Opinioni: La rappresentanza parlamentare delle minoranze linguistiche non è un argomento da gestire con la propaganda

Alla “gente” il numero dei parlamentari interessa molto poco. O meglio, meno ce n’è meglio è. Tanto non fanno nulla di buono e guadagnano troppo.
E’ questo il “leit motiv” che accompagna gran parte dei commenti che compaiono su FB in relazione alle attuali modifiche della Costituzione all’esame del Parlamento che riducono drasticamente i componenti delle due assemblee.
Non a caso il Presidente della Regione Fedriga ha risposto sprezzantemente alle rimostranze di D. Serracchiani e quindi, per interposta persona a quelle dei deputati di FI Pettarin e Novelli, che nell’insieme ponevano questioni di mancata rappresentanza delle minoranze linguistiche slovena e friulana, e di trattamento di sfavore non giustificato con le previsioni per il Sud Tirolo e Trentino.
Ho l’impressione peraltro che anche questo pericolo di scomparsa di rappresentanza di minoranze linguistiche non scaldi il cuore all’insieme dei nostri corregionali. Bisogna prendere atto che la “democrazia rappresentativa” non è molto amata oggi in Italia. Probabilmente la “riforma” più popolare sarebbe quella di poter scegliere con il voto solo quanto è indispensabile per governare: un sindaco e un capo del governo. Sul resto si può risparmiare.
Pur dentro questo desolante quadro di diffusa “cultura” politica ed istituzionale e nella consapevolezza che il voto si indirizzerà verso chi si farà credere vicino a questo desiderio di riduzione generalizzata delle rappresentanze, è opportuno cominciare a ragionare sulle modalità del diritto delle minoranze linguistiche ad essere presenti nell’ambito degli organismi politici, siano essi comunali, regionali o statali.
Tale diritto alla rappresentanza, sia pure non definito nelle sue specifiche caratteristiche, è un principio affermato a livello internazionale e rappresenta un vincolo anche per l’Italia. L’Italia ha finora giocato con questo obbligo in maniera “furba” applicando di volta in volta e di caso in caso mediazioni utili ad evitare forti conflittualità e allo stesso tempo gestibili come “utilità politica” dalle forze partitiche prevalenti nel nostro paese. Il caso più eclatante è quello della minoranza tedesca in Sud Tirolo.
Sono così sorte diverse modalità di applicazione, peraltro parzialmente utilizzabili solo nei casi delle minoranze tedesche, francofone e slovene. Ma con la legge 482/99 l’elenco delle minoranze linguistiche è stato definito con un universo più ampio di quelle che avevano come riferimento uno stato estero. E la stessa legge elettorale per la Camera ed il Senato è stata formalmente modificata “erga omnes” ma nella sostanza della applicazione allo scopo di poter riprodurre gli stessi risultati della situazione precedente.
Peraltro così non è avvenuto per la legge elettorale del Parlamento Europeo che oggi è palesemente in contrasto con l’uguaglianza di diritti previsti dalla Costituzione. Ma “fin che arbitro non fischia rigore non è”. E la Corte Costituzionale si è rifiutata di utilizzare la VAR.
Questa materia va perciò oggi rivista e armonizzata sul piano legislativo sia per adeguarla alla L. 482/99 sia per prendere atto delle conseguenze della diminuzione del numero dei parlamentari.

L’evoluzione della questione linguistica in F-VG e in Sardegna
Due realtà specifiche, Friuli e Sardegna, con le loro minoranze linguistiche definite dalla applicazione della L. 482/99, vedono peraltro oggi l’affermarsi della questione linguistica non solo come problema culturale ma anche come problema politico che relaziona l’identità linguistica all’interpretazione sociale ed economica del proprio territorio di insediamento, anche nell’ambito di una necessaria rilettura delle caratteristiche di “specialità” della propria istituzione regionale.
