Opinioni. Considerazioni e consigli “inutili” per il voto alle europee
Non c’è attualmente una minima traccia di pentimento. Gli italiani, intesi non solo come generici cittadini ma come universo di cultura politica, continuano a considerare lo stato nazione come lo spazio di decisione del proprio futuro e di organizzazione delle scelte in campo economico, sociale ed ambientale.
Quanto c’è di relazioni e legami sovra ordinati può essere una opportunità ma è visto soprattutto come un vincolo da esorcizzare in questi tempi in cui la “butta piuttosto male”. Vale per i grandi soggetti dell’internazionalismo “padronale e finanziario”, dal WTO alla BCE, ma anche per le strutture politiche e burocratiche dell’UE e per lo stesso Parlamento Europeo.
Siccome poi quest’ultimo conta poco, l’elezione di maggio 2019 diventa un puro sondaggio per il futuro governo italiano ed al massimo si può pensare di mandarvi qualcuno che faccia gli interessi indefiniti dell’Italia con la voce più grossa possibile. Allo stato attuale poi, visto che uscire dall’euro e dall’Unione può diventare una tragedia, la logica prevalente con cui si affrontano tali elezioni è un po’ per tutti, partiti ed elettori, quella della riduzione del danno.
Ci sarebbe invece da domandarsi se esistono questioni fondamentali per il nostro futuro che non possono essere affrontate seriamente al livello degli stati nazione e che potrebbero assumere aspetti molto più incisivi se guidate da una diversa dimensione, quale quella dell’Unione Europea, in grado di segnalarsi poi anche al livello globale.
A me pare che il campo sia molto vasto ma preferisco fermarmi ad alcune cose di evidenza quasi immediata:
La prima è rappresentata dagli elementi fondamentali di governo dell’economia lacerata da una dichiarata conflittualità tra l’ordoliberismo monetario tedesco e le spinte keynesiane da indebitamento pubblico che si presentano in svariate forme negli stati del sud, compresa la Francia. Nelle altre parti del mondo la sfida assume altre caratteristiche, con più accentuate divisioni tra finanza speculativa e capitalismo produttivo, magari a guida statale come in Cina, ma la sostanza del contendere non cambia. La scelta è una decisione politica che l’Europa, non l’Italia, può e deve fare pubblicamente.
La seconda emergenza è l’organizzazione di una risposta adeguata agli effetti del cambiamento climatico e la possibilità di limitarne l’evoluzione futura. Con Greta o senza, qui si confrontano due prospettive, l’una legata all’uso di massicce dosi di green-smart economy nella attesa messianica di nuove tecnologie, l’altra più rivolta alla ricerca di modelli di vita sostenibili e magari capace di interpretare diversamente il mantra della crescita. Un mix utile non potrà derivare da singole scelte degli stati ma da una coerente politica continentale che sappia organicamente confrontarsi con quanto può muoversi nel resto del mondo.
La terza è segnalata proprio dalla ormai evidente limitatezza delle strutture statali “storiche” nell’affrontare i temi delle differenzialità territoriali determinate dalle più diverse motivazioni (storico-linguistiche, economiche, geografiche e geo politiche) che spesso portano reazioni di centralismi ed autoritarismi. Non c’è solo l’estremo della questione catalana, ma esistono le forme più varie di potenziali “rotture” che, se non affrontate con strumenti nuovi di rappresentanza che proprio al livello dell’UE potrebbero venire alla luce, rischiano di deflagrare. Gran parte di queste situazioni sono peraltro caratterizzate dalla necessità di trovare un nuovo equilibrio tra le dinamiche finanziarie e produttive globali e lo sviluppo-difesa delle economie territoriali. Nascono così prospettive spesso non inquadrabili unicamente negli spazi statali (si veda il caso delle “euroregioni” naturali come la nostra Alpe Adria) ma dove una regia europea potrebbe diventare decisiva nel liberare energie positive.
Di questi temi non c’è traccia nel pur limitato dibattito politico che si è aperto in relazione alla ormai vicinissima campagna elettorale. E lascio perdere tutte le altre fondamentali questioni relative ad obiettivi di coesione sociale per quanto riguarda il futuro degli “welfare states” e dei diritti civili, sia per chi in Europa vive sia per chi in Europa vuole entrare.
Purtroppo sono anche falliti tutti i tentativi di costruzione di soggetti politici di riferimento ampio europeo e la possibilità di scelta che intravvedono gli elettori è quella di riconoscersi o nelle “grandi famiglie” storiche europee oppure nella nuova variegata categoria dei neo sovranisti. Salvo capire che popolari, socialdemocratici e liberali, oltre ad essere piuttosto divaricanti al loro interno nell’interpretare le scelte necessarie, contano sempre meno, e che le nuove destre nazionaliste concepiscono ognuna il proprio neo sovranismo comunque alle spese degli altri.
E non mi pare che neppure vi siano idee confrontabili ed eventualmente condivisibili per quanto riguarda una qualche revisione della stessa struttura istituzionale degli organi della Unione Europea.
Al di là forse di una incerta (perlomeno in Italia) presenza verde e di sporadici tentativi di minoranze politiche e territoriali non c’è quindi uno spazio politico europeo non statale. Le questioni citate rimangono senza risposte per chi volesse esprimere su esse un voto significativo. Si sente in giro parlare della necessità di un voto “utile” senza specificare “per chi e per cosa”, raggiungendo le sublimi vette in Italia dove, sostanzialmente, dal risultato dovrebbe dipendere sia la futura data delle elezioni politiche sia gli schieramenti possibili.
Non so quindi dare utili consigli per il voto del 25 maggio. Ognuno lo dovrà fare sulla base delle proprie convinzioni e possibilmente non a cuor leggero. Ma sapendo che senza una decisa discussione sui limiti per il futuro degli stati nazione non andremo lontano.
Mi è capitato di partecipare come candidato alle prime elezioni a suffragio universale per il Parlamento europeo nel 1979. Scherzando dicevo che lo facevo per qualificarmi a quelle mondiali. Poi venne il neo liberismo e la globalizzazione. Quaranta anni dopo dovremmo cominciare a capire che dello spazio politico di una Europa unita consapevole di poter rappresentare al mondo un percorso civile e democratico unico c’è un bisogno assoluto.
Giorgio Cavallo