Occupazione in aumento……
No, sfortunatamente non stiamo parlando dell’occupazione lavorativa nel nostro Paese, quanto piuttosto delle occupazioni territoriali illegali che pare siano in gran spolvero un po’ dappertutto. La sola che però maggiormente sta a cuore ai politici italici, europei e mondiali è quella attualmente più eclatante e in cui la guerra viene combattuta tra due eserciti contrapposti. Ça va sans dire, la criminale invasione russa in Ucraina, decisamente non l’unica, ma la sola in cui lo Stato occupante viene giustamente e pesantemente sanzionato; che poi le sanzioni producano l’effetto immaginato e mettano davvero in crisi chi le subisce, è altro discorso. Le previsioni di un veloce e pesante crollo dell’economia russa provocata dal blocco economico da parte dei Paesi occidentali, non pare aver sortito gli effetti sperati anche a causa di un certo paraculismo tipico del mercato e della finanza che in qualche modo riescono sempre a trovare un escamotage, una scappatoia, per superare gli ostacoli che possono bloccare il business as usual. Al massimo, gli affari subiscono un certo rallentamento ma difficilmente si fermano.
Tornando però a quanto si diceva, non è poi così difficile trovare scenari in cui gli eserciti di alcuni Stati che, direttamente o attraverso loro alleati, si sono presi la briga di invadere i loro vicini e di fregarsene delle leggi internazionali che teoricamente sono state approvate proprio per evitare che chi possiede eserciti e armi più potenti, si possa allegramente impossessare del controllo di pezzi di territorio che appartengono ad altri. Nel recente passato e senza andare troppo in giro per il pianeta, basta pensare all’invasione dell’Iraq o dell’Afghanistan, entrambi finiti con fallimenti che hanno provocato morte e distruzione lasciandosi dietro un vuoto amministrativo in termini di struttura politica e pubblica nonché di diritti umani che richiederà nella migliore delle ipotesi un lungo periodo prima di riassestarsi in qualche modo.
Ma non occorre poi ricorrere alla macchina del tempo per trovare situazioni tutt’ora in corso o addirittura scoppiate in questo ultimo periodo. Vogliamo parlare della Palestina e di Gerusalemme Est? Un’occupazione che dura da 56 anni e che in questi quasi sei decenni ha visto consolidarsi la presenza dell’esercito israeliano, che si definisce il più democratico del pianeta; d’altra parte anche Israele è l’unica democrazia dell’area, o no?! Il fatto che il suo attuale governo sia zeppo di fanatici ultraortodossi fascistoidi non pare provocare alcun sussulto negli impavidi politici e commentatori occidentali. A me pare che 56 anni, che in realtà potrebbero addirittura essere contati dal 1948, l’anno della Nakba, “la catastrofe”, che i palestinesi ricordano come la cacciata dalle loro case e dalle loro proprietà che ora appartengono allo stato ebraico. Parliamo di circa 700.000 persone che teoricamente avrebbero anche il diritto di tornare. Teoricamente, appunto. Ma tornando ai giorni nostri, ciò che rimane della Palestina non è altro che una serie di “Bantustan”, un territorio per buona parte occupato dalla presenza delle colonie israeliane in cui illegalmente vivono e rendono la vita dei palestinesi impossibile circa 700.000 ebrei per lo più arrivati nelle colonie direttamente dall’estero e con l’idea di occupare quella che secondo la personale interpretazione della Bibbia è la loro terra promessa. Territori occupati in cui l’esercito di Tel Aviv entra, distrugge, ammazza e arresta in massima libertà. Migliaia di palestinesi (molti dei quali minorenni) sono prigionieri nelle carceri israeliane senza che contro di loro sia formulata una precisa accusa. Detenzione Amministrativa la chiamano. Ci sarebbe poi anche il Golan siriano altrettanto occupato da Israele; Gaza poi è altra cosa ancora, essendo non occupata (ma l’esercito entra ed esce o bombarda con la massima autonomia), ma di fatto la più grande prigione all’aperto del mondo. Ma forse anche questi sono dettagli… Come è un dettaglio che l’aviazione con la stella di David continui imperterrita e senza che qualcuno obietti a bombardare la Siria con la scusa di colpire gli interessi iraniani nel Levante. Anche qui, con quale diritto non si capisce.
