver vinto vantandosi di un “modello Udine” che  non esiste come si può constatare registrando le fibrillazioni in maggioranza. L’unico motivo della vittoria era la disastrosa gestione cittadina di Fontanini e la sua rinnovata candidatura. Insomma non ha vinto De Toni ha perso Fontanini. In realtà la presenza di De Toni, come evidenzato anche dalle cronache giornalistiche,  non era sgradita a Fedriga che forse aveva  pensato, furbescamente, di poter competere con due cavalli. Il meno zoppo avrebbe vinto, ma comunque lui si sarebbe garantito un posto a tavola anche nel capoluogo friulano. Del resto che la candidatura fosse in qualche misura  ambigua lo si era capito fin dagli esordi, dato che il primo a proporlo e successivamente, ad elezione avvenuta, a mettere sopra il cappello, era stato Ettore Rosato allora Italia Viva e  fedelissimo di Matteo Renzi, anche se come si è visto, fedele in scadenza. Oggi dopo mesi, di più o meno palesi fibrillazioni di maggioranza e una azione di governo della città con alcune obiettive positività ma con ombre altrettanto pesanti, ecco che emerge in tutta la sua dirompènza la linea che poco sembra avere in comune sia con il Partito Democratico che con Patto per l’Autonomia, figuriamoci con Alleanza Verdi Sinistra. Insomma con i partiti che lo appoggiano in Consiglio Comunale. Pietra miliare, dopo la costituzione del “Quadrifoglio” sua personale formazione politica,  una intervista odierna al Messaggero Veneto che mostra, con plastica chiarezza, tutta la portata del progetto che, guarda caso, è coincidente con quello del nuovo gruppo editoriale Friulgiulianoveneto Nem. Titolo dell’intervista più che esplicito: “De Toni: «Una regia Fvg-Veneto per programmare il nuovo Nord Est»”. Catenaccio ancora più esplicativo “Dopo gli interventi di analisti veneti e giuliani, la macroregione vista dal Friuli”, sarebbe “un crocevia non solo di traffici e merci, ma luogo d’incontro delle culture”. Poi l’abstract iniziale “gegrafico sentimentale”  del pezzo che prepara il terreno alla tesi di fondo che dovrebbe vedere nella creazione della mitica macroregione la soluzione di ogni problema politico ed economico e culturale del nordest, in barba, diciamo noi ad ogni autonomia territoriale, linguistica e  finaziaria, facendo diventare il Friuli ancora più di quanto sia oggi, terreno di conquista, un vaso di coccio in mezzo a vasi di ferro. Dice infatti De Toni «Nella mia esperienza personale sono partito da Padova, passato per Milano, tornato a Padova e poi trasferito in Friuli, ormai da trent’anni. Ci sono delle differenze: passando dal Friuli alla Lombardia si passa dalla cultura del lavoro alla cultura dell’impresa. Il Veneto sta nel mezzo. Questo è il gradiente che riscontro». Come dire una trazione Veneta, ovviamente by Zaia/Fedriga, potrebbe essere una ottima mediazione. Cosa ne pensa il Pd del Friuli Venezia Giulia? E Morettuzzo di Patto per l’autonomia?  Per non paralre degli intellettuali e friulanisti vari che speravano di colmare il gap editoriale con un non “dimenticatevi di noi”.  De Toni pensa ovviamente di avere il coltello dalla parte del manico e di poter fare il “rettore” della città, un capo che non risponde a nessuno, più che il sindaco che dovrebbe rispondere politicamente alla sua maggioranza. Sa bene l’happy sindic che l’ipotesi che i partiti della maggioranaza lo mandino a gambe all’aria è remotissima, tengono tutti alle poltrone, anche se in “finta” pelle e alle foto opportunity con i potenti per trovare la forza di fare meno happy,  il sindic.

Fabio Folisi