E d’altro lato la stessa identità linguistica ha assunto una nuova caratteristica che è quella di un “bilinguismo nativo” sempre più presente. Nella realtà friulana, per esempio, va preso atto dell’affermarsi di un uso duale dei codici linguistici che non prevede campi di separazione ne temporali ne situazionali: il friulano e l’italiano da molti ormai vengono parlati sempre e dovunque a partire da condizioni non gerarchiche. Credo che questo aspetto sia stato poco indagato, pur nell’ambito di una concezione affermata che il plurilinguismo sia una occasione formativa superiore, che trova nel fruitore una figura nuova anche come consapevolezza dell’importanza della questione linguistica stessa.
La non conflittualità e quindi la rinuncia a contrastare le logiche di sopraffazione linguistica che storicamente ha contraddistinto lo Stato italiano, fa sì che l’approccio al bilinguismo possa diventare la “base politica” di una differenza percepita come positiva e come valore da riconoscere.
Questo fa sì che la questione possa essere affrontata non come diritto individuale in una particolare ripartizione geografica, ma come requisito di coinvolgimento dell’intero territorio che non vuole venir meno al percorso della propria storia linguistica e può farla evolvere in uno strumento di approccio al futuro.
La questione slovena (così come quella dei germanofoni in F-VG) ha in parte caratteristiche diverse, anche al suo interno tra l’area friulana udinese e quella ex austriaca, ma probabilmente le soluzioni per un riconoscimento politico istituzionale possono essere integrate .
Come può essere interpretato tutto ciò? In Friuli-Venezia Giulia non è più necessario rapportare la definizione statistica delle minoranze linguistiche a censimenti, che nell’accertare una identità certifica un diritto, quale quello della elezione riservata di rappresentanti istituzionali come nei casi delle Repubbliche slovena e croata. L’obiettivo va rivolto alla definizione di territori con presenza significativa di minoranze, come peraltro previsto dalla L.482/99 e dalla L. 38/2001, che permetta di attivare le modalità di un plurilinguismo effettivo in tutti i campi della vita pubblica, dalle scuole alla amministrazione.
La Regione F-VG e la Sardegna sono le due realtà interne allo Stato italiano connotate da una presenza di minoranze linguistiche che coinvolge i loro interi territori in misura non solo significativa ma sostanzialmente maggioritaria.
Tutto questo rafforza la necessità che vi sia una logica complessiva che permetta di interpretare le modalità per garantire alle rappresentanze linguistiche le forme di partecipazione alle elezioni per gli organismi rappresentativi democratici, non semplicemente con una formula unica ma con modelli che possono variare nelle diverse situazioni e costruiti per includere le diverse modalità in cui nel tempo le minoranze hanno modellato le proprie espressioni di rappresentanza di interessi. Per essere esplicito va chiarito che ormai nelle situazioni reali non vi è sostanziale differenza tra forze politiche di pura rappresentanza “etnica” e quelle che vi accompagnano una forte aspirazione autonomista.
L’occasione della riduzione del numero dei parlamentari deve essere utilizzata per affrontare questo tema, seriamente e non come furbizia per ristrutturare i propri interessi di bottega da parte di partiti “nazionali” italiani.

Un metodo ed una proposta di partenza per inquadrare correttamente il tema delle rappresentanze di minoranze linguistiche e dei loro territori al livello Parlamentare.
Quale è la situazione attuale sul piano legislativo per quanto riguarda le minoranze linguistiche nelle elezioni per i rappresentanti alla Camera e al Senato?
In Valle d’Aosta l’esistenza di un unico collegio sia per la Camera che per il Senato garantisce la possibilità dei partiti autonomisti di accedere alla rappresentanza. In Trentino/Sud Tirolo l’esistenza di uno specifico numero di collegi uninominali costruiti sulle esigenze della Sud Tiroler Volkspartei porta con sé analoghe conseguenze in Trentino e garantisce comunque l’attribuzione di tutti i seggi della Circoscrizione regionale direttamente nel territorio senza passare per i vincoli del collegio e della percentuale nazionale dei voti ottenuti dalle liste.
Nel resto d’Italia esiste la possibilità per liste di rappresentanza di minoranze linguistiche riconosciute di ottenere seggi purché si aggiudichino qualche collegio uninominale. Norma capestro per liste territoriali, che al Senato si traduce anche in una beffa visto che per partecipare alla distribuzione proporzionale dei seggi bisogna raggiungere una percentuale su scala nazionale, il che è palesemente in contrasto con la Costituzione visto che la stessa prevede che le elezioni per il Senato siano a base regionale.
