Giornata Onu su desertificazione e siccità. Il fenomeno e gli eventi estremi potrebbero essere nuova realtà climatica italiana
Nel calendario mondiale Onu oggi si celebra la Giornata internazionale della lotta alla desertificazione e alla siccità e non è certamente un caso dato che negli ultimi dieci anni non solo si sono susseguite anche sul nostro paese in genere temperato stagioni estive veramente torride ma si è assistiti ad una modifica rapida del clima Mediterraneo con una presenza di bolle africane, che in tempo erano l’eccezione e che oggi sono diventate la regola. Il risultato è sotto gli occhi di tutti con il clima che vede non più sporadicamente ma per diverse settimane temperature tipiche del Nord Africa, per non parlare degli eventi estremi che si generano. Basti pensare che recentemente nel sud della Sicilia si sono toccate temperature davvero africane con i 48,8 gradi di Siracusa, record assoluto in Europa. Ma non solo a sud si soffre, il caso Po sta diventando emblematico di una emergenza che entra nelle case degli italiani sotto forma di limitazione della disponibilità di acqua nei rubinetti per non parlare dell’agricoltura. In sostanza il Po è diventato poco più di un rigagnolo con devastanti conseguenze per la biodiversità, per l’agricoltura, per il turismo, per l’economia modificando pesantemente l’ambiente della a verdeggiante pianura padana. In Italia le precipitazioni durante il periodo invernale sono diminuite dell’80% e la neve del 60% secondo i dati dell’Associazione Italiana di Scienze dell’Atmosfera e Meteorologia. Nonostante qualche ottuso ancora non crede di essere nel pieno di una epocale modifica del clima e non si arrende neppure davanti all’evidenza è chiarissimo che occorrerà una cura draconiana anche se molti scienziati sostengono che sia troppo tardi e che bisognerà fare i conti con le modifiche ambientali già in atto. Del resto potremmo dire, utilizzando un detto popolare che “chi è causa del mal pianga se stesso” anche se vi sono diversi gradi di responsabilità e di questo occorrerà tenere conto perchè il rischio che a pagare siano i meno responsabili è altissimo. Inutile dire che ai vertici delle responsabilità ci sono le multinazionali collegate all’industrializzazione selvaggia e al mito del profitto a tutti i costi, che non solo hanno operato in sfregio ad ogni principio di precauzione snobbando gli allarmi della scienza, ma addirittura hanno cercato di denigrare, ridicolizzare, sminuire le teorie scientifiche che avevano lanciato già negli anni ’80 i primi allarmi in relazione a quanto si stesse modificando l’equilibrio del nostro pianeta. A questi rapaci capitani d’industria andrebbero associati molti politici sia a livello nazionale che internazionale che hanno retto il “sacco” mentre si compiva il misfatto e non hanno voluto vedere i veri e propri “stupri” operati ai danni di Madre Terra. Adesso nessuno può più smentire ciò che è sotto gli occhi di tutti, i cambiamenti climatici sono avvenuti, la siccità è una realtà in espansione ed è stata indotta dalle scelte scellerate degli esseri umani e servirà operare per limitare i danni ed evitare che la situazione peggiori. Del resto la situazione ha avuto una accelerazione che solo sette anni fa non si ipotizzava dato che le previsione parlavano soprattutto del sud Italia come maggiormente a rischio, anche se già allora si parlava del 21% della superficie italiana di in possibile desertificazione, e di Italia stato Europeo che risente di più dei cambiamenti climatici. La situazione è invece più pesante di quanto pronosticato nel 2015 , con la siccità pesantissima che minaccia anche la pianura padana. Del resto oggi le previsioni scientifiche più pessimistiche spiegano che entro il 2050 la desertificazione potrebbe riguardare tre quarti della popolazione mondiale, cioè tra i 4,8 e i 5,7 miliardi di persone rispetto ai 3,6 miliardi di oggi. Tali dati dovrebbero spingere gli esponenti politici delle nazioni più influenti a investire seriamente nelle forme di energia rinnovabili perché il riscaldamento globale conduce non solo alla desertificazione ma anche alla propagazione di malattie e specie di insetti molto pericolosi per la salute umana. Ma tonando a quanto si diceva nel 2015 interessante è leggere quanto spiegava durante la conferenza ‘Siccità, degrado del territorio e desertificazione nel Mondo’ che si è tenuta all’interno del Padiglione Italia ad Expo 2015, Mauro Centritto, ricercatore del Cnr che oltre all’allarme suggeriva anche alcune soluzioni: “Se non modifichiamo l’approccio nei confronti del suolo, spiegava Centritto, e dell’agricoltura il nostro Paese dovrà fare i conti con un territorio sempre più impoverito e perfino desertificato”. Il pericolo è concreto, spiegava il ricercatore, ma non bisogna immaginarsi la Sicilia (la regione più esposta) come una scatola di sabbia simile alla Libia. La desertificazione avviene quando il terreno perde fertilità, quando cioè i suoi nutrienti scompaiono e la vita microbiologica, che rende possibile la crescita delle piante, si estingue. L’Italia deve contrastare questo fenomeno e adattare i propri metodi di coltivazione se non vuole mettere a rischio non solo il settore economico, ma anche la sicurezza alimentare degli italiani. Ma perché le zone del sud Italia, da sempre secche, si stanno inaridendo progressivamente? Il primo imputato è il cambiamento climatico che ha ridotto le precipitazioni, soprattutto durante i mesi estivi. Ne sa qualcosa la California, dove ormai da anni la pioggia è scomparsa. Ma il secondo imputato dell’impoverimento del suolo è l’agricoltura stessa. “Una errata irrigazione può portare alla salinizzazione del terreno e ad un dilavamento dei nutrienti”, continuava Centritto. “L’utilizzo massiccio di fertilizzanti uccide i microrganismi presenti nel suolo, mentre spesso assistiamo ad un compattamento del terreno che ne riduce la permeabilità e provoca dilavamento, oltre ad aumentare il rischio idrogeologico”. Ma è proprio dall’agricoltura che può arrivare un importante aiuto per rallentare la desertificazione. Certo, i cambiamenti climatici sono un fenomeno globale che può essere affrontato solo con politiche a livello mondiale (l’appuntamento è a dicembre, alla conferenza di Parigi), ma per i coltivatori cambiare approccio nei confronti dell’agricoltura è la migliore chance per resistere alla desertificazione. “Stiamo parlando di agricoltura conservativa o di agro-ecologia”, spiegava Centritto. Bisogna prima di tutto abbandonare l’agricoltura intensiva che punta alla massimizzazione dei raccolti nel breve periodo, ma che non tiene in considerazione la salvaguardia del suolo. Dall’agricoltura biologica e da quella di precisione può arrivare un aiuto importante. Nel primo caso perché la salute del terreno viene messa al primo posto. Nel secondo perché si cerca di massimizzare la produzione minimizzando l’intervento antropico. Meno fertilizzanti, acqua e agrofarmaci e solo quando e dove serve.