Migrazioni: “La sfida dell’accoglienza diffusa” una modalità di civile di integrazione per contrastare le fallimentari e crudeli politiche securitarie

Il rischio che il convegno svoltosi questa mattina al centro Balducci,  titolo “La sfida dell’accoglienza diffusa. Una strada anche per il Friuli Venezia Giulia”,  si tramutasse in una passerella autoreferenziale era alto. Ma per fortuna la qualità di molti interventi e la piega che ha preso il dibattito, di fatto, ha scongiurato il rischio e sono emerse indicazioni utili, anche di natura operativa, basate su esempi concreti come la testimonianza di  Franco Balzi sindaco di Santorso comune di 6000 abitanti del vicentino che il sistema Sai l’ha attuato con successo tanto da diventare coordinatore nazionale della Rete Comuni Solidali (ReCoSol). Balzi, fra l’altro, si è reso disponibile a dare informazioni e consulenze ai Comuni del Fvg che volessero intraprendere concretamente la strada dell’accoglienza diffusa. Si è in sostanza parlato dei progetti di accoglienza non in maniera astratta e volontaristica, ma con indicazioni sulle modalità d’azione che consentano di distribuire i migranti sul territorio in appartamenti o in piccole strutture, operazioni  che vengono finanziate attraverso la legge che regola il cosiddetto sistema SAI acronimo di Sistema di accoglienza e integrazione. Chiara l’intenzione, scongiurare le concentrazioni in hub simil-carcerari di persone che nulla hanno commesso ma che, ghettizzati, alla fine possono trovare solo disperazione che diventa l’anticamera dell’illegalità. Un sistema perverso che sembra essere stato pianificato volontariamente per mantenere in forma “emergenziale” il problema migranti. Tornando al sistema Sai, a livello nazionale sono operativi circa 45 mila posti, non moltissimi dato che aderisce al sistema solo il 17% dei comuni italiani, anche se tra questi ci sono i maggiori centri urbani che hanno risorse e capacità amministrative per gestire il sistema. Purtroppo in Friuli Venezia Giulia, forse in ossequio allo slogan turistico “noi siamo Fvg” più che a quello precedente “ospiti di gente unica”, questo tipo di accoglienza non è molto presente. basti pensare che nel 2022, anno di riferimento dei dati, ha ospitato solo poco più di 320 persone. Negli ultimi anni – spiega Gianfranco Schiavone, presidente dell’Ics, Consorzio italiano di solidarietà – la nostra regione è arretrata moltissimo. E’ diventata quella con meno progetti e con minore innovazione sociale”. Un problema serio che ha trovato spiegazione e conferme nell’intervento della sindaca di Gradisca d’Isonzo (Gorizia) Linda Tomasinsig che vede, suo malgrado, nel suo territorio non una accoglienza diffusa, ma la tragedia della presenza una mega struttura, Parliamo del famigerato Cpr, spesso al centro di gravi episodi. L’ultimo la notte scorsa, quando l’ennesima protesta partita da un gruppo di giovani rinchiusi nella struttura ha raggiunto il tetto allo scopo di evidenziare così la loro esasperazione. Uno di loro è però scivolato rovinando sull’asfalto. Un volo di otto metri che ha provocato al giovane politraumi tanto che è stato elitrasportato in gravi condizioni all’ospedale Cattinara di Trieste. Secondo la sindaca il problema risiede soprattutto “nell’adesione acritica della Giunta Fedriga al modello delle grandi strutture che produce un impatto fortemente negativo sulla qualità dell’accoglienza e sul benessere delle nostre comunità”, mentre al contrario “serve attenzione alle sollecitazioni del Terzo settore e ai bisogni del mondo produttivo”. “Dalla gestione dei flussi e dalla capacità di favorire la convivenza e l’integrazione sociale e lavorativa dei migranti – ha evidenziato Tomasinsig – dipende il futuro della nostra regione, colpita da un grave declino demografico e carente di figure professionali in settori importanti come l’edilizia e il turismo”. In sostanza i grandi Centri detentivi  al di là delle sigle con i quali vengono “targati” sono “insostenibili a livello sociale e pure antieconomici, i grandi centri sono a servizio di una demagogia securitaria e non danno risultati, tant’è che i cittadini continuano ad avere la percezione di vivere in città poco sicure. La logica del ‘tanto peggio tanto meglio’ è quella di chi soffia sul fuoco del malcontento dei cittadini per mero interesse elettorale. Durante il convegno sono anche emerse le testimonianze di alcuni amministratori del vicino Veneto, che hanno aderito all’accoglienza diffusa, o di altri che vorrebbero entrare a farne parte, come il sindaco di Udine De Toni che ha ribadito l’intenzione dell’amministrazione cittadina di attivarsi in concreto. Anche secondo l’organizzatore del convegno Don Paolo Iannaccone, presidente del Centro Balducci, l’accoglienza del tipo Sai è troppo poco diffusa, giudicando invece i grandi hub di accoglienza, che trasformano vecchie caserme e infrastrutture dismesse in Cara e Cas, come realtà che contribuiscono soltanto a creare marginalità e non aiutano in alcun modo a integrare nella comunità gli stranieri. “Le caserme sono luoghi in cui gli stranieri restano rinchiusi – dice don Paolo – magari con servizi precari, mentre l’integrazione è consentire loro di vivere nelle nostre città, nella nostra realtà”. E su questo aspetto si sono espressi molti interventi che hanno evidenziato come la trattazione del problema migranti non possa essere vista sempre in forma emergenziale con una risposta “securitaria” che, non solo non risolve il problema, ma  vede la strumentalizzazione per fini meramente elettorali di fenomeni geopolitici, come i flussi migratori, che la storia dimostra non essere arginabili con blocchi, navali o terrestri, muri o fili spinati e neppure con più o meno attuabili deportazioni. Bisognerebbe innanzitutto restare umani.