La minoranza slovena del FVG non ha in realtà norme di tutela se non la previsione del dimensionamento dei collegi uninominali: in passato questo aveva favorito l’elezione di candidati di lingua slovena in liste del PCI, PDS e PD, ma oggi non garantisce praticamente niente.
La riduzione del numero dei Parlamentari limita pertanto ancora di più la possibilità di elezione di rappresentanti di partiti o liste di carattere territoriale e non a caso nel Trentino/Sud Tirolo proprio nelle attuali modifiche si è operato diversamente. Nella convinzione che la tutela dei parlanti la lingua tedesca è comunque una questione legata al diritto internazionale e che su essa possono mettere lingua sia l’Austria che le Corti di Giustizia, si sono così attribuiti a quella regione 6 senatori (da suddividere poi in Collegi uninominali) mentre al F-VG ne vanno 4, nella proporzione di riduzione prevista più o meno in tutta Italia. Il passaggio perciò da 7 senatori a 4 e contemporaneamente da 13 deputati ad 8, con la conseguente riduzione dei collegi uninominali riduce ancora più rispetto alla attuale situazione la possibilità che in F-VG vengano eletti rappresentanti di liste territoriali espressione (anche) di minoranze linguistiche.
Il “popolo” chiede a gran voce di eliminare quanto più possibile i parlamentari. Bene, può essere considerato un suo diritto. Ma le democrazie si definiscono anche per quanto non è nella disponibilità delle decisioni della maggioranza e che rappresenta un vincolo di civiltà, internazionalmente riconosciuto, come nella protezione dei diritti delle minoranze, in questo caso linguistiche.
Quindi va trovata una soluzione tecnica per garantire almeno quelle realtà dove vi è una presenza diffusa di minoranze linguistiche la cui dimensione può avere rilievo non solo per rappresentanze di livello comunale o regionale, ma anche per quello relativo alla Camera ed il Senato. Ritengo che il primo passo necessario su questo piano sia quello di allargare con previsione Costituzionale perlomeno al Friuli-Venezia Giulia ed alla Sardegna quanto previsto per Valle d’Aosta e Trentino/Sud Tirolo, e cioè che tutti i seggi spettanti alla Camera ed al Senato siano assegnati al livello regionale. La legge elettorale specifica potrà poi definire modalità diverse nelle particolari situazioni, ma l’importante è che venga riconosciuto un diritto non alienabile in una forma concretamente applicabile.
Le polemiche di questi giorni hanno portato alla ribalta le dichiarazioni di esponenti di Forza Italia, Pettarin e Novelli, e del PD con Debora Serracchiani. A loro ha risposto in maniera sprezzante il Presidente della Regione Fedriga chiarendo che a difendere gli interessi della Regione ci pensa lui. Ho apprezzato particolarmente quanto espresso dall’on. Pettarin nel suo intervento alla Camera dei Deputati esprimendo chiaramente l’esistenza di un diritto al riconoscimento effettivo per la minoranza linguistica friulana e per la non esistenza di motivi giuridicamente validi per una differenziazione con il trattamento del Trentino/Sud Tirolo.
Nella passata legislatura parlamentare mi sono occupato della questione in occasione dei diversi passi che hanno portato all’approvazione del Rosatellum, aiutando forze politiche e singoli parlamentari a tentare di introdurre opportune modifiche in questa direzione.
Per questo ho apprezzato meno il vecchio e il nuovo Presidente della Regione. Il primo per non essersi occupata della vicenda friulana quando il suo partito al governo ha approvato l’attuale legge elettorale (Rosatellum) bocciando sistematicamente proposte provenienti proprio da esponenti del PD stesso e tese a migliorare le condizioni di rappresentanza per le nostre minoranze. Il secondo, attuale azionista di maggioranza del governo, per non aver fatto nulla in quella stessa occasione pur essendo capogruppo alla Camera per un importante forza di opposizione, ed oggi capace solo di cavalcare un furore popolare senza proporre nulla di concreto per affrontare finalmente la questione.

Giorgio Cavallo