Vogliamo dare un’occhiata ad un altro fulgido esempio di democrazia mediterranea? Non c’è problema, andiamo un po’ a vedere che succede con la Turchia. Da dove vogliamo partire? Facciamo da Cipro, la cui parte nord orientale è occupata da Ankara fin dal 1974, anno in cui l’esercito turco decise di annettersi quella che oggi si chiama Repubblica Turca di Cipro Nord (KKTC); che così la chiami solo la Turchia appare relativo, come relativa è l’attenzione occidentale di fronte a questo caso. Ma si sa, la Turchia è parte della Nato e pur di tenersela alleata qualche sacrificio si dovrà pur fare, no!? Il fatto è che di sacrifici Erdogan e soci ne chiedono parecchi; a parte la valanga di soldi che l’Unione Europea ha pagato affinché la moltitudine di siriani, pachistani, afghani e compagnia rimanessero nei campi profughi turchi o a finire come manovalanza di basso costo nelle varie industrie tessili o nelle campagne anatoliche, sembra che pochi abbiano qualcosa da ridire in merito alla serie di invasioni che la Siria ha subito da parte delle truppe turche. Dal 2016 al 2019, ci sono state ben tre invasioni turche in Siria; per la cronaca e il divertimento cito il nome che è stato dato alle operazioni di occupazione: Euphrates Shield, Olive Branch, e nientemeno che Peace Spring. Quando si dice la fantasia al potere, vero? Bene, con le operazioni che portano questi simpatici nomi, la Turchia si è mangiata buona pate dell’area che confina con la Siria. Tutto lo scandalo che questi interventi sono riusciti a suscitare, si è limitato a qualche debole critica da parte di Usa e Russia che nella realtà hanno lasciato carta bianca alle truppe del sultano. E pare non sia finita qui; il recente attentato ad Ankara e rivendicato dal PKK non farà altro che dare ulteriore impulso alle minacce che Erdogan lancia ormai da un paio di anni e che prevedono un’ennesima occupazione di ciò che resta di Rojava con tanti saluti all’unico reale tentativo di governo democratico di quell’area. Intanto, giusto per non perdere tempo, gli aerei e l’artiglieria turche hanno già, ma anche questa non è una novità, cominciato a martellare le montagne del Kurdistan iraqeno dove si rifugiano gli ultimi miliziani del PKK.
Terminiamo questo breve viaggio (che potrebbe tranquillamente continuare altrove) con il Nagorno Karabakh e con l’ennesima pulizia etnica subita dagli armeni che sono fuggiti da quella enclave a causa dell’attacco delle truppe (appoggiate da Turchia e Israele con l’imbarazzante silenzio di Mosca) di Baku. Stepanakert e la regione sono state completamente abbandonate dai loro abitanti che raccontano di brutalità e violenze subite e che si sono rifugiati in Armenia. 120, 150 mila persone che hanno abbandonato le loro case dove mai torneranno e che ora si trovano senza nulla e che non sanno quale sarà il loro futuro. È probabile che tra l’altro la faccenda non sia finita lì; infatti a complicare le cose ci sarebbe anche una parte di Azerbaigian all’interno dell’Armenia, il Naxcivan, che nelle intenzioni di Baku dovrebbe essere ricongiunta al resto del Paese. Il fatto è che per raggiungere questo obiettivo, si dovrebbe aprire un corridoio attraverso l’Armenia che, appunto, divide il Naxcivan da Baku. Facile, no? Dunque anche lì vedremo come andrà a finire, ma l’aria che tira è funesta.
A questo punto verrebbe da chiedersi perché il mondo democratico occidentale non ragioni allo stesso modo nell’analisi di situazioni praticamente uguali, e non vi applichi le stesse regole. Perché invece di spendere miliardi di dollari ed euri in armi che almeno fino ad oggi non hanno fatto altro che procurare morte e distruzione in Ucraina, senza peraltro cambiare di un metro il fronte, noi mondo cosiddetto civile non cerchiamo di proporre una via diversa per arrivare se non alla pace, almeno un cessate il fuoco durante il quale cercare una soluzione? Non sarebbe poi così male, magari usando quella montagna di soldi per un piano di ricostruzione che prima o poi dovrà essere affrontato.
Perché ragionando con la stessa logica (chiaramente usando un paradosso) non dovremmo fornire di armi palestinesi, kurdi, ciprioti e via dicendo? Oppure pare normale darle solo a chi subisce le prepotenze di regimi che consideriamo avversari ottenendo niente altro che continuare la carneficina rischiando di renderla ancora più feroce?
Ma forse queste sono solo elucubrazioni di uno che vive fuori dal mondo. Magari si potesse davvero; purtroppo in questo mondo siamo immersi fino al collo e non c’è niente da fare se non incazzarsi. Chissà che prima o poi non serva anche questo.
Docbrino